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STRAFEXPEDITION

L'origine del nome "Straf-Expedition" risale alle truppe austriache di lingua tedesca nel momento del trasferimento in Tirolo, prima dell’inizio delle ostilità. Questo soprannome era molto diffuso negli ambienti militari e letterari italiani, eppure una pari popolarità non si è riscontrata nella storiografia tedesca [1]. Molto citato è l’episodio di un disertore ceco, il tenente Anton Krecht che, lasciate le proprie file il 26 aprile 1916, ha riferito ai servizi italiani che l’attacco era stato denominato “Al Po!”, ma che era una Straf-Expedition, una "spedizione punitiva" con lo scopo di punire l'Italia, l’ex alleato traditore.[1] Qualche storico italiano ipotizzava così che il termine rappresentasse la sigla ufficiale dell’operazione[1]. In realtà nessun documento riservato austriaco citava quel termine e nessun ufficiale asburgico adoperava formalmente nei propri scritti o nelle memorie la parola "Straf-Expedition". Sono giunte invece testimonianze del suo uso presso ufficiali italiani al fronte. Ciò fa supporre che il termine fosse stato acquisito con l'intento di utilizzarlo in termini sarcastici qualora l’offensiva fosse, come si era certi, fallita[1].


Per Strafexpedition si intende quindi la spedizione punitiva attuata dagli Alleati contro l'Italia, l'ex-alleato traditore. L'attacco avrebbe reso gli austriaci in grado di poter isolare completamente le armate italiane sull'Isonzo e, inoltre, avrebbe impedito agli italiani di svolgere lavori di rafforzamento lungo la linea occupata nel maggio-giugno 1915, cioè il settore degli altipiani di Folgaria, Fiorentini e Lavarone [2]. La spedizione è stata voluta dal Generale Franz Conrad in funzione risolutiva del conflitto. [2] La zona più strategica per l'attacco austriaco secondo Conrad è quella compresa tra la Val d'Adige, in direzione di Verona e la Valsugana, verso Bassano: l'area, portante alla pianura veneta, dispone infatti della ferrovia che collega la città di Innsbruck a quella di Trento.[2] L'area compresa tra le due valli presenta un territorio montuoso e accidentato, con picchi che superano i 2000 metri di altezza. [1] Un'offensiva in tale zona renderebbe, però, possibile la conquista di importanti capisaldi montani, tra cui il Coni Zugna, che domina le valli Lagarina e Vallarsa, il massiccio del Pasubio, il monte Toraro ed anche i massicci che dominano l'altopiano di Asiago, Verena e Portule.[1] Viene citato che nel 1908 il gen. austriaco Conrad, ispezionando la frontiera italiana in Trentino, fermatosi presso il passo di Campogrosso, abbia affermato che la zona sarebbe stata una "buona porta" per scendere in Italia.[1]

Nel dicembre 1916 Conrad propone la spedizione al tedesco von Falkenayn, che sconsiglia vivamente il piano e gli nega l'appoggio, poiché preferisce che la Germania concentri tutti gli sforzi sui principali fronti. Conrad è deciso ad attuare l'offensiva anche in mancanza della collaborazione dell'alleato di Berlino, perciò invia il piano all'Arciduca Eugenio [2]. I preparativi per l'offensiva iniziano il 12 dicembre 1916, ma a causa del maltempo la spedizione è costretta a posticipare: la fanteria affonda nella neve ed ogni assalto viene ostacolato dal terreno pesante, inoltre i colpi di artiglieria non esplodono nella coltre nevosa, non provocando il loro devastante effetto. [1] L'idea iniziale è quella di utilizzare la 3a Armata al fianco dell'11a per un attacco a fondovalle. [1] Per non destare sospetti al nemico, gli austriaci trasferiscono prima le unità dell'11esima Armata e successivamente quelle della 3a in Tirolo: inizialmente sul fronte dell'Isonzo, in seguito nelle retrovie sudtirolesi ed infine vengono avviate in linea. [1] Le truppe italiane in trincea iniziano a percepire qualcosa di imminente, ma nonostante i sibili profondi che precipitano sollevando cumuli di terra, i soldati continuano la vita di tutti i giorni[1]. L'11 maggio Cadorna ispeziona le linee della Valsugana, constatando come le linee di massima resistenza siano poco attrezzate e non sicure [1]. Cadorna inizia così a temere un'imminente offensiva, non sospettando, però, di un attacco sui monti.

La Strafexpedition coglie gli italiani in una fase di riassetto [2]. I comandi italiani della 1a Armata, schieratasi sul fronte trentino, infatti, si sono dovuti adeguare alle scelte difensive austriache, finendo così per disporre truppe e artiglierie in una posizione sfavorevole.[1] Il Generale Italiano Cadorna, ai primi del maggio 1916, è, quindi, costretto a dare nuove disposizioni per una risistemazione difensiva.[1]

Nel momento culminante dell'attacco, l'Austria arriva a schierare oltre 400.000[2] uomini sul fronte trentino per quella che, successivamente, verrà considerata una delle più devastati battaglie mai combattute sui monti. Inizialmente l'Austria ha un discreto vantaggio in ambito di artiglieria e qualità degli armamenti, disponendo, infatti, di circa 1000 bocche da fuoco[2].

Le principali direttrici dell'attacco austriaco sono quattro[2] : 1. la Vallarsa fino al massiccio del Pasubio; 2. lungo la Val d'Astico dagli altipiani dei Fiorentini e di Folgaria; 3. in Valsugana, avendo come obiettivo la pianura circostante Bassano del Grappa; 4. gli altipiani di Vezzena, Asiago e Luserna.

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n Strafexpedition: maggio-giugno, Enrico Acerbi, Gino Rossato Editori, finito di stampare nel 1998
  2. ^ a b c d e f g h La I Guerra Mondiale nel Vicentino, Giuseppe Testolin, Liceo Scientifico G.B. Quadri

Bibliografia modifica

  • Enrico Acerbi, Strafexpedition: maggio-giugno, Gino Rossato Editori, 1998
  • Giuseppe Testolin, La I Guerra Mondiale nel Vicentino, 2007, Vicenza (fascicolo edito per il Liceo Scientifico G.B. Quadri)