Wikipedia:Vaglio/Attentato di via Rasella/2

Il lavoro su questa voce continua, sempre puntando alla vetrina. Ecco un nuovo vaglio dopo il primo, molto partecipato e di fatto continuato in pagina di discussione. Il vaglio si intende esteso anche alle voci di approfondimento:

--Demiurgo (msg) 18:06, 18 ott 2015 (CEST)[rispondi]

E, già che ci siamo, sarebbe bene dare una sistemata anche a Piero Zuccheretti.--Demiurgo (msg) 15:50, 29 ott 2015 (CET)[rispondi]

Revisori modifica

Suggerimenti modifica

Sull'esistenza di rappresaglie tedesche per gli attentati del dicembre 1943 modifica

Tutte le citazioni che seguono sono tratte dal libro di Santo Peli Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, Torino 2014. Secondo Peli, per tutta una prima fase, che va grosso modo dal settembre 1943 al marzo '44, la strategia repressiva antipartigiana dei tedeschi si articola diversamente fra città e campagna. In campagna i tedeschi, fin da subito, non esitano a perpetrare spietate «rappresaglie teroristiche» sulla popolazione civile, come la strage di Boves del 19 settembre 1943. Nelle città i «comandi militari tedeschi (...) tengono un profilo, se non conciliante, in generale alieno dal prendere drastiche misure d'ordine pubblico, a meno di essere direttamente attaccati, mentre rispondono con ferocia annichilente alle formazioni dei primi nuclei partigiani in montagna» (pp. 18-9). Inizialmente, mentre i fascisti - che sono quelli più spesso attaccati dai Gap - premono per eseguire rappresaglie anche in città, «l'esercito occupante (...) sarà piuttosto restio a ricorrere a misure repressive molto dure, che avrebbero, tra l'altro, l'effetto di rendere ancora più complicato lo svolgersi delle attività produttive, alle quali i tedeschi sono massimamente interessati. Anche l'allungamento del coprifuoco, o il divieto di transito per le biciclette, sono risposte agli attacchi dei Gap prese controvoglia, che gli occupanti vorrebbero evitare se appena possibile» (p. 20). Questa prima fase della repressione antigappista, dal punto di vista delle indagini, è demandata soprattutto alla polizia italiana. «Per quanto riguarda i tedeschi, la rappresaglia, lungi dall'essere una costante rigorosamente regolamentata, viene esercitata con tempi e modi assai variabili: feroce da subito sulle montagne, ma schiva e, spesso, addirittura assente in città; almeno fin quando non vengono direttamente attaccati» (p. 21). Nelle grandi città i tedeschi, inizialmente, sono «interessati a incentivare la sensazione che nulla sia cambiato», in un «clima di normalità, nel quale i cittadini italiani, purché laboriosi, obbedienti e inoffensivi, non abbiano nulla da temere» (pp. 21-2).
Questo clima di «pseudonormalità» è proprio quello che i Gap con le loro azioni si incaricano di dissipare; per loro è fondamentale creare anche in città una «atmosfera di guerra» (p. 22). «Farlo senza suscitare reazioni terroristiche, fucilazioni di ostaggi, di detenuti antifascisti, non è possibile. Accettare il ricatto della rappresaglia sui civili, come da subito sostengono tutti i dirigenti della guerra partigiana, significa rinunciare a combattere» (p. 23).
Sostenere che, fino al marzo '44 (quando l'atteggiamento dei tedeschi cambia radicalmente, per ragioni su cui ora non mi dilungo), la repressione antigappista nelle città sia piuttosto blanda non significa affatto disegnare l'immagine irrealistica di un occupante benevolo e "umano". L'oppressività dell'occupazione è presente fin dall'inizio, anche nelle città, solo che non si manifesta come rappresaglia nei confronti degli attentati gappisti. Secondo me, sarebbe - questo sì - involontariamente giustificatorio nei confronti dei nazisti vedere ogni manifestazione di violenza da parte loro come una "risposta" agli attentati dei Gap; in realtà «la violenza dei fascisti e dei nazisti preesiste a qualunque tipo di resistenza e di opposizione» (p. 213).
Per tornare a noi. Stiamo parlando di due righe in NS0, nelle quali si rileva che, secondo Portelli, gli attentati del dicembre 1943 non furono seguiti da nessuna rappresaglia. Per essere più precisi, Portelli parla di una risposta tedesca, che (secondo lui) si sarebbe concretizzata in un inasprimento del coprifuoco e nel divieto di circolare con biciclette; risposta tedesca che Portelli non qualifica come rappresaglia. Invece Carlo Gentile - a quanto pare - aggiunge che furono arrestati degli ostaggi, e qualifica tale risposta come rappresaglia. (Non si tratta di una mera questione fattuale, come qualcuno de cuyo nombre no quiero acordarme ha scritto in pagina di discussione. È anche una questione di qualificazione del fatto. Quando mi è parso evidente che Portelli sbagliasse su una questione fattuale - quella della presunta assenza di bombardamenti dopo via Rasella - non ho avuto difficoltà ad acconsentire a che il suo errore venisse cassato senz'altro. Per inciso, non mi pare che quella dell'assenza di rappresaglie prima di via Rasella sia una "tesi cardine" del saggio di Portelli).
Secondo me potremmo anche riportare il parere di entrambi, Portelli e Gentile, come è stato suggerito a suo tempo da Gianfranco. Tuttavia, se tu, @Demiurgo (e mi rivolgo a te perché credo che tu parli con cognizione di causa avendo letto la fonte Gentile), ritieni che sia più giusto seguire Carlo Gentile e cassare senz'altro il parere di Portelli, io non mi oppongo. --Salvatore Talia (msg) 22:58, 18 ott 2015 (CEST)[rispondi]

Adesso l'estrema linea del Piave è questa: non è vero che Portelli affermi che non successe nulla dopo gli attentati del GAP precedenti a via Rasella. E non è vero che per Portelli questo sia un passaggio fondamentale della tesi espressa nel suo libro. Adesso si deve dire che Portelli cita le reazioni tedesche, ma non le qualifica come rappresaglie. Una questione non fattuale quindi, ma puramente terminologica. Portelli - secondo quanto afferma Talia, che di Portelli è stato ed è il profeta - quindi avrebbe citato le reazioni tedesche alle azioni gappiste precedenti a via Rasella, pur senza qualificarle come "rappresaglie". Andiamo a verificare se ciò sia vero. La seconda cosa da fare è la verifica di un importante corollario della linea del Piave, e cioè se il buon Talia abbia comunque messo in luce queste reazioni-non rappresaglie (che Portelli citerebbe nel suo libro) all'interno del testo che oggi appare in NS0. Giacché le citazioni portelliane nella voce sono tutte quante state inserite da Talia, in modo da farlo risultare di grandissima lunga l'autore più citato.
Primo aspetto. E' vero che Portelli riporta le reazioni tedesche alle azioni gappiste, pur senza giudicarle "rappresaglie"? Nel libro di Portelli prima si fa l'elenco di varie azioni gappiste precedenti a via Rasella, e poi si scrive: "I tedeschi vietano l'uso delle biciclette, anticipano il coprifuoco; ma né questa né altre azioni del genere sono seguite da rappresaglie". Avete capito, o nostri venticinque lettori? Per Portelli le reazioni tedesche furono il divieto di uso di biciclette e l'anticipazione del coprifuoco. Punto. Non successe altro. Quindi non esistono le decine di arresti successive agli attentati del 18/19 diecembre (ma nemmeno per gli altri attentati "del genere": occhio a questo punto su cui tornerò dopo). Non esistono le successive deportazioni in Germania di svariati arrestati. Non esistono nemmeno le morti nei Lager tedeschi degli arrestati. Non esistono le uccisioni con rapporto 10/1 pur descritte nella voce (qualche paragrafetto dopo l'intemerata portelliana, paragrafetto ovviamente non tratto da Portelli per il quale non successe nulla). Non esistono le irruzioni di Banda Koch e SS nei seminari del 20 ottobre con arresto di 20/30 persone di cui alcune spedite direttamente ad Auschwitz. Non è successo nulla, a parte le biciclette e due ore di coprifuoco in più. Cade quindi in due secondi il primo assunto di Talia: non è vero che Portelli qualifichi in modo diverso la reazione tedesca. La realtà è che Portelli proprio la reazione tedesca la nega. Sbagliando clamorosamente. Altrettanto clamoroso - imho - è che Talia - il quale in altro loco si erge a paladino della corretta interpretazione delle fonti - si costringa adesso a queste contorsioni per negare la preclara evidenza di ciò che scrive Portelli.
Secondo aspetto. Ammettiamo però per un attimo che Portelli abbia qualificato diversamente questa reazione tedesca. Cioè: ammettiamo che effettivamente Talia abbia chissà come interpretato in questo modo le parole di Portelli. Talia ha immediatamente compreso che Portelli ha parlato delle reazioni tedesche, qualificandole come "non rappresaglie". Andiamo a verificare cos'ha scritto Talia in NS0: ci sarà pure un barlume di questa cosa così! Invece sai che c'è? C'è che Talia ha scritto così: "I GAP furono protagonisti di numerose azioni, la prima delle quali il 18 ottobre 1943, quando attaccarono con bombe a mano un corpo di guardia della Milizia; fra le azioni più importanti: un attacco con bombe a mano contro militari tedeschi il 18 dicembre; un attentato dinamitardo contro il Tribunale di guerra tedesco il 19 dicembre; un attentato con spezzoni esplosivi contro un corteo di volontari della Guardia Nazionale Repubblicana nel mese di marzo. Secondo Alessandro Portelli, nessuna delle azioni del dicembre 1943 fu seguita da alcuna rappresaglia tedesca su ostaggi civili, benché in esse fossero morti complessivamente più di dieci uomini dell'esercito occupante *. Di rilievo, tra quelle sopra menzionate, l'azione del 19 dicembre 1943, quando i GAP penetrarono in zona di alta sicurezza e fecero esplodere ordigni contro l'Hotel Flora, sede del Tribunale Militare germanico". Fin qui, nessuna reazione descritta nella voce, nemmeno accennata: niente rappresaglie, ma nemmeno niente altro. Nemmeno le biciclette. Nemmeno il coprifuoco. Dove ho messo il * c'è però una nota: vuoi vedere che Talia ha qui fatto riferimento alle non-rappresaglie portelliane, cioè - per lo meno - alle biciclette e al coprifuoco? Nella nota c'è scritto così: "Portelli 2012, pp. 160-1. Circa un'azione del 18 dicembre contro soldati che uscivano da una proiezione al cinema Barberini (ove, sempre secondo Portelli, morirono otto tedeschi), Portelli (op. cit., p. 408) precisa che il dato sulle perdite tedesche è stato "ricostruito da Cesare De Simone attraverso i mattinali degli ospedali e dei commissariati ([C. De Simone], Roma città prigioniera, cit. [Mursia, Milano 1994], pp. 43-45)"." E questo è tutto. Nemmeno le non-rappresaglie sono citate. Quindi addirittura noi abbiamo in NS0 una descrizione più riduzionista del già riduzionista Portelli, che senza aver verificato praticamente alcunché sugli archivi (come invece ha fatto il gruppo di lavoro coordinato da Gentile) è evidentemente andato a naso e non ha riscontrato l'esistenza di alcuna rappresaglia. Vi ricordate però che prima avevo scritto che avrei approfondito un punto? Eccolo qua: nella voce c'è scritto che "Secondo Alessandro Portelli, nessuna delle azioni del dicembre 1943 fu seguita da alcuna rappresaglia tedesca su ostaggi civili, benché in esse fossero morti complessivamente più di dieci uomini dell'esercito occupante". Ma Portelli non ha scritto così: ha scritto invece come segue: prima ha descritto un'azione del GAP del 26 dicembre 1943, poi ha aggiunto che "né questa né altre azioni del genere sono seguite da rappresaglie". C'è forse scritto che secondo lui non ci furono rappresaglie per le "azioni del dicembre 1943", come sta scritto nella voce? Mica vero! Secondo Portelli - e mi ripeto - non ci furono rappresaglie né per il 26 dicembre né per "altre azioni del genere".
La conclusione è una e una sola, oltre a quano detto prima: Talia non ha nemmeno citato Portelli in modo corretto, giacché (voglio stressare questo punto) non è vero che l'autore circoscriva la mancanza di reazione tedesca solo agli attentati di dicembre. Talia poi non ha modificato questa parte della voce nonostante oramai siano mesi che gli è stato fatto notare che Portelli - nella migliore delle ipotesi - sbaglia inavvertitamente. Nella peggiore sbaglia volontariamente, come cercherò di dimostrare con un successivo intervento. La mia proposta quindi è esattamente la stessa che ho indicato nella pagina di discussione della voce: si deve dire in NS0 che Portelli sbaglia fattualmente, riportando numero ed entità delle rappresaglie successive alle azioni gappiste, poste in essere dai tedeschi e dai fascisti prima di via Rasella.--Presbite (msg) 11:45, 19 ott 2015 (CEST)[rispondi]

(Rientro) Secondo me abbiamo due opzioni fra le quali scegliere.
Prima opzione. Considerare quello di Portelli sull'assenza di rappresaglie per gli attentati del dicembre 1943 un errore fattuale e cassarlo, come si è deciso di fare ad agosto 2014 per la questione dei bombardamenti (consenso raggiunto tramite questo e quest'altro parere).
Seconda opzione. Mantenere le due righe di Portelli sull'assenza di rappresaglie per gli attentati del dicembre 1943, aggiungendo che una o più fonti non concordano con Portelli, e attestano invece la commissione di rappresaglie da parte dei tedeschi. Osservo che Presbite, il quale ha sollevato il problema e asserisce di conoscere queste ultime fonti, è stato invitato più volte, senza esito (vedi qui e qui), a editare la voce utilizzando dette fonti. Fonti delle quali, ovviamente, non dispongo, altrimenti avrei provveduto io stesso. Un mero elenco pubblicato su un blog (questo) non si può considerare fonte citabile.
Aggiungo quanto segue. A mia conoscenza, Portelli parla dell'assenza di rappresaglie in due luoghi:
- pag. 19 (pag. 13 dell'edizione 1999), ove Portelli scrive che “via Rasella fu la più clamorosa ma non (...) l'unica azione partigiana, e nemmeno la prima, in cui tedeschi vennero uccisi nel centro di Roma; ce ne furono molte altre, e nessuna fu seguita da un'analoga rappresaglia”. Se intendiamo “analoga” nel senso di rappresaglia dieci contro uno, è un errore, in quanto ce ne fu almeno un'altra, quella successiva all'uccisione di un tedesco in piazza dei Mirti. Questo errore di Portelli attualmente non è presente in NS0, dove il passo di pag. 19 non è richiamato.
- Pagg. 160-1 (155-6 dell'edizione 1999): è il passo attualmente richiamato in NS0. In esso, riferendosi a un attentato compiuto da Mario Fiorentini il 26 dicembre 1943, si dice che “né questa né altre azioni del genere sono seguite da rappresaglie”. Visto che il paragrafo parla degli attentati del 17-18-26 dicembre, e fa parte di due pagine dove si parla dell'attività dei Gap a Roma nel dicembre '43, io interpreto tale passo nel senso che “azioni del genere” si riferisce per l'appunto alle azioni del dicembre 1943. Portelli scrive che i tedeschi vietano l'uso delle biciclette e anticipano il coprifuoco: vogliamo specificarlo in NS0? Specifichiamolo pure; però non mi sembra rilevante, dato che l'elemento saliente, per Portelli, è l'assenza di rappresaglia. Se invece è vero che furono arrestati degli ostaggi, possiamo scriverlo e specificare che questa costituì, secondo Carlo Gentile, una rappresaglia. Ma così torniamo alla seconda opzione e diviene necessario citare il testo di Gentile. Non posso farlo io (lo ripeto), perché non ne dispongo. Provveda Presbite, che asserisce di conoscere tale fonte. --Salvatore Talia (msg) 13:42, 19 ott 2015 (CEST)[rispondi]

