Utente:Gioviale/Sandbox

Partito comunista italiano modifica

Nell'antifascismo il PCI è la forza più popolare e infatti la maggior parte degli aderenti alla Resistenza italiana era membro del partito togliattiano; esso tuttavia, a differenza delle altre forze partigiane che combattevano per la libertà e la democrazia, mirava piuttosto a sostituire una dittatura con un'altra, giungendo in diversi casi a identificare la lotta antifascista con la lotta di classe.[1][2][3] Anche negli anni a venire, nel linguaggio usato dal PCI ricorrerà spesso l'abitudine di attribuire l'epiteto "fascista" a un presunto nemico della lotta di classe o del proletariato.

Storia modifica

In tale contesto storico alle formazioni resistenziali legate al PCI sono legate le vendette post-belliche del triangolo della morte e il tragico eccidio di Porzûs, ai danni di formazioni resistenziali "bianche".[4] Queste vendette, che si protrassero ben oltre la guerra, almeno fino al 1948-49, colpirono anche inermi cittadini, sacerdoti, e chiunque non fosse esplicitamente affiliato all'ideologia comunista, con il pretesto di essere compromessi col regime fascista.[5][6][7]

Nel 1948 il PCI fece fronte comune con il PSI per cercare di vincere le prime libere elezioni politiche del dopoguerra: nacque il Fronte Popolare, che recava l'effige di Garibaldi. Fu una campagna elettorale molto combattuta, che si concluse con una bruciante sconfitta, inaspettata, per il PCI e tutto il Fronte Popolare da esso sostenuto.

Nel 1953, alla morte di Stalin, il giornale del partito comunista lo elogiò come uno dei più grandi benefattori dell'umanità.[8] La denuncia dei crimini di Stalin operata dal suo successore non fu tale da indurre il partito ad un ripensamento. Durante la rivoluzione ungherese del 1956, quando all'indomani di quella denuncia l'Ungheria si ribellò al regime sovietico, il PCI di Togliatti decise nonostante tutto di appoggare l'URSS. Dopo che personaggi significativi, in maggioranza intellettuali, avevano abbandonato il partito protestando contro l'adesione del PCI alla repressione sovietica, Togliatti diede inizio ad una nuova politica di partito nazionale imboccando la via italiana al socialismo, basato sulla politica del "doppio binario" o dei "due forni", che consisteva nel mantenere stretti con l'Urss da un lato, ma nel dipingere il PCI come un partito apparentemente democratico e riformista dall'altro.

La cultura e l'ideologia nel PCI modifica

Il PCI si consolidò, dopo la scissione socialista del 1947, come la seconda forza della democrazia italiana dopo la Democrazia cristiana. Da allora e per circa 30 anni il PCI, pur rimanendo sempre all'opposizione, conseguì una crescita elettorale costante che si interruppe solo verso la fine degli anni settanta al termine della stagione della solidarietà nazionale. Specialmente nei primi tempi, gli aderenti al PCI vivevano l'appartenenza al partito come una dimensione ideologica globale che coinvolgeva ogni aspetto della propria esistenza: «allora la visione del partito e la sua concezione erano del tutto totalizzanti: il partito comprendeva tutto. La direttiva del partito doveva valere in tutti i campi».[9] Nonostante il PCI godesse di un'egemonia in ambito culturale e intellettuale,[10] rimase sempre caratterizzato da un'atavica lontananza dai problemi della vita economica, produttiva e imprenditoriale del paese. Negli anni Cinquanta, quando era ormai prossimo il miracolo economico che avrebbe trasformato l'Italia in uno dei sette paesi più sviluppati del mondo, il PCI riteneva orami imminente il crollo del capitalismo e discuteva della crisi della borghesia.

La segreteria di Berlinguer modifica

Nel 1972 divenne segretario Enrico Berlinguer, che, sulla suggestione della crisi cilena, propose un compromesso storico tra comunisti e cattolici democratici, che avrebbe dovuto spostare a sinistra l'asse governativo, trovando qualche sponda nella corrente democristiana vicina ad Aldo Moro.

