Il bombardamento dell'abbazia modifica

«Quando il nemico ebbe deciso di includere Montecassino nel suo sistema difensivo, l'abbazia sulla vetta divenne inevitabilmente un bersaglio legittimo; infatti non si sarebbe potuto conquistare la montagna senza coinvolgere la sua cima: la guerra non si gioca fra le linee bianche secondo i fischi dell'arbitro»

Il campo di battaglia di Cassino era dominato dalla millenaria abbazia benedettina di Montecassino, la quale dominava la città a circa 526 metri s.l.m., e rappresentava un punto di riferimento storico e culturale molto importante per la cristianità in Italia e nel mondo. Il monastero inoltre conservava al suo interno migliaia di opere d'arte provenienti da Napoli, Capodimonte, Siracusa e diverse altre località, spostate all'interno dell'abbazia per salvaguardarle dalla furia dei combattimenti in corso nel sud Italia fin dall'estate del 1943. E se inizialmente il monastero venne ritenuto un luogo sicuro, in quanto la sua importanza storica lo avrebbe tenuto fuori dai combattimenti, nell'ottobre dello stesso anno per iniziativa di due generali tedeschi i manufatti artistici dell'abbazia vennero portati nella capitale[2]. Per decisione del generale tedesco Paul Conrath Montecassino si sarebbe trasformata in un centro di resistenza; nei primi giorni di febbraio sembrò che la battaglia avrebbe potuto risparmiare l'abbazia di Montecassino, ancora il 5, i monaci benedettini poterono assistere ai combattimenti a diverse centinaia di metri dall'abbazia. Ma l'avanzata degli Alleati tolse ogni residua speranza agli abitanti di Cassino che dovettero constatare come, nonostante le rassicurazioni di entrambi i belligeranti, il monastero venisse colpito sempre più spesso dall'artiglieria di entrambi gli schieramenti[3].

 
Le direttrici d'attacco durante la seconda battaglia di Cassino

Agli inizi del dicembre 1943 i tedeschi avevano dichiarato "zona neutrale" una fascia di 300 metri intorno a Montecassino e non vi avevano stanziato alcun soldato, ma ciò non impedì loro di utilizzare le caverne vicino le fondamenta come magazzini per le munizioni, distruggere le costruzioni attorno al monastero e a Cassino per migliorare il campo di tiro, posizionare tutt'attorno mitragliatrici, armi pesanti e punti d'osservazione per l'artiglieria: l'abbazia, di fatto, fu integrata nel fronte difensivo[3][4]. Secondo i resoconti dei monaci la "zona neutrale" fu abolita già il 5 gennaio 1944 e, durante la sua pur breve esistenza, l'abate Diamare ebbe diverse occasioni per lamentarsi delle violazioni tedesche; addirittura, il 26 dicembre, fu lo stesso generale von Senger (che il giorno precedente aveva presenziato con suoi ufficiali alla messa di Natale) a dare ordine di «allestire difese fino alle mura dell'abbazia, se necessario»[5]. A ogni modo furono evacuati anche gli sfollati presenti a Montecassino, fatta eccezione per tre famiglie troppo malate, Diamare e una mezza dozzina di monaci, tra cui l'abate Martino Matronola. Tuttavia l'intesificarsi della battaglia fece sì che diverse centinaia di civili si riversassero tra le mura del monastero, considerato l'unico luogo sicuro[6].

In campo alleato il maresciallo Alexander si dimostrò deciso a non allentare la pressione offensiva sul fronte di Cassino a dispetto del sanguinoso scacco subito, anche perché oggetto di pressioni da parte di Londra e Washington preoccupate dalla lentezza e dagli insuccessi nella campagna d'Italia[7]. Il 12 febbraio Alexander mise insieme il Corpo d'armata neozelandese al comando del tenente generale Freyberg e lo mise a disposizione della 5ª Armata: la grande unità era formata dalla 2ª Divisione neozelandese al comando del maggior generale Howard Kippenberger, dalla 4ª Divisione indiana del maggior generale Francis Tucker (che il 6 febbraio, per questioni di salute, cedette il comando al pari grado Harry K. Dimoline), dalla 78ª Divisione fanteria britannica al comando del maggior generale D.C. Butterworth (giunta al fronte solo il 17 a causa della neve che cadeva sul versante adriatico) e rimpiazzò temporaneamente il II Corpo d'armata statunitense[8]. La seconda offensiva ricalcava il piano di gennaio: la 4ª Divisione indiana avrebbe assaltato il monastero, liberato l'altura e sarebbe discesa nella valle del Liri, mentre la 2ª Divisione neozelandese avrebbe passato il Rapido appena a nord di Sant'Angelo, preso Cassino e aperto l'accesso alla valle alla 1ª Divisione corazzata che si sarebbe precipitata alla testa di sbarco di Anzio. Era opinione comune che, con forze fresche, l'operazione avrebbe avuto successo[9].