[@ Salvatore Talia] L'assenza di rappresaglie prima di via Rasella non è una "tesi cardine" del libro di Portelli, ma è l'argomento su cui si fonda una delle "tesi cardine": quella secondo cui non si poteva prevedere una rappresaglia per l'attentato di via Rasella. Una volta dimostrato che prima di via Rasella ci furono almeno due rappresaglie 10 a 1, di cui una proprio a marzo, va da sé che stabilire cosa accadde a dicembre e se fu o meno "rappresaglia" assume un'importanza molto relativa. In secondo luogo, qui non siamo di fronte a Portelli che dice X e a Gentile che dice Y: siamo di fronte a precisi documenti tedeschi non consultati da Portelli. IMHO non dobbiamo fare altro che cassare quell'affermazione di Portelli, smentita dai documenti citati nello studio di Gentile, dal contesto storico. In seguito, quando sarà creata la sottosezione sulle valutazioni storiografiche per la sezione sul rapporto attentato-rappresaglia, si dovrà esporre lì la tesi di Portelli (e a quel punto andrà pur scritto che non è vero che le azioni gappiste precedenti a via Rasella non furono seguite da rappresaglie). Mi risulta che l'elenco di Gentile sia stato presentato al Convegno internazionale di studi "Guerra ai civili", Bologna 19-22 giugno 2002, del quale presumibilmente esistono degli atti. Se qualcuno dovesse entrare in possesso di questi atti potremo usarli (ma in fin dei conti la questione della rappresaglia di dicembre non è per niente essenziale). Quanto alla tua affermazione "sarebbe involontariamente giustificatorio nei confronti dei nazisti vedere ogni manifestazione di violenza da parte loro come una "risposta" agli attentati dei Gap", in quanto la violenza tedesca e fascista era preesistente, rispondo: esisteva una violenza costitutiva, di fondo, indipendente da ogni attacco subito (giacché i tedeschi e i fascisti ritenevano che la popolazione non solo dovesse astenersi dal disturbare il loro sforzo bellico, ma avesse il dovere di collaborare attivamente e disciplinatamente allo stesso), alla quale si aggiunge un surplus di violenza derivante dall'attività partigiana. Cito dal libro di Gentile che possiedo (quello del 2015 citato in voce, p. 11): "la tesi secondo la quale sussiste un nesso tra l'attività partigiana e la violenza contro la popolazione civile risulta ancora oggi convincente e trova conferma nei nuovi documenti emersi di recente".--Demiurgo (msg) 15:13, 19 ott 2015 (CEST) P.S. E con questo vi saluto per almeno una settimana. Cercherò di rispondere quanto prima agli altri tuoi messaggi e a quelli di Gianfranco.[rispondi]
(fuori crono) Beh, però il rastrellamento del ghetto di Roma, per citare un esempio macroscopico, non fu certo determinato dall'attività partigiana. In generale non condivido quest'idea secondo cui, se non ci fossero stati i partigiani, i nazisti si sarebbero comportati come un "normale" esercito di occupazione. Un forte "surplus" di violenza da parte tedesca era già ampiamente in atto mentre i primi partigiani decidevano di passare all'azione. Ti saluto cordialmente e spero che ci risentiremo presto. --Salvatore Talia (msg) 19:27, 19 ott 2015 (CEST)[rispondi]
[@ Salvatore Talia] (confl.) Intanto compllimenti per esserti riconciliato col mio nome, cui precedentemente avevi dedicato opportuna citazione cervantesca (de cuyo nombre no quiero acordarme). Adesso tu quieres.
Secondariamente, io dico che si può - anzi: si deve - procedere passo per passo. Nel senso che io propugno l'idea di concordare ciò che s'ha intenzione di mettere in NS0 e successivamente lo si mette. Siccome poi Portelli è l'autore maggiormente citato nella voce, fa di mestieri che mi risulti assai difficile espungere un'esplicita smentita di ciò ch'egli afferma nel suo saggio. Dove la si metterà, se cioè in questo paragrafo o in un altro, non ha grande importanza. Perché questo è un passaggio fondamentale a puntello della sua tesi, checché se ne dica. Giacché la sua tesi di fondo è che non c'è nesso di causalità diretto e immediato fra "azione" (attentato) e "reazione" (rappresaglia), per via Rasella: die fatti distinti, sia pure variamente collegati. Per portare avanti questa tesi, Portelli non può ammettere che ci furono altre rappresaglie dirette e immediate a seguito di attentati precedenti. E' una cosa di semplice logica. Da mesi e mesi sto preparando una voce sul Tribunale Straordinario della Dalmazia: un organo giudiziario molto citato, sulla cui attività però incredibilmente non esiste nessun saggio apposito. Ciò fa sì che la storia di questo Tribunale sia spesso mescolata ad altre storie contigue, facendone un pastone unico. Chi ha parlato di questo Tribunale - ad esempio - è la nota autrice Alessandra Kersevan, che probabilmente confondendo il Tribunale Straordinario della Dalmazia col successivo Tribunale Speciale della Dalmazia ed appioppando erroneamente a quest'ultimo gli stessi giudici del primo, afferma in un suo saggio che al Tribunale Straordinario vanno attribuite "quattrocento condanne a morte". La realtà invece è che le condanne a morte furono esattamente 48 (quarantotto). Nella voce che sto preparando ho quindi predisposto un inciso nel quale scrivo che la cifra di "quattrocento" identificata dalla Kersevan è "del tutto inconsistente". E' la cosa che farei in questa voce: indicherei puntualmente le rappresaglie poste in essere da tedeschi e fascisti a seguito delle azioni dei gappisti e direi pure esplicitamente (come ho già suggerito) che Portelli sbaglia. Una lettura giorno per giorno delle azioni e delle reazioni fra settembre e dicembre del 1943 darà bene l'idea della continua escalation degli aventi, e lumeggerà il clima cupo e sempre più violento in cui operarono i gappisti nella Roma di quel periodo.
Accordatici su questo punto, penseremo a come citare le fonti in modo adeguato. Sapendo fra l'altro che le fonti sulle rappresaglie tedesche successive ad altri attentati già ci sono nella voce: sfrondato il resto, ora ci stiamo confrontando solo sugli attentati di dicembre del 1943.--Presbite (msg) 16:04, 19 ott 2015 (CEST) Il lavoro coordinato da Gentile un tempo era presente come database all'interno del sito dell'Università di Pisa. In vista di un notevole ampliamento di tale database (grazie a un notevole finanziamento del governo tedesco), esso è stato tolto da internet, mentre per anni s'è lavorato sui documenti suddivisi per gruppi. Ogni gruppo aveva come oggetto di analisi una zona geografica. Dopo di che, lavori parziali sono stati pubblicati già da anni, prendendo sempre le mosse o facendo in seguito riferimenot a questo atlante generale (si vedano per esempio gli studi di Gianluca Fulvetti). Il database sarà nuovamente disponibile online "nel 2016". Questa è la scadenza come appare nei documenti relativi al progetto. Che ciò voglia dire "al'inizio del 2016" o "alla fine del 2016" non è dato a sapersi. Per i documenti del vecchio database, bisogna far riferimento in prima battuta all'Università di Pisa. Concludo questa notula segnalando che ho trovato una fonte in internet: un libro dell'ex presidente dell'ANED di Roma di nome Aldo Pavia. Egli afferma che nei rastrellamenti del 20 dicembre 1943 (la "rappresaglia/non rappresaglia" per gli attentati dinamitardi) vennero arrestate a Roma "circa 1000 persone".[rispondi]
Mi spiace, ma l'intimazione a “concordare” preventivamente “ciò che s'ha intenzione di mettere in NS0” è un Diktat assolutamente inaccettabile. Fra l'altro, oltre ad essere contrario ad una delle policy fondamentali di Wikipedia, sarebbe il modo migliore per mandare in stallo questa voce per altri cinque o sei anni. Si farà come si è sempre fatto: chi vorrà editerà, e chi (competente o incompetente) avrà qualcosa da obiettare lo farà in talk. Intanto procedo nel senso indicato da Demiurgo, espungendo dal contesto storico l'inciso in discussione. In seguito si predisporrà, nella sezione Storiografia, una sintetica esposizione delle tesi di Portelli: lì si potranno inserire tutte le confutazioni del caso (fontate) all'assunto dell'assenza di rappresaglie. Sarebbe inoltre opportuno preparare un'analoga "epitome" del libro di Alberto ed Elisa Benzoni. In questo modo avremo in voce, nella sezione sulle interpretazioni storiografiche (e bisognerà valutare se trasformare questa sezione in una voce ancillare a sé stante), debitamente riassunte e discusse, tutte e tre le principali monografie su via Rasella: quella di Lepre (che già c'è), quella di Portelli e quella dei Benzoni. --Salvatore Talia (msg) 18:51, 19 ott 2015 (CEST)[rispondi]
Bum! Da quando bazzico il progetto è la prima volta che sento definire la proposta di raggiungimento del consenso addirittura un Diktat. Ma tant'è: in altri luoghi potrai aggiungere al tuo petto la seguente medaglia: il temibile Innominato propose in modo autoritativo (esagera: di' pure "violento") lo stravolgimento delle regole wikipediane, ma io lo rintuzzai. Ti farà opportuno curriculum. Apprezzo invece che tu poi di fatto sia d'accordo con me: in qualche luogo si racconterà della tesi di Portelli e successivamente si esporranno i fatti che lo smentiscono. Esattamente quel che ho proposto io. Au revoir!--Presbite (msg) 08:11, 20 ott 2015 (CEST)[rispondi]
Intanto ho trovato nella sandbox di Presbite questa fonte, nella quale (pp. 57-8) si distingue molto nettamente fra l'arresto di ostaggi e la rappresaglia, specificando che si tratta di due concetti distinti, benché la rappresaglia sia di solito la “naturale conseguenza” della presa di ostaggi. Ciò, a mio parere, conferma che occorre distinguere, nel complesso dell'attività repressiva antipartigiana dei nazifascisti, ciò che è rappresaglia da ciò che non lo è. Ho poi rivolto a Presbite alcune osservazioni riguardanti l'errore commesso da Alessandra Kersevan (osservazioni che qui sarebbero off topic). --Salvatore Talia (msg) 12:58, 21 ott 2015 (CEST)[rispondi]
L'arresto di ostaggi è diverso dalla rappresaglia. D'altro canto, lo stesso saggio citato in quelle pagine dà conto di una discussione in dottrina e in giurisprudenza relativamente al concetto di "rappresaglia", dando conto pure di affermazioni contrastanti fra di loro a seconda della fonte. In particolare, mi piace segnalare quanto affermato a pag. 58. Secondo la sentenza del processo Kesselring: "gli ostaggi sono presi prima che l’atto illegittimo di guerra sia compiuto dai nemici, mentre la rappresaglie sono inflitte dopo che tale atto illegittimo è stato compiuto". Analizziamo sempre gli eventi del dicembre del 1943: fra il 18 e il 19 c'è una serie di attentati dinamitardi: a partire dal 19 scatta un'azione di rastrellamento a vasto raggio che si esplica per alcuni giorni. In tale azione vengono arrestate circa 1000 persone. Alcune sono spedite direttamente ad Auschwitz e qui fatte fuori. La maggior parte passa per Regina Coeli. Da qui le notizie che sono riuscito a recuperare sono relative ad alcuni eroi della resistenza romana, che - arrestati in questi frangenti - vennero spediti nei campi e qui uccisi. Gasati o ammazzati per sfinimento o malattia. Questi qui sono stati arrestati fra il 19 e il 21 dicembre a seguito delle azioni del 18/19 (e quindi "per rappresaglia") o per prenderli come ostaggi per eventuali atti bellici partigiani successivi? Dato il numero altissimo degli arrestati, la mia logica mi dice che essi assolsero ad entrambi i ruoli. Ci sovviene però la fonte già varie volte citata dell'Atlante Storico delle Stragi, che espressamente afferma essere questi arresti (e il coprifuoco rafforzato) una rappresaglia per gli attentati dinamitardi. Problema risolto, direi.--Presbite (msg) 17:31, 21 ott 2015 (CEST)[rispondi]
Può essere interessante osservare che un'altra fonte storiografica, coeva a Portelli, afferma (prestando fede a testimonianze di Bentivegna e Amendola) che fino a via Rasella «le tante azioni a fuoco [dei GAP] non avevano avuto conseguenze». Solo che, curiosamente, da questa asserita "mancanza di conseguenze" la fonte trae conclusioni diametralmente opposte a quelle di Portelli: proprio perché i tedeschi non avevano fino ad allora reagito diventava tanto più probabile che reagissero dopo un attentato come quello di via Rasella.
La fonte è: Alberto ed Elisa Benzoni, Attentato e rappresaglia, Marsilio, Venezia 1999, pp. 77-8. Il passo è il seguente. «Gli attacchi contro i tedeschi iniziano infatti solo nel dicembre del '43. Da allora sino al 23 marzo, vi saranno circa quaranta azioni. Via Rasella non è dunque un episodio isolato - per altro non particolarmente ardito dal punto di vista militare - ma il culmine di una strategia. Sino ad allora, certo, come ricordano sia Bentivegna che Amendola, le tante azioni a fuoco non avevano avuto conseguenze. Ma si può sostenere che esse fossero, per questo motivo, diventate imprevedibili? Al contrario, come in una specie di roulette russa, ogni attentato senza risposta accresceva la possibilità che essa scattasse e con maggiore violenza dopo l'azione seguente. In altre parole, la rappresaglia tedesca era da ritenere pressoché certa, proprio perché si riferiva a un'azione non solo clamorosa ma successiva a molte altre». E' vero che poco dopo, sempre a p. 78, i Benzoni menzionano la rappresaglia conseguente all'attentato di piazza dei Mirti. La conclusione dei Benzoni è perentoria: «E' dunque indiscutibile che, nell'orizzonte della dirigenza gappista, una reazione violenta e sproporzionata dei tedeschi, rispetto alla provocazione gravissima che avrebbero subito, dovesse essere considerata quasi una certezza. Essa era un elemento fondamentale dell'equazione politico-militare che il PCI aveva di fronte» (pp. 78-9).
Come ho già detto, una delle prossime cose che farò sarà redigere un paragrafo riassuntivo delle tesi dei Benzoni, per la sezione storiografia. A mio parere è un libro che (nonostante i suoi molti errori fattuali e nonostante una sua tendenza, rilevata da Paolo Pezzino, a formulare troppe congetture non verificabili) presenta ipotesi esplicative interessanti e degne di nota. --Salvatore Talia (msg) 12:34, 23 ott 2015 (CEST)[rispondi]
La mia sensazione è che su questo tema ci troviamo di fronte a due ordini di difficolta. Il primo di ordine storiografico: nessuno fino ad oggi ha ancora studiato in maniera sistematica quali e quante furono le rappresaglie tedesche non dico in Italia, ma nemmeno a Roma stessa. Il secondo è che la questione dell'attentato di via Rasella e della successiva rappresaglia hanno travalicato in maniera enorme la qualifica di "fatti", per assumere dei valori paradigmatici di tutto ciò che di buono o di cattivo si potesse appioppare non solo ai tedeschi, quanto (e forse ancor più) ai gappisti del PCI. In altre parole, ogni storico s'è trovato a fare i conti prima ancora che coi fatti con la polemica politica che da essi ne è derivata. E si è adattato alla situazione gettandosi nel fiume, invece che andare alla sorgente. Le stesse contraddittorie testimonianze dei gappisti sulla questione della rappresaglia sono estremamente indicative della rielaborazione a posteriori di un pensiero che non poteva non essere influenzato dalle miriadi di polemiche degli anni e dei lustri seguenti. Anche questo Benzoni - per quel poco che leggo qui - mi pare pecchi dello stesso peccato. E si esibisca in una teoria alquanto azzardata, ai miei occhi: quella della "roulette russa", che tutto pare a me tranne che fondata. Come però ho detto all'inizio, tutto ciò è una mia personale sensazione. Buona per una chiacchierata in talk, non certo per l'NS0.--Presbite (msg) 17:40, 23 ott 2015 (CEST)[rispondi]
[@ Salvatore Talia] Rileggendo questo tuo messaggio mi è più chiaro il concetto che vuoi esprimere. Se è vero che la violenza contro i civili era già connaturata all'occupazione (oltre alla persecuzione degli ebrei, penso soprattutto alle fucilazioni dei renitenti alla leva della RSI e alle deportazioni di lavoratori in Germania), è anche vero che la situazione fu ulteriormente inasprita dalla guerra partigiana, dato che "l'atmosfera di diffidenza e di paura" (cit. Longo) che le azioni partigiane creavano nelle loro file, i tedeschi e i fascisti la facevano pagare alla popolazione. Nel libro che raccoglie tutti gli articoli sul tema pubblicati su "Quaderni Radicali" dopo la polemica radicali-comunisti del 1979, in quello scritto da Ugoberto Alfassio Grimaldi si legge:
"C'erano, nella Resistenza, gli attendisti e gli interventisti. Attendisti erano quelli che ritenevano di dover combattere il nazifascismo più moralmente che militarmente, più con le informazioni agli Alleati che con l'opposizione materiale all'occupante, più facendo propaganda che organizzando fatti d'arme, preoccupati prevalentemente di non far subire rappresaglie alle popolazioni. In pratica, ritenevano che non ci fosse cosa migliore che attendere l'arrivo degli Alleati col minore danno. Interventisti erano quelli che organizzavano colpi di mano, punzecchiavano l'esercito tedesco e l'alleato repubblichino, punivano i collaborazionisti, vendicavano il compagno ucciso: applicavano la lezione appresa da Mazzini e da Carlo Rosselli, non mollare, rischiare, scuotere le coscienze con l'esempio, credere che i martiri non muoiono mai invano. Nessuna delle due parti aveva ragione in assoluto, anche se io penso che qualora tutti, in montagna come in città, fossero stati ad attendere gli eventi a braccia conserte - ed era, appunto, ciò che ci chiedevano i tedeschi - il paese avrebbe pagato un minore pedaggio di sangue, ma il «miracolo» della Resistenza non ci sarebbe stato. Con le conseguenze che possiamo bene immaginare."
Quindi anche da un punto di vista filo-"interventista" non si negava il "surplus" di violenza derivante dall'attività partigiana: si sosteneva che l'azione era stata comunque utile al Paese.
Tornando a Portelli, io credo che egli non abbia portato fino in fondo il suo proposito di rivendicare la violenza resistenziale e contestare la rappresentazione di una resistenza "martire più che combattente". In generale, l'occultamento della violenza partigiana (c'è un episodio recente significativo: la manipolazione di una foto per far sparire una pistola e una granata, poco compatibili con il pacifismo arcobaleno, come se i partigiani fossero stati armati solo di matite e forbici dalla punta arrotondata) è stato controproducente per la memoria della resistenza, dato che poi inevitabilmente la violenza rimossa riemerge e con grande scandalo (ma questa è una lezione che i wuminghiani, almeno in teoria, dovrebbero conoscere bene, spingendosi a rivendicare la violenza fino allo splatter: notare anche la delicata scelta fotografica). L'esitazione di Portelli IMHO consiste in questo: la sua tesi della rappresaglia imprevedibile sembra lasciar intendere che i gappisti non avrebbero agito se avessero saputo come sarebbe andata a finire, laddove anche dopo le Fosse Ardeatine essi continuarono a organizzare azioni analoghe a via Rasella o anche più dure. Come forse hai notato dai miei ultimi edit, mi sono procurato I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, pubblicato a cura di Luigi Longo nel 1973 (lo stesso anno delle memorie di Amendola, forse non a caso). L'ho trovato all'Istituto italiano per gli studi storici: all'inizio volevo solo dare un'occhiata a poche pagine strettamente connesse a via Rasella, poi sfogliando il libro mi sono reso conto che si tratta di un'opera fondamentale e utilissima (per questa voce e altre) e l'ho fotocopiato per intero. Nella lettera inviata dalla direzione del PCI di Roma a quella di Milano (che ho citato qui), anonima ma verosimilmente scritta da Amendola (in quanto egli era il rappresentante del PCI nella giunta, era stato al confino a Ventotene (Ho controllato: Amendola fu confinato a Ponza fino al 1937; la colonia di Ventotene fu istituita nel 1939), quasi tutte le lettere da Roma portano la sua firma o quella di Mauro Scoccimarro, che in questa è citato) si legge chiaramente: "Nella giunta militare del CC di LN abbiamo portato fin dal primo annuncio delle rappresaglie tedesche la questione di rispondere intensificando l'azione, e in tal senso abbiamo invitato ad agire anche gli altri partiti". Altro che rappresaglie imprevedibili!
Inoltre è sulla base delle lettere riprodotte in questo libro che Gian Paolo Pelizzaro, nell'articolo di Storia in rete che ti ho inviato tempo fa, individua la causa di via Rasella nei difficili rapporti tra i due centri dirigenti del PCI. Difficili al punto che Amendola, secondo quanto si legge qui, una volta arrivato a Milano subì "un vero e proprio processo" da Longo e Secchia, che secondo quest'altra fonte "lo aggredirono politicamente".--Demiurgo (msg) 16:12, 11 nov 2015 (CET)[rispondi]