I rapporti con l'Unione Sovietica si allentarono ulteriormente quando, a opera dello stesso Berlinguer, iniziò la linea euro-comunista che cercò una qualche indipendenza dai sovietici. L'Eurocomunismo però durò poco a causa del riallineamento del Partito Comunista Francese all'URSS, il calo del peso elettorale dei comunisti spagnoli e l'acutizzarsi delle differenze interne nello stesso PCI.

Nonostante le critiche rivolte al PCUS, Berlinguer continuava ad elogiare il regime sovietico, sostenendo nel 1975 che lì esisteva «un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite da un decadimento di idealità e di valori etici e da processi sempre più ampi di corruzione e di disgregazione», contrapponendo il «forte sviluppo produttivo» dell'URSS alla «crisi del sistema imperialistico e capitalistico mondiale».[11] Ancora nel 1977 Berlinguer parlava di «grandi conquiste» realizzate dai paesi comunisti, ammettendo però l'esistenza di «lati negativi» che «consistono essenzialmente nei loro tratti autoritari o negli ordinamenti limitativi di certe libertà»; aggiungeva tuttavia che «quei paesi rappresentano una grande realtà sociale, una grande realtà nella vita del mondo di oggi».[12]

Nel novembre di quell'anno Berlinguer pronunciò a Mosca, dove si era recato per le celebrazioni comuniste dei sessant'anni dalla Rivoluzione d'Ottobre dei bolscevichi, un discorso che spinse alcuni, come Ugo La Malfa e Eugenio Scalfari, a ritenere ormai prossima la rottura del PCI con l'Unione Sovietica; altri però, in particolare gli intellettuali della rivista socialista Mondoperaio, non vedevano nessuna rottura, se non una generica presa di distanza dallo stalinismo che non conduceva però ad un effettivo ripudio dell'ideologia marxista-leninista, né all'ammissione di come la repressione del dissenso in URSS fosse una diretta conseguenza di quell'ideologia.[13] In occasione della Biennale di Venezia, tra la fine del 1977 e il 1978, quando il suo Presidente, l'allora socialista Carlo Ripa di Meana, intese dar voce al dissenso degli intellettuali perseguitati dall'Unione Sovietica, il PCI reagì duramente all'iniziativa parlando di provocazione, e sollecitando il governo italiano a ritardare il finanziamento della Biennale; diversi artisti e intellettuali vicini al partito comunista, come Vittorio Gregotti e Luca Ronconi, si dimisero in segno di protesta dal Comitato della rassegna.[14] Il tema dei rapporti del PCI con l'URSS sarà al centro di aspri dibattiti e scontri politici, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, tra Berlinguer e l'emergente leader socialista Bettino Craxi, che rimproverava ai comunisti italiani di mantenere intatti i legami col regime sovietico e di non sposare fino in fondo i valori della socialdemocrazia europea.[15]

L'ambiguità dei rapporti del PCI con l'URSS si protrasse per tutti gli anni Ottanta. Se nel 1981, in seguito al golpe polacco di Jaruzelski che si ribellò a Mosca, Berlinguer giunse a dichiarare conclusa la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre,[16] il PCI tuttavia si oppose duramente all'installazione di una base euromissilistica in Italia come risposta ai missili di nuova generazione puntati dall'URSS contro l'Europa Occidentale. Ancora nel 1984, in risposta al documento dell'allora cardinale Ratzinger che condannava le teologie della liberazione, sia per l'ideologia materialista di stampo marxista ad esse sottesa, ritenuta inconciliabile col cristianesimo, sia per il loro carattere totalizzante derivante da quella stessa ideologia, il mensile Rinascita, da sempre strumento di elaborazione e diffusione della politica culturale del PCI, attaccò duramente le posizioni espresse da Ratzinger, sostenendo che i suoi giudizi sul socialismo in generale e sulle sue applicazioni concrete attuate in Unione Sovietica sarebbero stati "schematici", "grossolani", e privi di "considerazione storica". Solidarizzò col futuro pontefice un ex-membro del PCI, Lucio Colletti, fuoriuscito dal partito in seguito ad una profonda revisione delle proprie convinzioni ideologiche: «Il giudizio del Pci sull'Unione Sovietica è il frutto, tuttora, di un avvilente compromesso intellettuale e morale. Decine di milioni di vittime sotto Stalin; il totalitarismo; il Gulag; un sistema che tuttora procede utilizzando il lavoro forzato dei lager; la mortificazione politica dei cittadini; la giustizia asservita al partito unico: tutti questi non sono ancora argomenti sufficienti perché il Pci possa trovarsi d'accordo con l'elementare verità espressa nel documento di Ratzinger: cioè, che in quei paesi, "milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari"; che questa è una vergogna del nostro tempo; "che si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell'uomo"; e che a questa vergogna si è giunti, "con la pretesa di portare loro la libertà"».[17]