 
15 febbraio 1944: una "fortezza volante" sopra l'Abbazia

Fin dai primi giorni di febbraio Freyberg aveva avvertito il generale Clark che forse sarebbe stato necessario «buttare giù» il monastero e, il 12, presentò ufficialmente la richiesta dopo aver ricevuto diverse testimonianze circa la presenza di osservatori tedeschi nell'abbazia. Trovandosi ad Anzio, Clark fu avvertito dal suo vice, il maggior generale Alfred Gruenther, il quale gli trasmise il messaggio di Freyberg: «Voglio che sia bombardato [...] Gli altri obiettivi non contano, ma questo è di importanza vitale. Il comandante di divisione che conduce l'attacco lo ritiene un obiettivo essenziale e io sono completamente d'accordo con lui». Gruenther contattò Clark e tutti i comandi di terra statunitensi, nessuno dei quali trovava giustificato quel bombardamento[10][11]; il generale Keyes, anzi, ammonì a non procedere con il bombardamento perché il monastero distrutto avrebbe accresciuto il suo valore militare, in quanto i tedeschi si sarebbero sentiti liberi di farne una barricata[12]. Clark, nelle sue memorie, scrisse che se Freyberg fosse stato un suo subordinato avrebbe semplicemente respinto la sua richiesta, ma che «alla luce del desiderio degli inglesi di trattare i neozelandesi con molta diplomazia e con molto tatto»[13][N 1] era stato costretto a rimandare la decisione chiedendo il parere di Alexander. Questi diede istintivamente ragione al neozelandese affermando che «Quando i soldati stanno combattendo per una giusta causa e sono pronti ad affrontare anche la morte e la mutilazione, non si può permettere che dei mattoni e dell'intonaco, per quanto venerandi, abbiano un peso di fronte a vite umane»[11]. Clark rimaneva comunque l'unico a poter dare l'ordine esecutivo e, seppur contrario, cedette alle pressioni politiche e alla motivazione di Freyberg, che rincarò con due argomentazioni. Gli fece notare che se avesse rifiutato il bombardamento del monastero si sarebbe dovuto accollare la responsabilità di un eventuale fallimento dell'attacco; poi si richiamò alla "necessità militare" che il comandante supremo Eisenhower aveva postulato quale discrimine imprescindibile di fronte alla scelta se sacrificare i soldati alleati o salvaguardare l'eredità artistico-culturale italiana[14].

A sinistra gli effetti del bombardamento, a destra i paracadutisti tedeschi all'interno del chiostro dopo la distruzione del monastero

L'accenno alla "necessità militare" tolse ogni possibilità a Clark di opporsi a Freyberg e, dopo aver ricevuto l'approvazione dai vertici, il bombardamento dell'abbazia fu fissato per il 13 febbraio[15]. Il monastero era stato fondato nel VI secolo d.C. con spiccate funzioni difensivo-militari e perciò possedeva mura di notevole spessore, che si ergevano sulla roccia presentando una facciata liscia e insormontabile. L'unico ingresso era il portone principale. Poiché i bombardieri medi non potevano trasportare un quantitativo sufficiente di esplosivo a sbriciolare le massicce mura, si dovettero impiegare i quadrimotori Boeing B-17 Flying Fortress della forza aerea strategica; siccome erano apparecchi progettati per attacchi da alta quota, il bombardamento sarebbe dovuto avvenire in una giornata serena per mirare a un obiettivo tanto piccolo. Le difficoltà di coordinamento tra forze di terra e aeree erano state valutate, ma le tecniche per un'operazione del genere non erano ancora state ben sperimentate appieno: quindi si scartò l'idea di sincronizzare strettamente l'incursione aerea e l'offensiva terrestre[16].