Atteggiamento dei partiti moderati del CLN nei confronti della lotta armata modifica

@Demiurgo: ho trovato, sempre nel libro di Santo Peli, che ho or ora acquistato (trenta Euro spesi bene! Mannaggia a me che non l'ho comprato prima) e riletto con più attenzione, una citazione che secondo me esprime bene il concetto che vuoi comunicare. Secondo Peli, gli altri partiti del CLN e in particolare democristiani e liberali condividono «una decisa contrarietà verso lo scatenamento del terrorismo urbano» (p. 30), e ciò sia per remore di carattere morale sia per timore delle rappresaglie. Quindi non la "lotta armata" in generale, ma la scelta del terrorismo urbano divide i comunisti dai partiti moderati. Anche sulla questione delle rappresaglie Santo Peli scrive una serie di cose che avvicinano alquanto la sua tesi a quella del saggio dei Benzoni - che sto leggendo. Ne riparleremo a breve, se Dio vuole. --Salvatore Talia (msg) 23:07, 18 ott 2015 (CEST)[rispondi]

Anche De Felice scrive che i comunisti combattevano la tendenza dei moderati "a evitare il terrorismo e la violenza spicciola". Nella lettera di Amendola alla direzione comunista di Milano del 13 dicembre 1943 (dunque una fase ancora relativamente incipiente della guerra partigiana) si denuncia una "manovra reazionaria che ha l'evidente scopo d'isolarci per impedire di trascinare tutto il CLN sul nostro terreno, sotto la nostra influenza". Quindi continua:
"questa manovra sta appunto riuscendo. Praticamente in seno ai CLN noi siamo isolati. Non c'è solo frattura tra le destre e le sinistre, ma anche i due partiti di sinistra si sono uniti contro di noi con i partiti di destra, imponendo a Torino la nomina di quel generale [Piero Operti, ndr] e creando a Milano la situazione che voi esponete nella vostra lettera. Cosa succede che non siete riusciti a trascinare tutto il CLN od almeno gli altri due partiti di sinistra sulla vostra piattaforma di lotta, che è perfettamente giusta? Non basta infatti avere ragione, bisogna riuscire a fare sì che questa giusta linea politica sia anche seguita dagli altri partiti, senza di che siamo isolati. Il che vuol dire che gli altri partiti del CLN finiscono col cadere sotto l'influenza e la direzione di quelle forze reazionarie che sopra abbiamo indicato. Il punto a nostro avviso più grave sta nel dissidio che si è operato nel gruppo dei partiti di sinistra. L'esperienza ha dimostrato che quando questi partiti sono uniti e decisi essi riescono a trascinare, sia pure con lentezza ed a spintoni, tutto il CLN dietro di loro".
Notare che "trascinare" è esattamente lo stesso verbo usato nella poco più risalente lettera di Agosti a Bianco che ho citato in discussione. Dunque è chiaro che nel CLN la propensione alla lotta armata decresceva man mano che si andava verso destra, con i comunisti che trascinavano faticosamente verso l'azione tutti gli altri, socialisti e azionisti compresi.--Demiurgo (msg) 16:41, 11 nov 2015 (CET) P.S. Anche quest'anno sono costretto a staccare completamente per vari mesi. Questo è il mio ultimo edit, ci vediamo verso fine marzo, se Dio vuole ;-) Per piacere fai in modo che nel frattempo il vaglio non venga archiviato.[rispondi]

Come gli autori valutano l'attentato sul piano assiologico modifica

Il presente intervento ha carattere interlocutorio. Non è finalizzato a proporre modifiche immediate alla voce; intende offrire alcuni spunti di riflessione e di orientamento, su cui volendo si potrà discutere in attesa che Demiurgo, il principale contributore della voce, torni "in servizio effettivo" (wikipedianamente parlando).
Può essere interessante vedere in che modo i vari autori si pongono riguardo al problema della valutazione etica dell'attentato di via Rasella e dell'eccidio delle Ardeatine.
In astratto, sembrano possibili quattro opzioni:

  1. giustificare sia l'attentato, sia la rappresaglia;
  2. condannare sia l'attentato sia la rappresaglia;
  3. giustificare l'attentato e condannare la rappresaglia;
  4. condannare l'attentato e giustificare la rappresaglia.

Opzione 1. Il solo autore che conosco il quale, benché con qualche ambiguità, sembra sposare questa tesi è Sergio Romano, in un breve pezzo pubblicato sul "Corriere della Sera" l'11 febbraio 2011 (in risposta a una lettera di Enrico De Simone). Romano scrive che l'attentato «fu un'operazione di guerriglia contro un obiettivo militare»; per i partigiani un «bersaglio legittimo» in una logica di guerra. D'altra parte, secondo Romano, la stessa logica di guerra «impone all'esercito occupante di proteggere i propri soldati dalle insidie di un nemico senza uniforme che si nasconde tra la folla e lo colpisce alle spalle. Il bando tedesco sulle rappresaglie (dieci italiani per un tedesco) ci appare oggi esecrabile, ma non vi è forza di occupazione che non abbia applicato, sia pure in modo meno teutonico, criteri analoghi. (…) Vi sono situazioni in tempo di guerra in cui tutti hanno contemporaneamente torto e ragione. È questo il motivo per cui l'ultimo processo contro Erich Priebke mi sembrò un errore. Questi conti non possono essere regolati cinquant'anni dopo da persone che non hanno vissuto il clima di quegli anni e giudicano i fatti con una sorta di astratto moralismo». Non è chiaro a cosa si riferisca Romano quando parla di «bando tedesco sulle rappresaglie», e va rilevato che egli giudica l'attentato strategicamente inutile e inopportuno; questo però non c'entra con il giudizio morale. Sul piano morale, per l'autore, una condanna della rappresaglia sarebbe una forma di «astratto moralismo». Per Romano, prelevare 335 prigionieri inermi, fra cui più di 70 ebrei condannati a morte solo in quanto tali, farli entrare a gruppi di cinque in una cava di pozzolana, con gli ultimi costretti a passare sui cadaveri dei primi, trucidarli con un colpo alla nuca e poi far saltare l'ingresso, seppellendo vivi quelli che erano sopravvissuti al colpo e costringendo i familiari delle vittime, mesi dopo, a un difficile e penoso riconoscimento fra i resti ormai decomposti - è stata un'azione pienamente giustificata dalla logica di guerra. Ma ho parlato di ambiguità in quanto Romano asserisce che il Bozen era «la meno nazista delle formazioni tedesche presenti a Roma», lasciando forse intendere che, in quanto “non nazisti”, non meritavano di essere colpiti, e pertanto lasciando cadere un'ombra di riprovazione morale sull'attentato. In questo senso, forse, l'articolo di Sergio Romano va inserito più nell'opzione 4 che nella 1.
Opzione 2. Qui troviamo tutta una serie di autori che condannano sia l'attentato sia la rappresaglia, spesso basandosi sull'esplicito rifiuto di quella «logica della guerra» invocata da Sergio Romano, talvolta facendo riferimento all'etica della nonviolenza, talaltra contrapponendo l'etica della responsabilità all'etica della convinzione: Alberto ed Elisa Benzoni, Norberto Bobbio, Aurelio Lepre, Marco Pannella, gran parte del mondo cattolico a partire dal comunicato vaticano del 25 marzo (certamente questo elenco non è esaustivo: si può allungare a piacimento; comunque qui non sto facendo una conta delle "maggioranze" o delle "minoranze", sto solo cercando di classificare le varie posizioni indipendentemente dalla loro consistenza statistica). Ritengo che anche Paolo Pezzino possa essere collocato in questa casella, nonostante il suo dichiarato intento di evitare commistioni fra giudizio storico e giudizio morale: ma quando egli valuta negativamente l'«etica del sacrificio» cui si ispiravano i partigiani, è chiaro che sta emettendo un giudizio morale di condanna. Trovo significativo che, anche nel caso di Pezzino, giochi un ruolo il rifiuto della logica di guerra, alla quale secondo lui i partigiani si richiamavano in qualche modo indebitamente, in quanto non indossavano la divisa e non facevano parte di un esercito regolare.
Opzione 3. Naturalmente tutta la memorialistica dei gappisti aderisce a questa opzione, assieme a tutta la storiografia di area PCI. Fra gli scrittori e gli storici vi troviamo Bocca, Candeloro, Portelli, Ranzato, e anche qui l'elenco si può allungare (benché forse non di molto).
Opzione 4. È l'opzione cui aderiscono fin dall'inizio tutti gli autori d'ispirazione fascista e neofascista. Oggi non mi pare molto diffusa tra gli storici. Forse Richard Raiber può essere collocato in questa casella; Demiurgo, che lo ha letto, potrà confermare o smentire questa mia impressione e aggiungere eventualmente altri autori all'elenco. L'opzione è oggi presente in determinati settori dell'opinione pubblica e in molta pubblicistica più o meno di destra, benché a volte non in forma esplicita. Un tempo l'argomento principale era l'accusa ai partigiani di vigliaccheria in quanto omisero di "consegnarsi" ai tedeschi. Da quando è diventato notorio il fatto che non ci fu da parte tedesca nessun invito a consegnarsi, questa opzione ha cambiato le sue modalità argomentative, e si avvale ora soprattutto di argomenti presi in prestito dall'opzione 2 (ovviamente omettendo la condanna della rappresaglia).
Se ora, mutatis mutandis, ci spostiamo dal piano etico a quello giuridico, osserviamo che l'attuale ordinamento italiano sposa senza ambagi l'opzione 3. Per il diritto interno italiano quale risulta dalle sentenze di ultimo grado, l'attentato fu un legittimo atto di guerra (benché alcune pronunce ne affermino l'illegittimità sul piano del diritto internazionale bellico all'epoca vigente), e la rappresaglia tedesca fu invece illegittima. Ho detto mutatis mutandis, in quanto è ovvio che diritto e morale non sono la stessa cosa. Sul piano etico, così come su molti altri piani (strategico, politico ecc.) che qui volutamente non ho toccato, il dibattito rimane aperto.
Lascio al lettore l'esercizio di verificare se, per caso, in voce appare prevalente una delle quattro opzioni che ho elencato sopra, ed eventualmente quale. --Salvatore Talia (msg) 20:37, 9 feb 2016 (CET)[rispondi]