Note modifica

  1. ^ Piero Buscaroli, Dalla parte dei vinti, Mondadori, 2010 ISBN 8804585994.
  2. ^ Cfr. anche Elio Rocco, Missione MRS. 1943-1945. Testimonianze di Elio Rocco, Biblos, Cittadella, 1998, dove scrive: «Non potevamo però non constatare che la Resistenza si era ormai sdoppiata. Le due anime, entrambe valorose, avevano sì il fine comune di far cessare al più presto la guerra, ma anche altri fini contrapposti: l'una, salvaguardare l'integrità territoriale della nazione italiana, e precostituire le basi di un regime democratico filoccidentale; l'altra, accettare la cessione della Venezia Giulia agli Slavi e precostituire le basi di un regime politico filosovietico».
  3. ^ Cfr. anche Gavino Sabadin, La Resistenza veneta, Treviso 1980, dove scrive: «Una parte simile, ma ancora più ancora più drastica, l'attuò il partito comunista durante la Resistenza, secondo le decisioni, istruzioni e mezzi del partito comunista sovietico che si concretò in una massiccia partecipazione alla Resistenza, avente bensì lo scopo strumentale di liberare l'Italia dai Tedeschi e dal fascismo, ma lo scopo finale di sostituirvi la dittatura».
  4. ^ L'eccidio di Porzus e le colpe del Pci, dal Corriere della Sera, febbraio 2012.
  5. ^ Giovanni Fantozzi, Vittime dell'odio: l'ordine pubblico a Modena dopo la liberazione, Bologna, Europrom, 1990.
  6. ^ Giorgio e Paolo Pisanò, Il Triangolo della Morte. La politica della strage in Emilia durante e dopo la guerra civile, Mursia, 1992.
  7. ^ A. Ballarini, M. Micich, A. Sinagra, La rivoluzione mancata. Terrore e cospirazione del Partito Comunista in Italia dalle stragi del 1945 all'abiura di Tito del 1948, Koinè, 2006 ISBN 9788887509694.
  8. ^ «Stalin è morto. Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità», dall'articolo in prima pagina de L'Unità del 6 marzo 1953.
  9. ^ Sono le parole di Valdo Magnani, allora dirigente del partito, cit. in N. Caini, La formazione del gruppo dirigente comunista nella testimonianza di Valdo Magani, in "Ricerche storiche", n° 61, Reggio Emilia 1988, pag. 73.
  10. ^ Piero Melograni, L'egemonia culturale della sinistra.
  11. ^ Relazione di Enrico Berlinguer al XIV Congresso del Pci, Editori Riuniti, Roma 1975.
  12. ^ RAI, Videoteca Centrale, Tribuna politica, Incontro stampa con il Pci, 10 febbraio 1977.
  13. ^ Cfr. S. Pons, La politica internazionale di Berlinguer negli anni dell'"unità nazionale": eurocomunismo, NATO e URSS (1976-1979), in A. Giovagnoli, L. Tosi (a cura di), Un ponte sull'Atlantico. L'alleanza occidentale 1949-1999, Guerini, Milano 2003, pp. 181-198.
  14. ^ Il dissenso a Venezia, Tavola Rotonda con F. Coen, J. Pelikian, C. Ripa di Meana, R. Rossanda, A. Tortorella, "Mondoperaio" n. 1, gennaio 1978.
  15. ^ Cfr. C. Ripa di Meana, Bettino Craxi e il dissenso. Una lunga e grande storia, in Bettino Craxi, il socialismo europeo e il sistema internazionale, Intervento al Convegno della Fondazione Craxi, Milano, 29 gennaio 2005.
  16. ^ Miriam Mafai, Dimenticare Berlinguer: la sinistra italiana e la tradizione comunista.
  17. ^ (Lucio Colletti, Le teologie della Liberazione e il marxismo, 1984, articolo apparso su Mondoperaio).