Il maltempo costrinse a rinviare il bombardamento alla mattina del 15 febbraio; intanto, il 14, si fecero esplodere sopra l'abbazia proiettili di artiglieria contenenti volantini che avvisavano l'imminente distruzione del monastero. Quando la notizia arrivò agli sfollati alcuni fuggirono nelle grotte vicine, altri si ripararono nei sotterranei e altri furono rischiosamente evacuati nella notte dai tedeschi[17]. Alle 09:45 dell'assolato 15 febbraio la prima ondata di 142 B-17 della Fifteenth Air Force sganciò 253 tonnellate di bombe ad alto potenziale e incendiarie, seguita da una seconda ondata di 47 bimotori North American B-25 Mitchell e 40 bimotori B-26 Marauder della Mediterranean Allied Air Forces che sganciò altre 100 tonnellate di bombe a partire dalle 13:00. Gli attacchi aerei furono seguiti da un poderoso tiro di artiglieria. L'effetto sull'edificio fu drammatico: un tenente tedesco riferì che fu come se «[...] la montagna si fosse disintegrata, scossa da una mano gigantesca»[18] e lo stesso generale Clark scrisse che «Avevo visto l'antica abbazia solo da lontano, ma quella mattina mentre le salve tuonanti delle esplosioni parevano spaccare il monte, fui certo che non l'avrei mai più potuta vedere da vicino»[19]. Verso le 12:00 il generale von Senger inviò il seguente telegramma al generale von Vietinghoff: «La 90ª Divisione granatieri corazzati riferisce che l'Abbazia di Monte Cassino è stata bombardata il 15 febbraio alle 9:30 da 31 quadrimotori; alle 9:40 da 34; alle 10:00 da 18. I danni non sono stati ancora calcolati. L'attacco era stato preannunciato dal lancio di manifestini che asserivano, a giustificazione, che nell'interno dell'Abbazia vi erano armi automatiche. Il responsabile del settore di Cassino, colonnello Karl Lothar Schultz, comandante del 1° Reggimento di paracadutisti, a tal proposito riferisce che le truppe non avevano piazzato armi dentro il Monastero»[20]. Nel pomeriggio monaci e civili iniziarono a lasciare i loro rifugi, ma altri rimasero nascosti fra le macerie. Non si seppe mai quanti tra i civili affluiti a Montecassino (tra i 1 000 e i 2 000) siano rimasti uccisi; nel 1977 uno storico locale sostenne che perirono circa 230 persone e altre valutazioni hanno alzato il numero di diverse centinaia. Eppure tutte le testimonianze di coloro che rimasero coinvolti nel bombardamento concordano nel dire che la maggior parte dei profughi sopravvisse[21]. In ogni caso, le vittime furono unicamente civili e non fu mai raccolta prova di eventuali vittime tedesche[22].

Ovviamente i tedeschi utilizzarono il bombardamento a loro vantaggio sia militarmente che in ambito propagandistico. Le rovine dell'abbazia e le spesse mura perimetrali ancora in piedi furono rapidamente occupate dagli uomini di von Senger, e gli operatori dell'esercito inviarono a Berlino le riprese delle macerie fumanti che il ministro della propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, non esitò a utilizzare per dare credito al leit-motiv della barbarie alleata contro la missione civilizzatrice tedesca[23].

L'attacco del Corpo neozelandese modifica

 
Il generale neozelandese Bernard Freyberg, il maggior sostenitore del bombardamento dell'abbazia di Montecassino