La schematizzazione è interessante, ma ai fini della voce non possiamo considerare un autore come Romano, che ha scritto sul tema solo una breve risposta a un lettore. Il citato testo di Romano - ancora visibile online perché la sua rubrica ha un archivio separato - si trova qui. Romano paragona la "logica" delle Fosse Ardeatine a quella di questo evento della guerra in Iraq (ma per un lapsus scrive Afghanistan). Conoscevo questo articolo per averlo citato nell'incipit della voce Polizeiregiment "Bozen" come esempio del POV che vuole il Bozen "poco nazista" (in contrapposizione a un articolo di Bocca in cui il Bozen è addirittura "più nazista dei nazisti").
Raiber (vado a memoria) aderisce completamente alla tesi dell'accusa nei processi von Mackensen-Maelzer e Kesselring: l'attentato era illegittimo (condanna giuridica a cui Raiber aggiunge una sua condanna morale) e come tale legittimava i tedeschi a rispondere con una "rappresaglia", ma l'eccidio delle Fosse Ardeatine non poteva rientrare nella definizione di "rappresaglia" perché (naturalmente anche per la sua efferatezza) non ne rispettava i requisiti di legittimità, essendo dunque un crimine di guerra meritevole di condanna a morte per i responsabili. Se i comandanti tedeschi avessero rispettato i requisiti previsti dal regolamento militare all'epoca in vigore nell'esercito USA (pp. 89-90), sarebbero stati assolti. Raiber quindi non giustifica l'eccidio, giustifica la "logica" della rappresaglia, non estranea a nessun esercito del conflitto (si veda en:Werwolf#Allied reprisals). Questo mi sembra in sostanza anche il discorso di Romano. In questi giorni non ho né il tempo né i libri per approfondire la questione, ma mi riprometto di riprendere il lavoro su questa voce in primavera.--Demiurgo (msg) 13:45, 10 feb 2016 (CET)[rispondi]
Anche questo è un intervento che ha carattere interlocutorio, ma con alcuni spunti utili per la voce Rappresaglia. Romano afferma che la pratica della rappresaglia "ci appare oggi esecrabile, ma non vi è forza d'occupazione che non abbia applicato, sia pure in modo meno teutonico, criteri analoghi". Può essere utile confrontare la prassi tedesca con le misure impiegate dai sovietici nella Germania orientale occupata nel 1945. In questo libro dedicato al Werwolf, il movimento di resistenza nazista, sono menzionati diversi episodi (ne cito giusto un paio):
  • "In diverse città dell'Alta Slesia, dei soldati russi furono colpiti da vittime di stupri o dai parenti degli abusati, sebbene questi incidenti si verificarono tipicamente in occasione di rappresaglie dell'Armata Rossa che quindi comprendevano violenze contro i civili su più ampia scala. Nel villaggio di Kupp, dove un membro della Gioventù hitleriana uccise un ufficiale sovietico che aveva abusato della sorella, i reparti dell'Armata Rossa risposero incendiando circa settanta edifici e massacrando numerosi civili, che furono infine sepolti in una fossa comune".
  • "nella città di Schivelbein, un membro della Gioventù hitleriana armato di Panzerfaust decapitò un generale russo, dopodiché tutti gli uomini del vicinato furono fucilati, e tutte le donne e ragazze stuprate".
A Berlino, i sovietici fecero leggere alla radio al borgomastro della città un comunicato che si concludeva così:
"Chiunque compia un attentato alla vita di un membro dell'Armata Rossa o di un ufficiale funzionario, o appicchi un incendio per ragioni di ostilità politica, condurrà nel disastro oltre a sé stesso 50 membri del partito nazista che perderanno le loro vite, insieme a quella dell'attentatore o incendiario" (p. 271; questo comunicato - fissando un rapporto di 50 a 1 - è peraltro più "teutonico" dei teutonici; notare i termini in cui sono definiti gli irregolari e le loro azioni - "criminali", "atti di follia", "attività proditoria" (treacherous) - : gli stessi utilizzati nei bandi tedeschi).
Nei settori controllati dagli Alleati occidentali la convivenza tra le truppe e la popolazione fu più tranquilla. Raiber (oltre che uno storico, un veterano di quella guerra) scrive (p. 92): "Had American soldiers been murdered by Werwolf in occupied Germany in summer 1945, few Americans would have objected had it become necessary for the Allied occupiers to inaugurate a program of execution reprisals inflicted on innocents". Immaginiamo la scena: Germania orientale 1945, i Werwolf fanno esplodere un carretto della spazzatura imbottito di tritolo al passaggio di una colonna dell'Armata Rossa e in risposta i sovietici, non essendo nazisti ma comunisti, distribuiscono caramelle alla popolazione... Nell'assurdità di uno scenario del genere sta la spiegazione della posizione tenuta nei processi von Mackensen-Maelzer e Kesselring dall'accusa, la quale non considerò la rappresaglia contro innocenti un crimine ipso facto (la condanna avvenne per modalità ed entità dell'eccidio), mentre considerò senz'altro illegittimo l'attentato, in quanto commesso da forze irregolari. Più ci si è allontanati temporalmente dalla guerra e più i giudizi dei tribunali si sono modificati in senso sfavorevole alle rappresaglie e favorevole ai movimenti di resistenza, in base a principi sicuramente nobili, ma altrettanto certamente lontani anni luce dal modo in cui tutti gli eserciti regolari avevano giudicato (e peraltro continuano a giudicare ancora oggi) i combattenti irregolari a loro ostili, GAP o Werwolf che fossero: criminali e banditi.--Demiurgo (msg) 17:57, 8 apr 2016 (CEST)[rispondi]
Trovo interessante l'intervento di Sergio Romano per molti motivi, uno dei quali è che esprime in modo molto chiaro un paralogismo che forse ricorre anche in altri autori, vale a dire la confusione tra fatti e norme. Romano scrive che «non vi è forza di occupazione che non abbia applicato (...) criteri analoghi» a quelli dei tedeschi dopo via Rasella, e ne conclude che giudicare e condannare Priebke per il massacro delle Ardeatine sia «astratto moralismo» (tra l'altro facendo confusione fra norme giuridiche e norme morali, ma questa è ancora un'altra questione).
Romano non fa altro che affermare un'ovvietà, purtroppo abbondantemente confermata dalla storia e dalla cronaca, vale a dire che in ogni conflitto armato di una certa grandezza e durata si verificano prima o poi dei crimini di guerra. Si sa che durante la seconda guerra mondiale se ne perpetrarono tantissimi. Però Romano dimentica che in qualsiasi ordinamento (e l'ordinamento internazionale non fa eccezione) l'eventuale verificarsi di molti crimini non vale a renderli leciti. Questo pseudo-storicismo di Sergio Romano, se preso sul serio, condurrebbe ad affermazioni paradossali: si potrebbe sostenere, statistiche alla mano, che in un dato luogo a una data epoca si commettevano parecchi omicidi, e che perciò, in quel luogo e a quell'epoca, l'omicidio era considerato lecito.
O forse Romano non ne fa una questione di epoche e di mentalità; forse per lui semplicemente il diritto internazionale bellico non esiste, e ogni guerra è da considerare come un fenomeno extra legem. Finché dura la guerra, si uccide e si massacra allegramente e con tranquilla coscienza, anche la popolazione civile, senza inutili scrupoli moralistici; poi arriva l'epoca insulsa e vile della pace, ed ecco che riprendono il sopravvento gli imbelli "borghesi" con le loro ubbie e i loro cavilli.
In realtà le rappresaglie massicce e indiscriminate contro i civili sono un crimine di guerra, e lo sono sempre state, sia prima, sia durante, sia dopo la seconda guerra mondiale. Esistono fonti abbondantissime al riguardo, e non si capisce come faccia Sergio Romano a ignorarle. Egli afferma che il criterio della rappresaglia dieci contro uno «ci appare oggi esecrabile» (corsivo mio), lasciando intendere che a quell'epoca tale criterio fosse invece considerato del tutto normale e accettabile. Non è affatto così.
Per quanto riguarda in generale la conduzione della guerra da parte dei tedeschi, essa fu considerata criminale praticamente fin dall'inizio. Nel novembre 1941 Churchill, dopo aver osservato che le atrocità commesse dai tedeschi «in Polonia, Iugoslavia, Norvegia, Olanda, Belgio e particolarmente dietro il fronte russo eccedono tutte quelle conosciute fin dalle più oscure e bestiali epoche dell'umanità», dichiarò che «la punizione di tali crimini dovrebbe essere considerata fra i più importanti obiettivi di questa guerra». La dichiarazione di St. James è del 13 gennaio 1942. La Dichiarazione di Mosca è del 1° novembre 1943. L'istituzione del Tribunale di Norimberga è dell'8 agosto 1945, pochi mesi dopo la conclusione della guerra in Europa.
In particolare la pratica di catturare ostaggi e ucciderli per rappresaglia è illegale fin dai tempi di Grozio, come osserva Lord Wright nella prefazione a questo volume datata novembre 1948. (Wright, se non erro, dissente da una delle sentenze raccolte nel libro, quella contro Wilhelm List, in cui i giudici avevano trovato che tale pratica potesse in ipotesi considerarsi lecita in presenza di alcune precondizioni molto restrittive, peraltro non verificatesi nel caso di specie. Secondo Wright, invece, l'uccisione di ostaggi è illecita sempre e comunque).
Ancora più nello specifico, la rappresaglia delle Ardeatine è stata considerata un crimine da tutti indistintamente i tribunali che se ne sono occupati, fin dalla sentenza Mackensen-Maelzer del 1946.
Per inciso, è vero che, sia in questo processo sia nel processo Kesselring del '47, l'accusa accettò, in via ipotetica, il principio secondo cui "la rappresaglia contro innocenti" sarebbe stata lecita a certe condizioni, ma è anche vero che nessuna delle due corti ebbe modo di pronunciarsi su questo punto, in quanto, per condannare a morte gli imputati, fu sufficiente accertare, in ciascuno dei due processi, che la rappresaglia fu sproporzionata e irragionevole. Peraltro, nel processo Kesselring, la stessa accusa ammise che, in base alla letteratura giuridica allora disponibile, le misure di rappresaglia potessero sicuramente spingersi fino alla distruzione di proprietà e alla cattura di civili italiani ("incarceration of nationals"), mentre non era affatto certo, sempre in base alla dottrina, che i tedeschi avessero anche facoltà di uccidere ("there was no authority for the taking of human life").
Non so se è vero, come hai scritto sopra, che "più ci si è allontanati temporalmente dalla guerra e più i giudizi dei tribunali si sono modificati in senso sfavorevole alle rappresaglie". Ciò presupporrebbe che, a ridosso della guerra, le sentenze fossero invece favorevoli alle rappresaglie. Ma è così?
Questa sentenza del Tribunale Militare di La Spezia del 2006 contiene un interessante excursus storiografico. Scrivono i giudici che fra «le sentenze più note che hanno giudicato omicidi commessi da militari tedeschi durante l'occupazione, non è rintracciabile alcuna assoluzione per rappresaglia. Fra i processi in cui è stata invocata la rappresaglia vi sono state assoluzioni, ma per altri motivi, specialmente in ordine alla partecipazione individuale dell'imputato al fatto, o per aver eseguito ordini. Nessun imputato risulta assolto per il solo motivo di aver eseguito una rappresaglia. Ma le motivazioni delle sentenze, quando è stato invocato il diritto di rappresaglia, hanno riconosciuto l'esistenza astratta dell'istituto (...), escludendone la sussistenza in concreto, in ciascun caso giudicato. (...) In sostanza, dell'istituto si è trattato per dire sempre che è altrove (...). Già questo elemento basterebbe, ad insinuare qualche perplessità. C'è da chiedersi se possa esistere, un istituto giuridico che non si applica mai.». Dopo aver passato in rassegna anche sentenze del '46, del '48, del '50 e del '51, i giudici concludono in senso negativo: «Insomma, non esiste l'istituto della rappresaglia su vite umane».
Quanto, invece, alla qualificazione dell'attentato, è vero quanto è scritto nell'incipit, che le corti militari lo hanno ritenuto illegittimo sotto il profilo del diritto internazionale. Però, a luogo debito, occorrerà aggiungere alcune altre considerazioni, partendo magari da alcune pagine del saggio di Ettore Gallo Diritto e legislazione di guerra, nel primo volume del Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2000. Le pp. 352-3 fanno espresso riferimento all'attentato di via Rasella.
Scrive il prof. Gallo che «al tempo di via Rasella l'illiceità derivava dal fatto che per i tedeschi valeva ancora la II Conferenza della pace dell'Aja del 18 ottobre 1907 che non riconosceva la qualità di belligeranti volontari se i combattenti non portassero un segno distintivo ben visibile da lontano (oltre ad altre condizioni che però nelle forze partigiane erano presenti)». Però Gallo aggiunge immediatamente che una «siffatta pretesa era impensabile e inaccettabile circa quarant'anni dopo, nel contesto del secondo conflitto mondiale. La Resistenza dell'intero continente europeo, distrutto e occupato dalle truppe naziste, alle cui armatissime potenti divisioni poteva opporre poche centinaia di eroici volontari con scarso e modesto armamento, sarebbe stata immediatamente annientata se si fosse ostentata addirittura con segni distintivi visibili da lontano». Sempre secondo Gallo, la Resistenza, cosa «del tutto nuova come fenomeno paramilitare», aveva «necessariamente, in territorio ferreamente e crudelmente occupato, un carattere essenziale e vitale: la clandestinità. Pretendere - ad esempio - che i partigiani dei Gap girassero per la città con i segni distintivi della loro qualità era un non senso». Di ciò, osserva Gallo, prese atto il I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, il quale, all'art. 44 comma 3, prevede che anche il partigiano clandestino conservi lo statuto di combattente mediante la «ostensione delle armi durante l'attacco o quando il combattente è in vista dell'avversario mentre prende posizione per l'attacco. Il che è fuori dubbio per i partigiani di via Rasella quando attaccarono con bombe a mano la parte immune e armatissima della lunga colonna tedesca dopo l'esplosione». È vero che il I protocollo risale al 1977, e che quindi, formalmente, è inapplicabile all'attentato di trenta e passa anni prima.
Aggiungo solo questo: si possono benissimo qualificare i partigiani di via Rasella combattenti illegittimi in base alla Convenzione dell'Aja del 1907, purché si sappia, e si dica, che non solo loro, ma gran parte della Resistenza europea era composta da combattenti "illegittimi" in base agli stessi criteri. Per tali criteri, ad esempio, molti se non tutti i resistenti del Ghetto di Varsavia erano combattenti illegittimi in quanto non muniti di regolare divisa, mentre erano sicuramente legittimi combattenti i militi delle SS che li trucidavano indossando eleganti uniformi (di colore grigio, sia ben chiaro). --Salvatore Talia (msg) 19:57, 29 apr 2016 (CEST)[rispondi]

Sempre in riferimento alle attività del Werwolf nella Germania occupata, in quest'altro libro si legge:

«German civilians, however, were the group that suffered most from guerrilla activities. Not only were those who collaborated with the Allies targeted for assassination, but the civilian population in the towns and cities in which Werwolf attacks occurred suffered severe reprisals at the hands of Allied forces. The Red Army was particularly harsh in its reprisals killing 10 civilians for every Red Army soldier killed in Werwolf attacks

È dunque certo che ai comandi dell'Armata Rossa, quando i propri soldati venivano colpiti da attentati stile via Rasella, fucilare dieci civili per ogni caduto non appariva una condotta esecrabile: infatti praticarono ampiamente rappresaglie di questo tipo. Inoltre, con buona pace di Grozio, il già citato regolamento militare dell'esercito degli Stati Uniti dell'epoca prevedeva espressamente che

«The offending forces or populations generally may lawfully be subjected to appropriate reprisals. Hostages taken an held for the declared purpose of insuring against unlawful acts by the enemy forces or people may be punished or put to death if the unlawful acts are nevertheless committed.»

Il giudizio di Lord Wright non poteva quindi non estendersi anche al regolamento militare dei suoi poderosi alleati, dato che, in definitiva, l'unico elemento che distingueva la rappresaglia "all'americana" da quella "alla tedesca" era che nel primo caso venivano fucilati ostaggi già dichiaratamente destinati alla rappresaglia, il che non sposta di una virgola il problema della legittimità - giuridica e morale - dell'uccisione di civili estranei all'"atto illegale". La rappresaglia "alla sovietica" consisteva invece in distruzione degli abitati, fucilazione dei primi malcapitati nei paraggi, stupri di donne, ecc. ecc.

Nei processi von Mackensen-Maelzer e Kesselring l'esistenza del diritto di rappresaglia non fu negata in modo assoluto. Lo dimostra la stessa requisitoria del prosecutor, colonnello Richard C. Halse conclusione del Judge advocate Carl Ludwig Stilring (correggo scambio di persona dopo una più attenta lettura delle fonti--Demiurgo (msg) 10:39, 20 set 2017 (CEST)), il quale - da soldato - spezzò in favore del collega-avversario sconfitto di Kesselring più di una lancia (la traduzione sul sito del Ministero della Difesa è un po' maccheronica ma comprensibile):[rispondi]

«quel che il Feldmaresciallo Kesselring doveva gestire non era rappresentato da Paesi organizzati con i loro Governi, ma da persone irresponsabili in generale, con cui non era possibile negoziare; persone rispetto alle quali egli non poteva dire a leader responsabili "Voi dovete controllare i vostri seguaci". Perciò suggerisco che se mai ci sono state circostanze in cui si sarebbe dovuto far ricorso alla rappresaglia nel caso in cui non si fosse riusciti, pur applicandosi in modo adeguato, a scoprire il vero colpevole, quelle circostanze rappresentano il tipo di caso in cui la rappresaglia deve essere considerata appropriata. [...] Sono giunto alla conclusione che non c'è nulla che renda assolutamente chiaro che non c'è circostanza – soprattutto nelle circostanze su cui credo si concordi in questo caso –, in cui una persona innocente, presa espressamente allo scopo di rappresaglia, non possa essere condannata a morte. Io credo che se vi è un qualche dubbio nella legge, il beneficio di quel dubbio debba essere concesso al Feldmaresciallo, e perciò non sono disposto a porre il caso nei termini per cui, se voi accettate la tesi che il Feldmaresciallo ha deliberatamente sparato ad innocenti per rappresaglia, questa azione debba considerarsi di per sé un crimine di guerra per il quale egli debba essere incriminato

Questa valutazione, emessa da un uomo che aveva "vissuto il clima di quegli anni" da soldato di un esercito regolare, è infatti esente da quello che Romano considera "astratto moralismo". Nel suo articolo, Romano non ha fatto altro che applicare anche alla rappresaglia quell'attenuante storica che i sostenitori dei gappisti hanno sempre preteso che si applicasse solo all'attentato. Una delle critiche rivolte a Pacioni - il gip che dichiarò l'attentato illegittimo nel 1998 - consisteva proprio nel rinfacciargli il non aver "vissuto il clima di quegli anni", sottintendendo che dunque non fosse in grado di giudicare correttamente.

Le rappresaglie contro i civili, lungi dall'essere un'esclusiva nazifascista, erano praticate anche dai (o comunque contemplate nei regolamenti militari dei) principali eserciti alleati. Quindi, leggere questa vicenda alla luce della sola contrapposizione "occupante nazista-resistenza" (cioè una variante di "fascismo-antifascismo") e non in quella "esercito regolare-guerriglia" (contrapposizione certo non limitata alla seconda guerra mondiale: si veda per esempio la sequenza en:Yehud attack-en:Qibya massacre) è politicamente comodo ma storiograficamente miope.

Per concludere, si deve scrivere che la rappresaglia delle Fosse Ardeatine fu un crimine, purché si sappia, e a luogo debito si dica, che attentati del tipo di via Rasella erano ritenuti atti anch'essi criminali e reprimibili con rappresaglie contro i civili da tutti i maggiori eserciti del tempo, in primis da quello che come i gappisti combatteva sotto l'egida della stella rossa.--Demiurgo (msg) 20:17, 30 apr 2016 (CEST)[rispondi]

Veramente, noi qui non facciamo storiografia; ci limitiamo a registrare i risultati di quella fatta dagli storici. Ora, esiste tutta una storiografia "miope" che vede l'attentato come un atto bellico (più o meno giusto, più o meno opportuno, più o meno efficace) della Resistenza europea contro il nazifascismo, e vede l'eccidio delle Ardeatine come un crimine di guerra. Esisterà sicuramente anche una abbondante storiografia emmetrope, che invece considera l'attentato un atto criminale commesso da banditi, e inquadra l'eccidio come una delle tante operazioni di controguerriglia condotte da eserciti regolari contro i suddetti banditi. Aspetto di vedere citati in voce tutti questi esimî storici. --Salvatore Talia (msg) 13:23, 2 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Noi non facciamo storiografia, così come non celebriamo processi, limitandoci a riportarne le risultanze. Nei processi von Mackensen-Maelzer, Kesselring e Kappler - cioè quelli temporalmente più vicini ai fatti, celebrati presso la giurisdizione più qualificata sulla questione: quella militare - l'attentato fu considerato un atto illegittimo (nel rapporto sul primo si parla letteralmente di "crime com­mitted by unknown partisans in Rosella [sic] Street", tale da rendere i tedeschi "entitled to take reprisals if they had come to the conclusion that the offenders could not be found and that there was danger for the safety of their troops") e noi lo riportiamo. Esiste una storiografia che riprende questa impostazione (per esempio Raiber, ma non solo) - che poi è l'impostazione di tutti gli eserciti regolari del tempo - e noi la citiamo, insieme alle altre. Dopodiché, io ritengo che sia una legittima preferenza personale ritenere storicamente meno "sfuocato" il giudizio emesso da giudici militari che avevano "vissuto il clima di quegli anni" (soprattutto se britannici, in quanto severi con i nazisti ma allo stesso tempo liberi da ogni eventuale preoccupazione circa la legittimazione politica dello Stato a cui appartenevano) rispetto a quelli successivi emessi da giudici civili e penali italiani, soggetti al rischio di essere fatti bersaglio di attacchi come questo. "Non so se il giudice Pacioni fosse già nato o andasse all'asilo nei giorni di via Rasella": ebbene, quelli dei processi von Mackensen-Maelzer e Kesselring erano nati da un pezzo, la guerra l'avevano fatta e non erano neanche cittadini del "paese di pidocchi". La "miopia" consiste nel credere e far credere che quando a essere colpite da attentati del tipo di via Rasella erano forze d'occupazione non nazifasciste non seguivano rappresaglie contro i civili. Attaccare come a via Rasella significava esporre i civili alla reazione - magari criminale come nel nostro caso - degli occupanti, portassero sul copricapo la svastica, la stella rossa o qualsiasi altro fregio. Comunque, il fatto che tu abbia risposto ad affermazioni che non ho fatto mi fa ottimisticamente pensare che circa quelle che ho fatto non siamo in disaccordo.--Demiurgo (msg) 18:02, 2 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Ho deliberatamente evitato di rispondere a quelle tue affermazioni che più mi parevano OT, allo scopo di evitare derive di tipo forumistico, dal momento che qui l'argomento sarebbe via Rasella e non i crimini di guerra dell'Armata Rossa o di Tsahal; il paragone con i quali, IMHO, dovrà essere discusso se e quando lo si trovi negli storici. --Salvatore Talia (msg) 20:15, 2 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Mi spiego meglio sulla parte IT allora. Nei primi processi contro i responsabili delle Fosse Ardeatine la criminalità dell'attentato rappresentava un assunto fondamentale indiscutibile, per la difesa quanto per l'accusa. L'aver subito tale atto criminale rendeva i tedeschi titolati (entitled) a reagire con una rappresaglia. Con il prevalere della tesi dell'accusa, l'eccidio delle Fosse Ardeatine fu considerato a sua volta un crimine - meritevole della massima pena - per mancanza di vari requisiti di legittimità. Non sono a conoscenza di pronunce emesse da tribunali militari che abbiano qualificato l'attentato in modo diverso sul piano del diritto internazionale bellico (esiste poi una dottrina critica verso questa impostazione, per esempio il citato Gallo). Come sappiamo, è stato un banale refuso a far erroneamente ritenere che l'ultima sentenza Kappler avesse riconosciuto la legittimità dei gappisti. Per l'ordinamento italiano interno l'attentato è invece un atto legittimo di guerra perché commesso da forze che - a posteriori - furono riconosciute forze armate dello Stato italiano (l'imputabilità dell'attentato allo Stato è peraltro contestata in una nota a sentenza di Roberto Ago che sto cercando). Non è inoltre mancato un parere difforme: la citata ordinanza del vituperato gip Pacioni, contro il quale - come vedremo - si scatenò una mobilitazione incredibile (tutte le alte cariche della Repubblica contro "un oscuro magistrato romano"). Anche per questo personalmente ritengo più attendibili i tribunali britannici, non esposti sul tema alle incredibili "pressioni ambientali" dei nostri. Ci vediamo presto in ns0.--Demiurgo (msg) 13:31, 3 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Mi scuso per l'OT, ma per trasparenza (onde evitare che nei blog mi vengano attribuite posizioni che non ho preso: a Un paese di "mandolinisti" potrebbe seguire Un paese di "pidocchi"... ;-) ) dichiaro le tesi a cui sono più vicino io: accusa nei processi von Mackensen-Maelzer e Kesselring sull'inquadramento giuridico alla luce del diritto internazionale bellico dell'epoca (fermo restando che naturalmente condivido la progressiva messa al bando di ogni forma di violenza contro i civili); Bobbio, Lepre e Pezzino sulla legittimità morale; Lepre sull'impatto presso l'opinione pubblica; Pezzino sulla prevedibilità della rappresaglia; Benzoni sull'opportunità militare; Forcella sulle conseguenze politiche; Baratter sul Bozen.
Sempre per trasparenza, ne approfitto per chiarire qual è il mio punto di vista sulla voce. Come credo di aver già detto altrove, penso che il più grave problema nella struttura della pagina, prima che tu ed io iniziassimo a lavorarci sopra, fosse una forte tendenziosità antipartigiana che appariva già a livello argomentativo con il ricorso alla fallacia della "pentola di Freud". Vale a dire: si affastellavano a casaccio tutti gli argomenti contro l'attentato, senza preoccuparsi delle diversissime prospettive cui si ispiravano, né se eventualmente si contraddicessero fra loro.
Ora, in tutta sincerità devo dire che questo problema della "pentola" non mi pare del tutto superato nell'attuale cluster di voci (per quanto esse siano innegabilmente molto migliorate sotto altri profili: qualità e quantità delle fonti, correttezza nella loro esposizione, proprietà di scrittura, e via dicendo). Per esempio: vi traspare contemporaneamente la critica all'attentato in base ai princìpi della nonviolenza (Bobbio, Benzoni, Lepre, Baratter, Pannella), e la giustificazione della rappresaglia in base allo storicismo e all'accettazione della dura legge di guerra (Raiber). Si fa ricorso alla mozione degli affetti per quanto riguarda Piero Zuccheretti, menzionato fin dall'incipit come vittima innocente dell'attentato, nello stesso momento in cui si viene indotti a considerare con sereno distacco la sorte degli uccisi alle Ardeatine. Si sottolinea la non riferibilità allo Stato italiano dell'attentato (enfatizzando la quasi-sconfessione da parte del CLN, i giudizi negativi espressi negli ambienti del governo Badoglio, ecc.), si tende a negarne la qualità di atto di guerra, e poi si afferma che i tedeschi avevano tutto il diritto di agire in via di rappresaglia, dimenticando che la rappresaglia, come ha chiarito Ettore Gallo, si esercita appunto nei confronti dello Stato nemico (se si fosse trattato di un atto di criminalità comune, i tedeschi avrebbero dovuto ricercarne e punirne i colpevoli, non certo colpire la popolazione civile). E così via.
Penso che tutti questi difetti e limiti si possano comunque superare continuando, come stiamo facendo, ad operare secondo il metodo di Wikipedia, vale a dire "per via di mettere" e non "per via di levare": non censurando e sottraendo informazioni, anche là dove la trattazione appare troppo sbilanciata secondo un POV, bensì aggiungendone. Quindi sì, ci vediamo in NS0, spero presto! --Salvatore Talia (msg) 20:49, 3 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Scusa, dove "si afferma che i tedeschi avevano tutto il diritto di agire in via di rappresaglia" (senza attribuzione) in questa voce? È il POV di entrambe le parti nel processo von Mackensen-Maelzer, e come tale credo che vada riferito nella voce sui processi, ma qui non lo trovo.--Demiurgo (msg) 20:57, 3 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Le mie osservazioni erano riferite anche alle voci collegate e alla bozza che stai scrivendo: hai detto che il vaglio s'intende esteso anche a quelle. --Salvatore Talia (msg) 12:38, 4 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Certo, ma allora non vedo dove starebbe il problema. Mi sembra ovvio che nelle sezioni di quella voce dedicate ai singoli processi si espongano le loro risultanze, non ti pare? Comunque, le corti britanniche ritennero - come scrivi - "che i tedeschi avevano tutto il diritto di agire in via di rappresaglia" dopo via Rasella, ma che avessero abusato della loro posizione. La stessa impostazione fu ripresa in tutti i gradi di giudizio del processo Kappler: via Rasella era stato un illecito internazionale commesso dallo Stato italiano, delle cui forze armate i gappisti erano parte (appartenenza peraltro inesistente nel marzo 1944 - addirittura prima della svolta di Salerno - e riconosciuta ex post).
Roberto Ago, uno dei massimi studiosi di diritto internazionale, contestò (da quanto ho appreso da altre fonti; non ho consultato il testo originale, molto difficile da reperire, almeno per me) l'imputabilità dell'attentato allo Stato affermata nel processo Kappler, ritenendo troppo debole il legame tra la giunta militare del CLN che - come all'epoca si credeva - aveva ordinato l'azione gappista e l'allora Stato italiano con governo a Salerno (figuriamoci se avesse saputo che l'ordine della giunta nemmeno c'era stato e che per poco la stessa giunta in seguito non lo aveva sconfessato).
La tesi di Ago (via Rasella come illecito del quale lo Stato italiano era incolpevole), se accolta, avrebbe quindi stroncato alla base la linea difensiva dei responsabili delle Fosse Ardeatine (niente illecito internazionale italiano, niente ammissibilità della rappresaglia contro cittadini italiani), ma non avrebbe permesso in seguito alla giurisdizione civile italiana di fondare la legittimità giuridica interna dell'attentato sulla sua imputabilità allo Stato.--Demiurgo (msg) 17:42, 4 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Chiarimento tecnico modifica

Aggiungo un chiarimento su questo mio edit. Il passo "non rei da una parte, ma combattenti" ecc. era precedentemente attribuito alla sentenza di primo grado, mentre Zara Algardi (da cui cito) sembra attribuirlo alla sentenza d'appello. Non ho potuto consultare il testo né della sentenza di primo grado né di quella d'appello. Per ora seguo la Algardi, ma con l'avvertenza che sarebbe opportuno riscontrare entrambe le sentenze su una fonte che le pubblichi integralmente. --Salvatore Talia (msg) 20:41, 5 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Confermo: si tratta della sentenza d'appello. Non conosco fonti in cui sono pubblicate integralmente le sentenze del processo civile. Per quanto riguarda questa, alcuni stralci sono riprodotti in Encomiabile atto di guerra l'azione dei GAP a via Rasella (PDF), in l'Unità, 8 maggio 1954.--Demiurgo (msg) 15:23, 6 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Comunque, rinnovo l'invito a editare tranquillamente nella mia sandbox, dove andrebbe sviluppato tutto l'aspetto giuridico della vicenda lasciando in questa voce solo una sommaria panoramica.--Demiurgo (msg) 15:25, 6 mag 2016 (CEST)[rispondi]
OK, grazie, accolgo volentieri l'invito. Secondo me, però, finché la voce sui processi non sarà pronta si potrà fare anche qualche ritocco alla relativa sezione nella voce principale, sezione che in seguito provvederemo a snellire. --Salvatore Talia (msg) 13:20, 9 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Chiarimento circa i "reazionari" modifica

Scrivo in merito a questo edit: è ovvio che in una riunione del CLN Amendola non potesse dire agli esponenti degli altri partiti "voi siete reazionari", ma li mettesse in guardia dalla reazione stessa in modo da orientarli verso la propria posizione. Invece nel privato delle lettere tra i due centri dirigenti del PCI si sprecano gli attacchi agli altri partiti, anche di sinistra, al punto che Longo nell'introduzione scrive:

«Nelle lettere, soprattutto in quelle del centro di Milano, si trovavano spesso attacchi violenti anche contro rappresentanti dei partiti di sinistra del CLN accusati di legami con forze conservatrici e reazionarie. La nostra era certo una risposta irata alla diffidenza di cui ci sentivamo circondati. Oggi, forse, questi attacchi possono sembrare esagerati o ingiusti, e in buona parte lo sono. Essi però vanno collocati nell'atmosfera di cui abbiamo detto e nel contesto della linea che seguivamo al Nord. Dovevamo aprire una strada alla partecipazione delle masse operaie e popolari fino ad allora escluse dalla vita politica e dalla direzione del paese con l'inganno e la violenza e che con ogni mezzo e pretesto si volevano ancora tenere in uno stato di soggezione politica e sociale. Per questo si voleva porre in condizioni di inferiorità il partito comunista, che in tutti gli anni della dittatura era stato il più valido interprete e difensore dei lavoratori, degli oppressi e perseguitati dal regime.

Questa lotta, per conquistare alla parte più numerosa e decisiva della popolazione il posto che le spettava per la sua importanza e funzione nella vita nazionale, faceva tutt'uno con la campagna che conducevamo di recisa opposizione ad ogni forma, aperta o mascherata, di attendismo o anche solo di neutralità nei confronti di chi osteggiava questa lotta. Erano le due facce di una stessa esigenza.

Non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscere oggi che alcuni di quegli attacchi qualche volta siano andati oltre il limite del giusto e che spesso, oltre il fatto singolo o le singole persone, si intendeva colpire determinate correnti dell'antifascismo moderato le quali, per le loro origini politiche e sociali, costituivano a nostro avviso pericoli mortali per lo sviluppo ed il trionfo della lotta contro il fascismo e l'occupante nazista.»

OT: mi ha colpito in particolare l'asprezza del giudizio sul sindacalista socialista Bruno Buozzi (al quale dopo la morte i comunisti intitolarono una brigata inquadrata nella Divisione Garibaldi "Natisone"): secondo Scoccimarro "nel campo sindacale sostiene tesi del più putrido riformismo" (p. 350); "i riformisti contano su Buozzi per ricostruire il vecchio apparato mandarinesco della confederazione e noi abbiamo il dovere di impedirlo" (p. 393).--Demiurgo (msg) 00:48, 12 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Chiarimento circa il fratello di Piero Zuccheretti modifica

[@ Lucas] In merito a una parte di questo tuo edit è stato chiesto un chiarimento.--Demiurgo (msg) 14:13, 27 mag 2016 (CEST)[rispondi]

La parte più importante dell'intervista di Portelli a Giovanni Zuccheretti (pp. 229-30 dell'edizione Donzelli 1999; 233-5 nell'edizione Feltrinelli 2012) si può leggere a partire da qui. --Salvatore Talia (msg) 18:07, 28 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Ho modificato così. La questione del percorso di Piero Zuccheretti potrebbe sembrare di lana caprina, ma se fosse vera l'ipotesi di Portelli allora potrebbe esser anche vero che i gappisti non avessero visto il bambino. Se invece avesse ragione il fratello di Piero, allora necessariamente questi avrebbe incrociato Bentivegna lungo la sua strada, dopo esser passato giusto di fronte alla Capponi (palo all'incrocio). Faccio anche notare che se è vero che Piero Zuccheretti stava andando al lavoro a piedi dopo esser sceso dall'autobus, allora appare assai improbabile che fosse sceso alla fermata successiva per poi tornare indietro (come praticamente risulta se si segue Portelli). Appare più logica la ricostruzione del fratello. Ma allora risulterebbe impossibile che Piero non sia stato visto da nessuno dei gappisti. Continuando la chiacchierata, mi trovo d'accordo con Portelli quando afferma che i partigiani avrebbero dovuto rivendicare la morte del bambino, dichiarandola come accidentale nell'ambito della loro azione. Invece hanno scelto una via più tortuosa, con una serie di non detti che li hanno fatti apparire reticenti. Sicuramente c'è da considerare il clima postbellico, in tutto ciò.--Presbite (msg) 12:19, 29 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Scusate la lentezza, vedo ora. Mannaggia a me che diversamente dal solito non ho lasciato nota della fonte, avendone cartacee e non. Comunque la riscrittura mi pare piuttosto armonica. Son d'accordo che non sia semplicemente una questione di lana caprina, anche per il modo in cui la questione viene presentata e il punto delle frasi in cui viene posta la questione. Si distingue tra consapevolezza o meno, e solo le fonti possono determinare ciò, anche senza veicolare giudizi sulla circostanza. --Lucas 16:13, 31 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Cartina unica modifica

Credo che sarebbe opportuno "unire" le due cartine inserendo nella prima i dati della seconda, magari indicando anche le due ipotesi circa il percorso di Zuccheretti. Tanto per essere maniacali: "Via Due Macelli" andrebbe corretto in "Via dei Due Macelli".--Demiurgo (msg) 17:18, 30 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Cartina 1
Cartina 2

Caprara anticomunista? modifica

In merito a questo mio edit, cerco di spiegare perché chiedo una fonte. Caprara fu senz'altro comunista. Ma di sé stesso dice (testualmente): "Ho visto e vissuto per anni il volto di uno dei più vasti, turpi e astuti inganni orditi nel ‘900, ho conosciuto personaggi famosi e storici come Stalin, Breznev, Tito, Che Guevara, Krusciov, Moro e Berlinguer…, ho incontrato e conosciuto uomini non comuni. (…) In ogni caso io non mi potrò mai dire anticomunista" (sottolineatura mia). Qui si dice espressamente che "Caprara, nel '69 lascio' il partito "da sinistra", aderendo al Manifesto, e dunque la sua testimonianza non puo' essere ridimensionata utilizzando la vecchia etichetta dell'anticomunismo viscerale". In effetti, a me pare che sottolineare nella voce il presunto "anticomunismo" di Caprara sia un modo per cercare di etichettarlo in modo da sminuire la portata della sua testimonianza che viene "dall'interno" del partito. Al di là del fatto che la storia del complotto anti-Bandiera Rossa sia (come pure ritengo) o non sia una bufala. E' interessante dal mio punto di vista notare che uno come Caprara ritenga plausibile la teoria del complotto: la cosa lumeggia in qualche modo sulla capacità di un partito - come il PCI - di sostenere le posizioni più disparate, nel contempo ponendo in essere una condotta del tutto opposta. Cioè: uno come Caprara - avendone viste di cotte e di crude - può arrivare a pensare ad un complotto dietro via Rasella, annessi e connessi. Ho trovato la fonte su "Caprara anticomunista": si tratta di un libro di Bruno Vespa. E quindi sono certo che anche gli amici della nota parrocchietta saranno d'accordissino nell'espungere l'aggettivo "anticomunista" dalla voce.--Presbite (msg) 15:30, 31 mag 2016 (CEST)[rispondi]