Concluso il bombardamento emersero subito gravi falle nella pianificazione degli Alleati. In primo luogo le mura del monastero erano ancora intatte alla base, perciò non si era creato nessun facile accesso. In secondo luogo si ravvisò l'impreparazione delle truppe destinate a condurre l'assalto all'altura. Infatti il generale Dimoline, comandante della divisione indiana, aveva ripetutamente chiesto al generale Freyberg di rimandare l'attacco al 16 febbraio, perché pochi giorni prima i suoi uomini avevano avvisato che Quota 593 era saldamente in mani tedesche (e non statunitensi come si pensava): avevano perciò bisogno di più tempo per organizzarsi. Ma l'urgenza creata dal pericoloso contrattacco tedesco ad Anzio (operazione Fischfang), le favorevoli condizioni meteorologiche e il mancato coordinamento significarono l'accantonamento della richiesta[24]. Il bombardamento, anzi, prese del tutto alla sprovvista gli indiani e alcune loro compagnie, ancora stanziate in vista del monastero, riportarono perdite a causa degli ordigni. Nel pomeriggio del 15 febbraio Freyberg ordinò l'attacco all'abbazia, ma i comandanti al fronte si rifiutarono: spiegarono che, finché Quota 593 fosse stata presidiata dai tedeschi, qualsiasi movimento verso Montecassino sarebbe stato fermato dal fuoco di fiancheggiamento proveniente dall'altura. Fu dunque giocoforza affidare la conquista di Quota 593 agli uomini del battaglione "Sussex", programmato per l'imbrunire; fu preceduto da una seconda incursione sull'abbazia ma, dato che nessuno conosceva la reale consistenza dei difensori di Quota 593, gli indiani effettuarono un primo attacco alla cieca e furono respinti. Una seconda offensiva, scattata dopo aver ricevuto i rifornimenti portati dai muli lungo difficili mulattiere, si infranse contro i robusti capisaldi costruiti dai granatieri corazzati della 90ª Divisione tedesca[25] e costò grosse perdite. In quelle due notti più del 50% degli uomini del "Sussex" impegnati rimase ucciso o ferito[26].

 
Paracadutisti tedeschi appostati tra le macerie di Cassino con una MG 42; sulle pietre sottostanti, pronte all'uso, si riconoscono le caratteristiche Stielhandgranate 24 e una Eihandgranate 39

In quegli stessi giorni la situazione della testa di ponte ad Anzio era peggiorata e, dunque, il generale Clark sollecitò Freyberg a rinnovare gli attacchi su Cassino pur di attirare riserve tedesche. Il generale neozelandese ordinò un nuovo assalto al monastero e simultaneamente un attacco nella valle del Liri da parte della 2ª Divisione neozelandese, a dispetto dei grossi problemi logistici: la divisione indiana doveva superare ripidi sentieri e scalare la roccia nuda, i neozelandesi furono ostacolati dall'inondazione artificiale della valle e dalla pioggia che, incessante dal 4 febbraio, aveva reso il terreno impraticabile; solo la direttrice del terrapieno ferroviario che portava alla stazione di Cassino era percorribile, seppur in parte distrutta e in larga parte minata. Perciò il comandante Howard Kippenberger decise di tentare l'assalto alla stazione con un solo battaglione, lasciando successivamente ai genieri il compito di riparare la strada e consentire ai mezzi corazzati e al resto della divisione di avanzare[27]. Il reparto scelto fu il tenace 28º Battaglione māori che, alle 21:30 del 17 febbraio, iniziò ad avanzare verso la stazione imbattendosi subito nei campi minati, nei reticolati e nel tiro delle mitragliatrici tedesche[28]. Dopo circa un'ora i māori raggiunsero il primo obiettivo, un edificio a sud della stazione, da cui avanzarono verso la stazione stessa: per un'ora vi infuriarono feroci scontri ravvicinati contro i paracadutisti tedeschi: «Quella notte fu tutto un corpo a corpo [...] non saprò mai come abbiano fatto i miei soldati a riconoscere uomini e cose. Era una notte completamente buia [...]» raccontò nel dopoguerra il capitano Monty Wikiriwhi, comandante di una compagnia[29]. Le prime luci dell'alba trovarono il battaglione attestato nella stazione ferroviaria e i genieri vicini al completamento del lavoro loro affidato che, tuttavia, non poté essere continuato durante il giorno sotto il tiro dell'artiglieria tedesca; i genieri dovettero ritirarsi e lasciarono i māori isolati. Il generale Kippenberger si trovò quindi di fronte a un dilemma: ordinare all'artiglieria di creare una cortina fumogena attorno alla stazione durante tutto il giorno (facilitando, però, anche eventuali puntate offensive tedesche) oppure mantenere le posizioni raggiunte e sperare che l'artiglieria alleata fosse capace di sostenerli alla bisogna. Kippenberger scelse il male minore e ordinò all'artiglieria di stendere una cortina fumogena, ma ciò non impedì ai tedeschi di contrattaccare supportati dai carri armati (tra cui alcuni M4 Sherman appena catturati); i māori furono sconfitti e costretti a ripiegare sui punti di partenza con gravi perdite: dei 200 uomini partiti all'attacco il 17 ben 130 erano rimasti uccisi o feriti[30][31].