[@ Presbite] Se non ricordo male, sono stato io a scrivere che Caprara è "poi diventato anticomunista", perché questo è quanto emerge attualmente dalla voce Massimo Caprara (che tuttavia non è ben messa). Allora, per evitare etichette troppo nette e semplificanti propongo: "ex segretario personale di Palmiro Togliatti e deputato del PCI poi uscito dal partito diventandone un deciso critico" o qualcosa del genere.--Demiurgo (msg) 16:20, 31 mag 2016 (CEST)[rispondi]
Ci sarebbe questo "coccodrillo" di Dino Messina, il cui titolo definisce Caprara, con qualche esagerazione, «uomo simbolo del comunismo e dell'anticomunismo» (corsivo mio). D'altra parte, il titolo è probabilmente redazionale e (come talora accade) semplifica eccessivamente il contenuto dell'articolo; inoltre, se Caprara in vita non voleva essere etichettato come anticomunista, è anche giusto tenere conto di questa sua volontà. Tutto sommato, sono d'accordo con la modifica proposta da Demiurgo. --Salvatore Talia (msg) 18:54, 31 mag 2016 (CEST)[rispondi]

Un plauso modifica

Senza nessuna piaggeria, però secondo me va detto che l'attuale primo paragrafo della sezione sul PCI romano e le rappresaglie (una serie di edit di Demiurgo, di cui l'ultimo è questo) è veramente ben scritto - IMHO un piccolo capolavoro di sintesi, senza una parola in più o in meno del necessario - e merita dei complimenti. --Salvatore Talia (msg) 19:47, 9 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Grazie. Osservando sia quella sezione che quella sull'accusa della mancata presentazione, mi domando se non siano troppo prolisse. IMHO - più avanti, quando avremo completato tutto - sarebbe il caso di tentare di sostituire qualche citazione con un più sintetico discorso indiretto, laddove possibile. Comunque, ci stiamo avvicinando alla fine (della voce principale): manca solo la sezione - da posizionare dopo la 10.3 - "Valutazioni storiografiche" sul rapporto attentato-rappresaglia. Poi ci sarebbe solo qualche sintesi di contenuti già presenti nelle voci di approfondimento.--Demiurgo (msg) 21:32, 9 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Piccola spiegazione modifica

Per questo edit. Si tratta certamente di un'inezia, di una sfumatura forse irrilevante, tuttavia trovo in qualche modo improprio parlare di "omessa richiesta" tedesca. Secondo il vocabolario Treccani, omettere significa «astenersi dal compiere un’azione che sarebbe doveroso, necessario o opportuno compiere». Ora, secondo me non possiamo dire che chiedere ai gappisti di "presentarsi" dopo l'attentato sarebbe stato "doveroso", né che sarebbe stato "necessario". Forse sarebbe stato "opportuno": ma sempre e solo dal punto di vista dei tedeschi. Scrivere che i partigiani "mancarono" di presentarsi perché i tedeschi "omisero" di chiederglielo suggerisce, secondo me, l'idea che entrambi trascurarono colpevolmente di fare qualcosa che avrebbero avuto l'obbligo di fare: rispettivamente, i tedeschi chiedere la "presentazione", e i gappisti "presentarsi". In altre parole, scrivere così significherebbe, secondo me, operare una sottile petizione di principio, dal momento che l'esistenza di tali obblighi (soprattutto da parte dei gappisti) è tutt'altro che dimostrata. --Salvatore Talia (msg) 20:16, 9 giu 2016 (CEST) P.S. Grazie per aver corretto la consecutio; tuttavia, "si erano presentati" e "aveva chiesto" sono due trapassati prossimi, non remoti.[rispondi]

Non avevo colto la sfumatura. Comunque, sembra che all'epoca l'idea della doverosità della presentazione, qualora questa fosse stata richiesta in cambio della vita dei prigionieri, fosse accettata anche dagli stessi partigiani, non saprei dire se per reale convinzione o per non contrariare l'opinione pubblica.--Demiurgo (msg) 21:41, 9 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Controversie modifica

Riguardo a questa proposta. Io credo che l'affermazione di Lepre non vada interpretata in senso letterale. Penso che l'insigne storico voglia dire semplicemente che le discussioni sull'attentato sono state, a suo parere, poche o insufficienti se confrontate con le discussioni relative all'uccisione di Gentile. Certo, a rigore, la formulazione infelice ("nessuna discussione") rende l'asserzione di Lepre fattualmente erronea; quindi, se la si vuole cancellare, non mi oppongo. Cancelliamola pure; dopodiché provvederemo ad apporre in testa alla voce l'apposito template di non neutralità, dal momento che, togliendo l'accenno di Lepre, in voce rimane ben poca traccia della «discussione [...] condotta in maniera molto goffa da alcuni ambienti di destra, con l'accusa agli attentatori di non essersi presentati al comando tedesco per evitare la fucilazione degli ostaggi». Sappiamo che tale polemica fu assai rumorosa, tenace, costante e protratta nei decenni; eppure la voce, attentissima a cogliere qualsiasi altra polemica, tende inspiegabilmente a glissare proprio su questa, che invece è sottolineata da pressoché tutti gli storici. La vistosa carenza finisce però per inficiare la neutralità della voce, in quanto ne risulta che le polemiche siano state condotte prevalentemente da parte antifascista. Lepre ci dice che in realtà così non fu. --Salvatore Talia (msg) 19:35, 27 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Indubbiamente, nella sua versione attuale, nella voce sulle controversie prevalgono nettamente le critiche "da sinistra" e "dall'Alto Adige" e questo è sicuramente un limite. Peraltro, se non ricordo male, anche in qualche articolo tra quelli di "Quaderni Radicali" si rimprovera ai partigiani la mancata presentazione, riprendendo la diceria dell'invito da parte tedesca. Il libro di Portelli (che come sai non possiedo) è incentrato proprio sul debunking della "memoria di destra", giusto? Mi aspettavo quindi che la mancanza l'avresti colmata tu. Nell'incipit si deve naturalmente scrivere che la polemica è stata condotta prevalentemente da destra, ma non vedo la necessità di utilizzare proprio quella frase di Lepre fattualmente non veritiera (sembra che, al di fuori di goffi buzzurri di destra, ci sia stato il silenzio... magari silenzio assenso...). Un dibattito a sinistra prima di Lepre c'è stato, peraltro in due tempi (dopo le critiche di Pannella nel 1979 e quelle di Bobbio nel 1984), anche se certamente insufficiente (nel 1991 Vittorio Foa disse che a sinistra via Rasella era tabù e invitò a discuterne). Inoltre, va considerato anche che dopo Lepre ci sono stati i Benzoni, Forcella e Pezzino, che di destra non sono.--Demiurgo (msg) 00:27, 28 giu 2016 (CEST)[rispondi]
OK, allora tu togli pure la frase di Lepre, e poi vedrò d'integrare la voce con qualcosa sulle polemiche "da destra". --Salvatore Talia (msg) 13:02, 28 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Va bene, la toglierò quando avrò pensato a un capoverso alternativo che tenga ferma la polemica di destra, ma dia conto anche di altre discussioni (peraltro anche Lepre è un critico di sinistra - si definiva "ex comunista non pentito" - e quindi la sua frase, citata in incipit, ha il difetto di non ricomprendere egli stesso).--Demiurgo (msg) 13:26, 28 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Salvo D'Acquisto modifica

La Civiltà Cattolica, anno 105, vol. II, quaderno 2492, 17 aprile 1954, Cronaca contemporanea, pp. 212-3.

-- p. 212 --

Il decimo anniversario dell'atroce carneficina compiuta dal comando tedesco, il quale, il 24 marzo 1944, per rappresaglia dei trenta soldati uccisi dallo scoppio di una bomba mentre passavano per via Rasella, trucidò alle Fosse Ardeatine 335 uomini di ogni ceto e di ogni partito, venne commemorato solennemente e al luogo del supplizio e alle due Camere del Parlamento fra l'unanime consenso o almeno fra il silenzio di chi avrebbe avuto qualche rilievo da fare. Ma un articolo pubblicato dall'on. Amendola sull'Unità[1] in onore degli eroi della Resistenza romana gli provocò una strigliatina da parte di un corsivista del Tempo (25 marzo), per il tentativo di glorificare gli autori dell'attentato. Costoro, secondo l'Amendola, non intesero, in un primo tempo, di colpire i tedeschi, bensì di disperdere un corteo fascista; ma avendo i fascisti rinunziato alla parata, il colpo fu diretto contro il reparto armato tedesco.

-- p. 213 --

Quindi, notava il corsivista, i tedeschi furono ammazzati per combinazione, solo perché mancò ai comunisti l'occasione propizia per ammazzare gli italiani. L'eroismo del Bentivegna, dunque, più che rifarsi a Garibaldi, si rifà a Moranino, a Ortona, a Gorrieri: è un eroismo da eccidio. Con questo non saremo noi a mettere in dubbio il coraggio degli appartenenti al GAP; dobbiamo tuttavia rilevare che i comunisti stanno abusando, in proposito, dell'attributo di eroe, che distribuiscono con estrema facilità agli uomini della loro parte. L'uomo di coraggio non è necessariamente un eroe, in quanto l'eroismo si ha quando un superiore senso di sacrificio sublima e completa il coraggio. Salvo D'Acquisto, umile carabiniere, che si fa fucilare innocente per salvare gli ostaggi, è un eroe; il Bentivegna è uno strumento destinato a determinare l'eroismo e il martirio altrui. D'altro canto, tra i martiri delle Fosse Ardeatine, pochi sono quelli che i comunisti possono ricordare come esponenti di partito; in maggioranza quei caduti erano azionisti, socialisti, monarchici, badogliani in genere, cattolici e una grande massa di senza partito, barbaramente coinvolti in un eccidio indiscriminato. Bentivegna e compagni avrebbero potuto assurgere ai cieli dell'eroismo, se avessero coronato la loro azione di guerra, se al coraggio di questa azione avessero accoppiato il coraggio di affrontarne le conseguenze consegnandosi ai tedeschi per salvare la vita a 335 uomini, in massima parte ignari, che stavano per essere avviati al massacro per rappresaglia. Eroi, quindi, fino a che il pericolo era qualcosa di indistinto, tornati uomini normali e prudenti non appena la possibilità della morte apparve cosa certa e immediata. Prudenti e calcolatori al punto, i tre eroi del GAP, da far ritenere valesse la pena che più di trecento uomini, direttamente o indirettamente loro compagni di lotta, pagassero per la loro diretta responsabilità.


  1. ^ Giorgio Amendola, Onore agli eroi della Resistenza romana! (PDF), in l'Unità, 24 marzo 1954.


A proposito di polemica di destra, nel cassetto ho inserito un articolo de La Civiltà Cattolica del 1954, che a sua volta riprende una polemica de Il Tempo. Comunque, la versione di Portelli su Salvo D'Acquisto, secondo la quale il carabiniere sarebbe stato fucilato in ogni caso, non mi persuade del tutto. Ho sempre letto che Salvo D'Acquisto, coinvolto in quanto responsabile dell'ordine pubblico, avrebbe potuto tranquillamente scegliere di collaborare con i tedeschi per trovare l'autore del presunto attentato, dopodiché dando loro un colpevole si sarebbe salvato. Dire che il carabiniere "si presentò" o "si consegnò" è a rigore sbagliato, dato che era già nelle mani dei tedeschi, ma ciò non toglie che possa essere andato incontro alla morte per libera scelta. Se le cose stessero così, il tentativo portelliano di neutralizzare il caso D'Acquisto come "contraltare polemico" di via Rasella si rivelerebbe capzioso. Ad ogni modo, la frase "Salvo D'Acquisto, umile carabiniere, che si fa fucilare innocente per salvare gli ostaggi, è un eroe; il Bentivegna è uno strumento destinato a determinare l'eroismo e il martirio altrui" a me pare in ogni caso un'opinione legittima.--Demiurgo (msg) 12:04, 29 giu 2016 (CEST) P.S. Notare l'affermazione secondo cui i tedeschi furono colpiti "solo perché mancò ai comunisti l'occasione propizia per ammazzare gli italiani": è l'accusa della guerra civile, dalla quale com'è noto i comunisti si difesero negando ostinatamente (e disastrosamente) che la guerra civile era stata un aspetto fondamentale della resistenza.[rispondi]

Certo che è un'opinione legittima, ad ogni modo e in ogni caso (e aggiungerei comunque). Siamo in democrazia, dove ogni opinione è legittima. L'articolo dei gesuiti è anche interessante, quindi lo si può benissimo citare nella voce sulle controversie. L'accenno a Moranino e Ortona è un chiaro riferimento all'eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli; così su due piedi, non saprei dire a quale episodio si riferisca "Civiltà cattolica" menzionando Gorrieri. Abile, seppure un po' demagogico, l'inciso «i tedeschi furono ammazzati per combinazione, solo perché mancò ai comunisti l'occasione propizia per ammazzare gli italiani»; il padre gesuita dimentica che gli "italiani" in questione erano fascisti collaborazionisti coll'invasore, nemici - in quel momento storico - dello Stato italiano. Inoltre l'articolo lascia intendere che i gappisti non abbiano corso nessun rischio personale, il che appare ictu oculi falso a chi conosca anche minimamente la dinamica dell'azione. Ma l'autore probabimente non sa, o non vuole riconoscere, che l'attentato fu un'azione di guerra, dato che scrive di guerra in corsivo. Poi c'è la solita accusa della mancata presentazione: anche qui l'autore ignora che non ci fu nessuna richiesta di consegna, e dà per scontato (il che non è) che "consegnandosi" i partigiani avrebbero "salvato la vita" degli ostaggi. Fra i quali vi erano anche alcune decine di comunisti del PCI, che però per il padre gesuita erano troppo "pochi": chissà, fossero stati di più, se il tenore dell'articolo sarebbe stato diverso.
Questo per quanto riguarda i gesuiti e la loro opinione, legittima quanto l'altra di Benedetto Croce, che in un luogo celebre definì «sudicia» e «oggetto di universale orrore e ribrezzo» la morale gesuitica in quanto fondata sulla menzogna e sulla «frode verso sé stessi e verso la coscienza» (Filosofia della pratica, Bibliopolis, Napoli 1996, pp. 352-3). E mi fermo qui per non divagare.
Quanto a Salvo D'Acquisto: dici di avere "sempre letto che (...) avrebbe potuto tranquillamente scegliere di collaborare con i tedeschi per trovare l'autore del presunto attentato, dopodiché dando loro un colpevole si sarebbe salvato", che cioè si sarebbe salvato accettando di diventare collaborazionista, traditore, delatore e calunniatore (dal momento che non vi era stato nessun attentato e, per conseguenza, nessun "colpevole"), e però "tranquillamente", quindi - suppongo - in modo da essere pienamente in pace con la propria coscienza: dove hai letto tutto ciò, per curiosità? Sempre sul giornale dei gesuiti? :-P --Salvatore Talia (msg) 13:55, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Se è per questo anche riguardo a Croce, in un celebre blog che dovresti conoscere bene, si leggono delle interessanti opinioni legittime...
L'articolo l'ho trascritto proprio affinché possa essere citato nella voce sulle controversie, visto che come giustamente lamenti difetta di polemiche "da destra".
Esattamente, al prezzo "di diventare collaborazionista, traditore, delatore e calunniatore" Salvo D'Acquisto avrebbe potuto tranquillamente (nel senso di comodamente, ma di sicuro ignominiosamente; la tua "supposizione" mi sembra un po'... gesuitica ;-P) salvarsi. Ergo, la versione di Portelli, secondo la quale D'Acquisto "sarebbe morto comunque" con gli ostaggi è IMHO assolutamente da respingere. D'Acquisto non era un ostaggio come gli altri, ma il responsabile dell'ordine pubblico: se fu condotto sul luogo della fucilazione "insieme" agli altri è perché aveva già scelto di "immolarsi" (termine che Portelli contesta, perché secondo lui D'Acquisto non aveva scampo, e dunque "tanto vale..."). A me sembra davvero capzioso (per non dire altro) questo fare le pulci alla storia di Salvo D'Acquisto da parte di Portelli, per evitare che l'eroe di Palidoro oscuri troppo gli eroi di via Rasella. Facendo leva sull'indubbia inadeguatezza del termine "presentarsi", Portelli finisce per oscurare il fatto che il carabiniere scelse. Piaccia o meno, la valenza del "contraltare polemico" rimane: da un lato un uomo che scelse di andare incontro alla morte, per salvare la sua integrità e altre vite (da lui non messe in pericolo), dall'altro uomini che, imponendo la loro "etica del sacrificio", le altre vite le mettevano consapevolmente a repentaglio (sia quelle dei prigionieri, sia quelle di coloro che si trovavano sui luoghi degli attentati). Non sarà l'acume di Portelli e di altri brillanti scrittori a normalizzare via Rasella, la quale, comunque la si rigiri, resterà sempre indigeribile per l'Italia "mandolinista". E' interessante peraltro notare che la terminologia con cui i comunisti bollavano gli attendisti era esattamente la stessa che gli interventisti (e poi i fascisti) avevano utilizzato per i neutralisti del 1914.--Demiurgo (msg) 15:27, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Da carabinieri.it:

«La mattina del 23, quindi, aggredirono davanti alla Stazione di Palidoro il Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto, il più alto in grado in quel momento presente, nell’erroneo convincimento che l’Arma fosse responsabile della loro sicurezza nelle retrovie e non, come nella realtà, unicamente del bene della popolazione, percuotendolo in volto e pretendendo che indicasse loro il responsabile del sanguinoso gesto. Il sottufficiale si rifiutò, cercando di spiegare che l’accaduto era stato puramente casuale ed insistette nella sua affermazione, respingendo con calma e dignità le minacce. Il maresciallo tedesco decise allora di procedere alla rappresaglia: fece rastrellare 22 ostaggi di Torrimpietra e ordinò di condurli, assieme al sottufficiale, nella piazzetta di Palidoro. A D’Acquisto fu chiesto nuovamente di indicare il colpevole tra gli ostaggi: l’ennesimo rifiuto del sottufficiale fu immediato ed energico, benché gli sarebbe stato semplice puntare il dito contro uno di quei disgraziati o contro qualche persona assente. Dopo averlo nuovamente percosso stizziti, i nazisti caricarono di nuovo lui ed i 22 uomini sul camion e li trasferirono ai piedi della Torre di Palidoro, ove i prigionieri furono costretti a scavare quella che sarebbe diventata la loro fossa comune, ad avvenuta fucilazione. Già il lavoro di scavo volgeva al termine, tra i pianti e le imprecazioni di quegli sventurati, quando il Vice Brigadiere, resosi ormai conto che non c’era altro modo per evitare la strage, con salda determinazione si dichiarò unico responsabile dell’attentato ed impose all’ufficiale tedesco – nel frattempo giunto da Ladispoli proprio per ordinare l’eventuale esecuzione della rappresaglia – di lasciare liberi i 22 poveretti.»

Portelli invece scrive: "Salvo D'Acquisto dunque non si è immolato, offrendo la sua vita in cambio degli ostaggi; sarebbe morto comunque, con loro. Questo non significa dissacrare il suo gesto: la lucidità altruistica di una persona che, invece che alla propria vita che sta per perdere, pensa a salvare la vita degli altri basta a sancirne la grandezza. La leggenda di una morte volontaria da un lato lo sminuisce nella polemica antipartigiana...". Che sia una "leggenda" è un'opinione di Portelli, basata su una sua personale interpretazione della motivazione della MOVM. Noi dobbiamo naturalmente rispettare il NPOV tra le due versioni e cassare quella portelliana da questo cluster.--Demiurgo (msg) 16:26, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Qui c'è la motivazione del conferimento della MOVM a Salvo D'Acquisto. Portelli ricava la sua interpretazione dalle locuzioni "condotto [...] insieme" (interpretato come "destinato alla fucilazione allo stesso modo") e "ostaggi civili" (ritenendo che D'Acquisto fosse stato prelevato dall'inizio come "ostaggio militare", laddove i tedeschi lo coinvolsero in qualità di responsabile dell'ordine pubblico: furono i ripetuti - volontari - rifiuti di collaborare, e anche solo di riconoscere come avvenuto il falso attentato, a rendere il vice brigadiere un ostaggio tra gli ostaggi). La prima frase del testo parla inoltre di "altruismo, spinto fino alla suprema rinuncia della vita": rinuncia, ergo atto volontario (non si può "rinunciare" a qualcosa che si sarebbe perso in ogni caso)... E quindi vacilla tutta l'interpretazione elaborata per "sminuire" - affermando che quella della "morte volontaria" del carabiniere sarebbe solo una "leggenda" - il "contraltare polemico" di via Rasella.--Demiurgo (msg) 18:44, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Scusa, ma non ti seguo più. Fino all'altro ieri non possedevi il testo di Portelli; oggi lo citi (p. 323) e lo interpreti anche sottilmente, e devo dunque presumere che te lo sei procurato. Tuttavia - e a questo punto davvero non me lo spiego - da ciò che scrivi sembra che tu non abbia letto i due paragrafi che precedono immediatamente il brano che hai citato. In questi due paragrafi, a cavallo tra la p. 322 e la p. 323, Portelli riporta la testimonianza da lui raccolta di Naldo Attili, uno dei rastrellati. Riassumendo, Attili racconta che D'Acquisto venne caricato con gli ostaggi sul camion e condotto assieme a loro sul luogo dell'esecuzione; dopodiché a tutti diedero i badili per scavarsi la fossa, meno che a D'Acquisto, al quale la pala non toccò in quanto (a dire di Attili) quelle che c'erano non bastavano per ventitré persone. Mentre scavavano, D'Acquisto, che stava di fianco ad Attili, su richiesta di quest'ultimo si rivolse all'interprete e gli disse qualcosa. Dopo un poco i tedeschi ordinarono a tutti di venire fuori, meno che a D'Acquisto. Nel suo racconto, Attili sottolinea più volte che il "brigadiere" stava proprio di fianco a lui. Commenta Portelli: «Forse i tedeschi hanno capito di essersi sbagliati, ma non vogliono perdere la faccia; Salvo D'Acquisto offre una scappatoia. Pochi giorni dopo, a Palidoro, uccidono con un gioco crudele sei renitenti alla leva; altri ne uccideranno in novembre». A capo. «Salvo D'Acquisto dunque non si è immolato», ecc. (il passo che hai citato tu).
La congiunzione dunque, che ho messo in corsivo, nel testo di Portelli non ha affatto la funzione di introdurre una deduzione logica basata sulla motivazione della medaglia, come hai erroneamente sostenuto; si riferisce invece alla testimonianza di Attili. Se vuoi contestare Portelli, devi prima di tutto confutare tale testimonianza (cosa che certamente non mancherai di fare: alcuni argomenti per tale confutazione, volendo, li potresti trovare nel testo stesso di Portelli), e non le deduzioni che qui sopra hai arbitrariamente attribuito allo storico.
Con tutto ciò, naturalmente, non voglio dire che la ricostruzione proposta da Portelli sia l'unica esistente, l'unica ammissibile o l'unica valida. Andrebbe però contestata mediante altre e diverse fonti, non mediante apriorismi paralogistici basati su un'imperfetta conoscenza del testo in questione. --Salvatore Talia (msg) 20:22, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Come ti ho già scritto in un'altra occasione, io mi avvalgo dell'edizione Donzelli del 1999, disponibile in parte su Google libri (è linkata anche nella bibliografia di questa voce). Troppo poco per conoscere tutto il discorso di Portelli sulla "memoria di destra", ma credo abbastanza per capire come interpreta la storia di Salvo D'Acquisto. A p. 320 c'è l'interpretazione della motivazione. Comunque, il pensiero di Portelli è chiaro a p. 322, dove scrive di ritenere una "leggenda" la versione della morte volontaria del carabiniere ("La leggenda di una morte volontaria da un lato lo sminuisce nella polemica spicciola antipartigiana, dall'altro lo eleva ad una sacrale figura di Cristo": sono parole di Portelli, non di Attili). Inoltre, in questa recensione ho potuto leggere: "E ancora, a rafforzare di fatto la vulgata antiresistenziale, il mito complementare di Salvo D'Acquisto, il carabiniere che nella memoria di molti [...] "si presentò", andò dai tedeschi e si assunse la responsabilità di un attentato non commesso per salvare i ventidue civili ingiustamente catturati; e invece era stato catturato insieme ai ventidue ostaggi, e dunque sarebbe stato ucciso comunque. Cosa che non sminuisce la grandezza del suo gesto, ma vanifica la valenza della leggenda di Salvo D'Acquisto come esempio simmetricamente opposto a quello dei gappisti di Via Rasella". Ad ogni modo, tu che hai tutto il libro, mi confermi che Portelli ritiene "leggendaria" la versione secondo cui Salvo D'Acquisto scelse volontariamente di morire (anche sulla base della motivazione della MOVM, come si evince dai corsivi in "condotto [...] insieme" e "ostaggi civili" nella sua citazione), ritenendo che sarebbe stato ucciso comunque?--Demiurgo (msg) 21:06, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Da notare che la versione che Portelli contesta è la stessa dell'ANPI: "Salvo D'Acquisto non rischia nulla...". A p. 426 in una nota Portelli quasi si sorprende che la versione della "morte volontaria" sia ripresa anche "a sinistra": "sembra che da parte resistenziale si senta il bisogno di esaltare Salvo D'Acquisto per averlo con sé, anziché contro, e per mostrare che si condivide ciò che rappresenta". Forse, molto più semplicemente, da parte resistenziale si esalta Salvo D'Acquisto perché merita di essere esaltato (si mostra di condividere perché... si condivide effettivamente, senza tatticismi spiccioli).--Demiurgo (msg) 21:18, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Qui c'è la presentazione di una biografia di Salvo D'Acquisto abbastanza recente. Anche qui la versione della storia è quella che Portelli contesta. Con la sua tesi secondo cui il carabiniere sarebbe stato fucilato in ogni caso, Portelli è in posizione ultra-minoritaria.--Demiurgo (msg) 21:45, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Ieri sera mi sono letto tutto questo appassionante paragrafo nella pagina di discussione. Guarda caso ho proprio il libro della Pomponio citato da Demiurgo. Francamente, non l'ho ancora letto: è un libro che mi è arrivato in omaggio. Mentre da un amico ho recuperato il numero della Domenica del Corriere del 5 aprile 1964 nel quale ci sono le interviste ad alcuni degli ostaggi arrestati dai tedeschi e poi salvati dal sacrificio di D'Acquisto: fonte peraltro citata da Portelli in nota. Purtroppo per ancora una decina di giorni avrò parecchio da fare, ma credo di potermi in futuro ritagliare un buco per mettere a confronto ciò che dice Portelli con quanto affermano la Pomponio e le testimonianze del 1964. Rilevo però di passata che in un noto articolo di un altrettanto noto blog, Salvatore Talia affermò che un certo "Gazzettiere di Fucecchio" (ho googolato non trovando altri luoghi in cui questo personaggio venne chiamato così, per cui abbondantemente post mortem questo "gazzettiere" deve al Talia il simpatico nomignolo) purtroppo non aveva a disposizione wikipedia: gli sarebbe infatti bastata - secondo Talia - una "rapida consultazione" per scoprire varie cose sulle quali il gazzettiere aveva evidentemente preso una solenne cantonata. Fra queste (punto 3) che "il brigadiere Salvo D’Acquisto non «si presentò ai tedeschi»: fu arrestato insieme ad altri 22 ostaggi civili, assieme ai quali, al momento del suo eroico gesto autoaccusatorio, stava per essere fucilato per rappresaglia a seguito di un presunto attentato (in realtà un’esplosione accidentale)". Se voi andate a leggere la parte della voce su D'Acquisto relativa alla sua fucilazione, non è proprio scritto chiaramente così. La questione è molto più netta dove? Nella voce su via Rasella, ove si afferma quanto segue: "Il confronto tra la "mancata presentazione" dei gappisti e il comportamento di Salvo D'Acquisto, che pur innocente si era accusato responsabile della morte di alcuni soldati tedeschi, è stata [sic!] spesso ripreso nelle polemiche su via Rasella [143]. Benché in alcune di queste narrazioni si affermi che Salvo D'Acquisto "si presentò" o "si consegnò" spontaneamente ai tedeschi, in realtà ciò non è esatto: D'Acquisto era già prigioniero dei tedeschi, e stava per essere fucilato assieme ad altri ostaggi, quando decise di autoaccusarsi per scagionare questi ultimi [144]". Notare il sapiente uso delle parole: a sostenere che D'Acquisto "si consegnò" ai tedeschi sono delle "narrazioni" (par di sentire la mamma che racconta delle fiabe ai figlioli). "Narrazioni" che sono in effetti interne alle "polemiche su via Rasella". Ma poi viene fuori la granitica certezza: "in realtà ciò non è esatto: D'Acquisto era già prigioniero dei tedeschi, e stava per essere fucilato assieme ad altri ostaggi". Le "narrazioni" sono inesatte, mentre l' "esattezza" sta in ciò che è scritto dopo. La fonte nella nota numero 144? Una sola, e risponde al nome di Portelli. Adesso non sto qui a riportare nome e cognome di chi ha inserito questo passo nella nostra amata enciclopedia, perché i nostri venticinque lettori ci sono arrivati subito. Certo è che risalta sempre più - ed è già stato ampiamente rilevato - come ci sia stato un massiccio e pervicace tentativo di piazzare Portelli come spina dorsale del cluster delle voci relative a via Rasella. Portelli che grazie al lavoro di certuni qui dentro è già stato solennemente smentito in uno dei suoi assunti fondamentali, e cioè sul fatto per cui non ci fossero state reazioni tedesche (tantomeno rappresaglie) prima di via Rasella, tanto che il passo è stato cassato dallo stesso che lo inserì (anche qui i venticinque lettori ci sono arrivati subito), senza peraltro rilevare nella voce l'errore clamoroso dello studioso. Smentito su tutta la linea allora il Portelli (cosa che peraltro giammai verrà rivelata agli avidi lettori del noto blog, che si cuccano ben altra e più gustosa narrazione), ci aggiorniamo allora su D'Acquisto.--Presbite (msg) 10:46, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
PS Mi sono appena accorto che Portelli ha scritto un saggio sul "sacrificio" (fra virgolette) di D'Acquisto. Qualcuno ha la possibilità di scaricarlo (c'è una somma non indifferente da pagare, se non si è collegati a certi circuiti universitari et similia)? Mi interesserebbe leggerlo.--Presbite (msg) 10:58, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Io non ho la possibilità. Sembra che Portelli ritenga che dietro la "narrazione" classica della vicenda di Salvo D'Acquisto vi sia una specie di disegno reazionario e anticomunista elaborato dall'Arma di concerto con la Chiesa: "Salvo D’Acquisto was singled out as the perfect vehicle for this project...".--Demiurgo (msg) 12:09, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
In realtà il disegno ipotizzato da Portelli (ovviamente senza la minimissima prova, né documentale né testimoniale), è ancora più ampio. Egli infatti nel suo libro su via Rasella arriva a dire che financo i partigiani s'acconciarono a far di D'Acquisto uno dei loro. Ecco quindi che il nostro studioso mentre afferma che D'Acquisto in realtà sarebbe morto lo stesso e quindi tutta la storia per la quale si sarebbe "offerto" in cambio degli altri arrestati è una fola, nel contempo lamenta che "anche a sinistra" questa "narrazione" ha fatto breccia, venendo ripresa da Ferruccio Parri e Gianni Corbi. Come abbiamo visto, la stessa "narrazione" è fatta propria anche dall'ANPI. Almeno fino ad oggi, se seguiamo il loro sito. L'apodittica conclusione di Portelli è la seguente: "Sembra che da parte resistenziale si senta il bisogno di esaltare D'Acquisto per averlo con sé, anziché contro, e per mostrare che si condivide ciò che rappresenta". Sarebbe interessantissimo penetrare nei meandri della mente di Portelli per capire che s'intende con "anziché contro". E mi risulta del tutto incredibile pensare che qualcuno possa pensare di non "condividere ciò che rappresenta" D'Acquisto. Ipotizzo che la chiave di questa divagazione stia nell'articolo da me linkato. Ipotizzo quindi che Portelli in realtà stia parlando implicitamente di sé stesso: è lui a non condividere ciò che D'Acquisto rappresenta. Anche se non mi pare che oggi Portelli "abbia contro" Salvo D'Acquisto. Anche perché non mi risulta che nessuno si sia preso finora la briga di verificare se le teorie portelliane - qua prese da qualcuno come freschissima e purissima acqua di fonte, buone da sole a sustanziare interi capoversi anche senza verifiche incrociate - poi siano effettivamente sostenute dai fatti. Però metto le mani avanti. Fino a questo preciso istante non ho nemmeno aperto il testo della Pomponio, che è successivo a quello di Portelli. E non ho ancora letto le testimonianze riportate dalla "Domenica del Corriere" del 1964. Hai visto mai che diano ragione piena a Portelli e quindi potremo adeguatamente rimpolpare la nota 144?--Presbite (msg) 12:54, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]