Nel frattempo le truppe indiane si erano trovate in grosse difficoltà sul colli dell'abbazia. Ai tre battaglioni dell'11ª Brigata fu ordinato di passare le posizioni del "Sussex" e, nottetempo, attaccare di nuovo Quota 593 e avanzare verso l'abbazia, in modo tale da entrare a Cassino da settentrione e congiungersi con i māori. Quota 593 fu conquistata solo parzialmente da un pugno di Gurkha, ma le postazioni rivolte al monastero erano ancora saldamente in mano dei tedeschi che, quindi, potevano battere il terreno percorso dai reparti indiani alla volta dell'abbazia. Sottoposti a un terribile tiro incrociato da Quota 593 e da quelle davanti a loro, i Gurkha furono costretti a ritirarsi e con la luce del giorno si decise di rinunciare definitivamente all'attacco. Le perdite furono molto gravi: il 1º Battaglione del 9º Reggimento Gurkha (1/9) aveva perso 100 uomini, il 1/2 contò 149 vittime compresi quasi tutti gli ufficiali britannici; sorte peggiore toccò al 4/6 "Rajputana" con poco meno di 200 perdite, un duro colpo per una divisione considerata d'élite[32][33]. Il 18 febbraio la battaglia ebbe termine e i tedeschi rimasero i padroni del campo; per di più il generale von Senger poté trasformare i resti dell'abbazia in una fortezza inespugnabile[32]. Per i tedeschi si trattò di una netta vittoria difensiva, amplificata dai successi ottenuti ad Anzio dalla 14ª Armata negli stessi giorni, le cui unità stavano penetrando pur a fatica verso la costa; per un momento sembrò addirittura che gli Alleati dovessero evacuare la testa di ponte.[34]. Il bombardamento dell'abbazia è considerato un peccato grave ma, secondo lo storico Morris, non si trattò in sé di un grave errore tattico. La vera deficienza operativa fu la completa mancanza di coordinazione fra l'attacco aereo e quello terrestre[32].

  1. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Morris313
  2. ^ Il salvataggio dei beni artistici e culturali di Montecassino e depositati a Montecassino, su cdsconlus.it, Centro Documentazione e Studi Cassinati. URL consultato il 13 gennaio 2019..
  3. ^ a b Hapgood-Richardson, p. 140.
  4. ^ Parker, p. 195.
  5. ^ Hapgood-Richardson, p. 257.
  6. ^ Parker, p. 196.
  7. ^ Hapgood-Richardson, p. 149.
  8. ^ Morris, p. 314.
  9. ^ Parker, pp. 193-194.
  10. ^ Clark, p. 337.
  11. ^ a b Parker, p. 197.
  12. ^ Parker, pp. 196-197.
  13. ^ Clark, p. 336.
  14. ^ Parker, pp. 194-195.
  15. ^ Parker, p. 199.
  16. ^ Jackson, p. 244.
  17. ^ Parker, pp. 199-200.
  18. ^ Parker, p. 206.
  19. ^ Clark, p. 339.
  20. ^ Blumenson, p. 12.
  21. ^ Hapgood-Richardson, pp. 219-220.
  22. ^ Hapgood-Richardson, p. 220.
  23. ^ Parker, p. 209.
  24. ^ Parker, p. 210.
  25. ^ von Senger, p. 289.
  26. ^ Parker, pp. 213-215.
  27. ^ Parker, pp. 215-216.
  28. ^ Parker, p. 216.
  29. ^ Parker, p. 217.
  30. ^ Morris, pp. 321-322.
  31. ^ Parker, p. 222.
  32. ^ a b c Morris, p. 322.
  33. ^ Parker, pp. 218-219.
  34. ^ Parker, p. 223.


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