@ Demiurgo:
A p. 321 Portelli intervista un carabiniere in pensione, che gli racconta la storia di D'Acquisto così come l'intervistato l'ha appresa da un film, La fiamma che non si spegne di Vittorio Cottafavi (1949). Il carabiniere racconta la trama del film, e Portelli subito dopo commenta:
«Non andò così. I tedeschi non erano un plotone (un'ovvia contaminazione con via Rasella): non ci fu un attentato, ma l'esplosione accidentale di una bomba, forse sequestrata a pescatori di frodo. E Salvo D'Acquisto non viene "informato" che gli ostaggi stanno per essere fucilati, ma - come abbiamo visto - era stato arrestato "unitamente" a essi».
Questa è la versione che Portelli si propone di demistificare.
Il "come abbiamo visto" di Portelli si riferisce a un brano (che Portelli riporta a p. 320) tratto da questo libro: «Arrestato a Torre in Pietra la sera del 22 settembre 1943 unitamente ad altri 22 ostaggi civili per rappresaglia in seguito a presunto attentato che provocava la morte di un soldato tedesco e il grave ferimento di altri due, per sottrarre al massacro gli ostaggi, già disposti in fila per la fucilazione sull'orlo di una fossa da essi stessi scavata si dichiarava, pur innocente, unico responsabile dell'attentato, affrontando così impavidamente la morte».
Poi, un paio di pagine dopo, sulla scorta della testimonianza di Attili, Portelli aggiunge che D'Acquisto stava per essere fucilato assieme agli ostaggi. Solo quest'ultimo, se ho capito bene, è il punto che tu stai contestando. Rimane invece assodato che: a) non ci fu nessun attentato; b) non è vero che D'Acquisto "si presentò" ai tedeschi, in quanto era già loro prigioniero. Il punto b) è poi il principale ai fini dell'accusa della mancata presentazione dei gappisti.
Se, sulla scorta di altre fonti che stanno emergendo ora (e che andranno citate), si vuole depennare dalla voce l'asserzione secondo cui D'Acquisto stava per essere fucilato, io non mi oppongo. La frase in voce risulterebbe modificata dall'attuale: «Benché in alcune di queste narrazioni si affermi che Salvo D'Acquisto "si presentò" o "si consegnò" spontaneamente ai tedeschi, in realtà ciò non è esatto: D'Acquisto era già prigioniero dei tedeschi, e stava per essere fucilato assieme ad altri ostaggi, quando decise di autoaccusarsi per scagionare questi ultimi», alla seguente o equivalente: «Benché in alcune di queste narrazioni si affermi che Salvo D'Acquisto "si presentò" o "si consegnò" spontaneamente ai tedeschi, in realtà ciò non è esatto: D'Acquisto era già prigioniero dei tedeschi, assieme ad altri ostaggi, quando decise di autoaccusarsi per scagionare questi ultimi salvandoli così dalla fucilazione».
@Presbite:
Bentornato. Chissà perché, ma oggi mi aspettavo proprio un tuo intervento. Come sempre, non replico ai tuoi attacchi personali, né mi attardo a risponderti riguardo a cose che ho scritto fuori da Wikipedia e che ai lettori di Wikipedia possono benissimo non interessare. Per tali faccende scrivimi in privato, o sulla mia talk, oppure telefonami (il mio numero è sull'elenco), oppure apri una procedura UP, o insomma vedi tu cosa ritieni di poter fare; sono a tua completa disposizione. Mi limito ad osservare che quello che tu definisci "massiccio e pervicace tentativo di piazzare Portelli come spina dorsale del cluster delle voci relative a via Rasella", io lo definisco invece "legittimo uso della fonte autorevole Portelli, che costituisce una delle tre o quattro principali monografie su via Rasella e le Fosse Ardeatine", e lo rivendico con tranquilla coscienza osservando, fra l'altro: che autorevole non significa infallibile; che la questione delle rappresaglie è molto più complessa di come la fai apparire tu; che Portelli è presente nella voce principale da molto prima che intervenissi io; che Portelli è presente inoltre nella voce sul Polizeiregiment "Bozen", dove non credo di essere mai intervenuto, ed è presente nell'incipit della voce sulle Controversie, con una citazione che non sono stato io ad inserire. Quanto alla concordanza sbagliata ("è stata" al posto di "è stato", un semplice e scusabilissimo errore di battitura), la correggiamo subito. È questo il bello di Wikipedia, no? In NS0 non ci sono errori esiziali, e tutto si può sempre correggere. --Salvatore Talia (msg) 12:51, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Ti rispondo solo sull'ultimo punto: io di solito me ne frego degli errori di battitura. Ma visto che il tuo alter ego li mette sempre in risalto col (sic!), ho pensato che ti facesse piacere che io adottassi lo stesso identico sistema qua dentro. Adesso utilizzo una tipica metodica argomentativa apodittico-portelliana: la cosa ti dà invece molto fastidio. Su tutto il resto, devi anche tu aspettare la verifica degli assunti di Portelli che farò su altre fonti. Verifica che tu non ti sei minimamente preoccupato di fare per D'Acquisto, come per la "molto più complessa" questione delle rappresaglie. Cordialità.--Presbite (msg) 13:07, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
(FC) Infatti se il tuo "sic!" si fosse riferito a un mio edit, non avrei detto niente, proprio perché anch'io (che alter ego? Non ne ho di alter ego, io) ho talora usato questo artificio retorico. Solo che stavolta la tua rappresaglia ha colpito un civile innocente. Intelligenti pauca. --Salvatore Talia (msg) 18:33, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
(FC) "Alter ego" perché alcuni sic sono a firma Nicoletta Bourbaki. O vuoi dirmi che all'anagrafe sei Salvatore Nicoletta Talia Bourbaki? Oppure - in alternativa - vuoi far passare la narrazione per cui l'alata articolessa da me linkata dal noto blog non ti ha visto nei panni del maggior contributore? Lo chiederemo a Portelli, dopo che vi avrà debitamente intervistati all'alba dei vostri novantun anni.--Presbite (msg) 18:55, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
(FC) L'articolo che hai linkato è mio. Non ne sono il "maggior contributore": ne sono l'autore. Come puoi vedere è firmato da me con nome e cognome, in collaborazione con Nicoletta Bourbaki. By the way, anche qui su it.wiki c'è da qualche tempo un'utente che si chiama Nicoletta Bourbaki; ma non credo sia la stessa Nicoletta che conosco io. --Salvatore Talia (msg) 19:23, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
[@ Salvatore Talia] Va bene, ma a me pare molto capzioso rimarcare che Salvo D'Acquisto "non si presentò" nel momento in cui si autoaccusò, ricavandone che era destinato alla fucilazione sin dall'inizio e dunque negando che egli andò volontariamente incontro alla morte. La versione comune - che secondo Portelli è parte di un "politically expedient for the Christian Democrat government and the Catholic Church to generate an alternative narrative of the Resistance" (gomblotto!) - dice che Salvo D'Acquisto si interpose subito tra i tedeschi e la popolazione, rifiutando di collaborare con gli occupanti e anche solo di assecondare la loro pretesa di essere stati colpiti da un presunto attentato (assumendo un atteggiamento collaborazionista si sarebbe comodamente salvato). Quindi è perfettamente giusto affermare che Salvo D'Acquisto andò volontariamente verso la morte, dando la sua vita in cambio di altre. Cosa dovrebbe rivoluzionare, in questa storia, la banale circostanza che "non si presentò" perché nell'attimo di scavare la fossa era già lì, dal momento che, se era già lì, lo era proprio per una sua libera scelta? Tutto il discorso sulla presunta inadeguatezza dei termini "sacrificio", "immolarsi" e il definire "leggenda" la versione della morte volontaria del carabiniere sono IMHO grandi forzature interpretative, a cui Portelli (della cui presenza all'interno di questo cluster nessuno intende discutere) giunge inseguendo un manifesto obiettivo ideologico: indebolire il "contraltare polemico" di via Rasella.--Demiurgo (msg) 13:28, 30 giu 2016 (CEST) P.S. Starò via per un po', lascio a voi la risoluzione del caso. Fate i bravi.[rispondi]
Un'ultima cosa, forse un po' OT ma utile per capire l'approccio di Portelli ai fatti storici. Tempo fa mi sono imbattuto in questo articolo: Portelli critica molto duramente Spike Lee (che pure in precedenza aveva annoverato tra gli esponenti "dell'America a cui vogliamo bene") per Miracolo a Sant'Anna, al centro di una nota polemica con l'ANPI sulla questione delle responsabilità dei partigiani per le rappresaglie tedesche. Notare la frase: "lui non si rende conto che facendo una cosa, peraltro inventata completamente, che può essere strumentalizzata dalla destra razzista in questo paese dà armi dialogiche ed ideologiche a coloro che fomentano il razzismo nei confronti dei suoi fratelli africani e immigrati in Italia". Portelli sembra considerare i fatti in primo luogo in base allo loro strumentalizzabilità polemica da parte della destra. Lo stesso approccio pare averlo adottato su Salvo D'Acquisto, considerandolo un'"arma" in mano alla destra (sapientemente forgiata da carabinieri, DC e Chiesa) da neutralizzare nella polemica su via Rasella.--Demiurgo (msg) 13:52, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Allora. Grazie ad un amico docente mi sono procurato l'articolo su D'Acquisto. Adesso ho in mano questo e non il libro su via Rasella, ma mi pare che buona parte dell'articolo sia addirittura la copia letterale di quanto Portelli aveva già scritto. Il quadro è il seguente (le citazioni - da me tradotte dall'inglese - sono fra virgolette): dal momento in cui i partiti di sinistra vennero esclusi dal governo, la Democrazia Cristiana e la Chiesa Cattolica hanno avuto la necessità di "generare una narrativa alternativa della Resistenza". Quindi si sono messe di buzzo buono (Portelli non specifica chi e come: è una sorta di ipse dixit) e "individuarono Salvo D'Acquisto come un perfetto mezzo per questo progetto, tanto che l'8 giugno 1947 gli fu inaugurato un monumento in via Aurelia, vicino a Palidoro"- Tutto ciò doveva servire come "contro-narrazione per la storia di via Rasella e come testo per un'altra lettura della Resistenza, alternativa a quella della sinistra". "Per rinforzare le sue implicazioni, comunque, la storia doveva essere manipolata". Qui Portelli riassume la ricostruzione "manipolata": D'Acquisto si offrì in cambio degli ostaggi. "La giustapposizione con le narrative antipartigiane su via Rasella è praticamente simmetrica: i partigiani civili comunisti erano 'colpevoli' e non si presentarono, lasciando che gli ostaggi venissero uccisi; il carabiniere cattolico Salvo D'Acquisto era 'innocente' e salvo ma si autopresentò e salvò gli ostaggi morendo al loro posto". Qui Portelli riporta la sua fonte: la testimonianza orale di Naldo Attili raccolta in data 15 febbraio 1998. In nota Portelli segnala che Attili era nato nel 1907. Quindi - faccio notare io - l'anno in cui testimoniò compiva novantun anni, ed erano passati cinquantaquattro anni dal fatto. E cosa dice Attili? Ecco la traduzione: "Essi [i tedeschi] lo caricarono [D'Acquisto] pure, sul camion, e ci portarono fino alla torre", dando poi ordine di scavare una fossa. Tutti scavano tranne D'Acquisto. Il testimone dice che "pensa" che i tedeschi non avessero sufficienti pale. Cioè: ne avevano portate una in meno con sé, e guarda caso, l'unico che non fu chiamato a scavarsi la fossa fu proprio Salvo D'Acquisto. Anche qui, Portelli non si fa sfiorare dal minimo dubbio. Mi riprometto di prendere in mano il libro di Portelli perché se non ricordo male è riportata l'intera testimonianza e non vorrei sbagliare una parola nella traduzione. Ma nell'articolo in inglese Attili afferma che dal momento in cui iniziò a scavare entrò in una sorta di "trance" perdendo coscienza avendo una sorta di allucinazione. Questa è quindi la fonte che fa dire a Portelli le sue parole assolutamente nette, ripetute anche nell'articolo, nel quale stigmatizza "La tensione fra le due storie di Salvo D'Acquisto - i fatti e il mito (...)". Ancor più interessante sarà quindi - per me - la lettura delle testimonianze del 1964. Primo, perché spero che siano più d'una. Secondo, perché spero ci sia anche quella di un Attili ben più giovane. Il resto dell'articolo di Portelli è un'interessantissima descrizione - praticamente sempre senza alcuna fonte - di come negli anni 'girò il vento' rispetto alla rappresentazione della Resistenza. Anche alcuni particolari vengono inseriti in un quadro di cui bisognerebbe veramente fare un massiccio fact-checking, come per esempio la volontaria sostituzione di "Bella ciao" al posto di "Fischia il vento" come canzone più rappresentativa della Resistenza, il tutto finalizzato a questa contronarrazione che vide compattamente uniti - oltre alle citate DC e Chiesa Cattolica - anche ampi settori degli stessi partigiani, che volevano far (cito) "sottovalutare il fatto che si trattò di una guerra". "L'appropriazione di Salvo D'Acquisto divenne allora un mezzo per rinforzare una visione pacifica della Resistenza, come lotta unitaria di tutto il popolo italiano piuttosto che una guerra civile". Puntata finale: secondo Portelli "La Chiesa [Cattolica] è spesso criticata per il suo ruolo negli eventi della guerra come il suo silenzio sulle deportazioni degli ebrei. Nei momenti successivi di via Rasella, gli stessi documenti del Vaticano mostrano che la gerarchia fu informata dell'imminente massacro alle Fosse Ardeatine alla mattina del 24 marzo, ma non venne fatto nessun tentativo per fermarlo". Ho cercato all'interno della voce questa informazione così precisa, ma non sono riuscito a trovarla. Esiste questo documento negli archivi vaticani sul fatto che "la gerarchia" seppe in anticipo del massacro delle Fosse? E se esiste, che dice?--Presbite (msg) 15:19, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Forse si riferisce al documento 115 degli ADSS. Se è così ne forza il contenuto: l'ingegner Ferrero del "governatorato", poche ore prima dell'inizio del massacro, segnala alla Segreteria di Stato della Santa Sede: «finora sono sconosciute le contromisure: si prevede però che per ogni tedesco ucciso saranno passati per le armi 10 italiani» (senza peraltro specificare che tali fucilazioni sarebbero iniziate in giornata). Sembra che si tratti di una mera ipotesi, basata sul fatto che, contrariamente a quanto Portelli stesso sostiene, una rappresaglia 10 a 1 era in realtà prevedibilissima.--Demiurgo (msg) 15:39, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
Ricordavo quel documento. Ma mi rifiutavo e mi rifiuto tuttora di pensare che uno che per quanto non formatosi come storico s'è dato poi alla storia orale sia arrivato a distorcere a tale punto il significato di una fonte, fino a scrivere questa cosa qua (la cito in originale, onde evitare equivoci: sta parlando del "mito" di Salvo D'Acquisto): "The axis of this system of myths is religion and, implicitly, the part played by the Church. The Church is often criticized for its role in the events of the war such as its silence on the deportations of the Jews. In the aftermath of via Rasella, the Vatican's own records show that the hierarchy was informed of the impending massacre at the Fosse Ardeatine on the morning of 24 March, but there was no attempt to stop it. On the other hand, the actions of the 'good guys' in these narratives are attribuited to their religion: both the supposed refusal of the Bozen police battalion and Salvo D'Acquisto's supposed sacrifice are credited to their Catholic faith. Thus the beatification process initiated by the Church in 1983 in behalf of salvo D'Acquisto (whose body is enshrined in a church in Naples as it if were a holy relic) is also a means for the Church to respond to these criticisms and cleanse its own image". Notare bene l'uso sapiente della parola "supposed": per Portelli non è nemmeno detto che quello di D'Acquisto sia stato un "sacrficio". Fra l'altro, l'articolo è stato pubblicato l'11 agosto 2012. Ventinove anni prima era iniziato il processo di beatificazione di Salvo D'Acquisto, che quindi ha diritto al titolo di Servo di Dio. C'è quindi un motivo anche "tecnico" per cui il suo corpo è "custodito" nella Basilica di Santa Chiara. Portelli - fra l'altro - non poteva non sapere una cosa del genere, così come non può non sapere che diverse migliaia di corpi di varie persone sono sepolte per i più svariati motivi nelle chiese di tutta Italia. Non per questo detti corpi vengono considerati delle "sante reliquie". Mentre quelle di D'Acquisto potrebbero anche esser tali, in futuro. Per tutta una serie di motivi che ovviamente sfuggono totalmente alla comprensione di Portelli, e che non riguardano (solo) il modo in cui morì, ma soprattutto il modo in cui visse.--Presbite (msg) 16:11, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]
[@ Presbite] Potresti cortesemente inviarmi questo articolo di Portelli? Grazie,--Demiurgo (msg) 23:49, 30 giu 2016 (CEST)[rispondi]

(Rientro) Ricopio qui di seguito parte di un intervento di Demiurgo nella mia talk, che reputo utile per il vaglio. --Salvatore Talia (msg) 18:35, 5 lug 2016 (CEST)[rispondi]
«Studiando la vicenda di Salvo D'Acquisto ho trovato questo articolo, in cui Furio Colombo come Portelli sente l'esigenza di neutralizzare il "contraltare polemico di via Rasella", ma lo fa in modo diverso: "Il nome di Salvo D'Acquisto è una provocazione con cui si usa un grande italiano, che si è offerto (in una rappresaglia che non è affatto stata evitata) di prendere il posto, in una fucilazione collettiva, di un padre di famiglia con figli. I tedeschi hanno accettato la sostituzione di uno. Ma hanno sterminato tutti gli altri. Dunque su vicende del genere sarebbe bene non negare e non mentire e non far finta di non sapere [ahahahahahahah!!!, ndr]". Ho sottolineato le parti che sono prodotto della fantasia di Colombo, il quale ha probabilmente fatto confusione con Massimiliano Maria Kolbe, sostituitosi a un padre di famiglia (ma aspettiamo anche qui la revisione di Portelli, che ci spiegherà come anche Kolbe faccia parte del mega-complotto ordito dalla Chiesa cattolica per "ripulire la sua immagine").»

Martiri di Fiesole modifica

Rileggendo adesso alcune pagine di Portelli, mi accorgo che vi è menzionata (p. 322 e p. 435 n.) la storia dei martiri di Fiesole. Mi chiedo se altri autori, oltre Portelli, abbiano collegato la vicenda alla polemica sull'accusa della "mancata presentazione" per via Rasella; e, in subordine, se sia il caso di menzionare tale vicenda nelle voci di cui al presente vaglio. --Salvatore Talia (msg) 20:43, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Secondo Virgilio Ilari il paragone più ricorrente è Palidoro-via Rasella (proprio perché Palidoro è nei pressi di Roma). Fiesole-via Rasella non sembra molto diffuso.--Demiurgo (msg) 22:00, 29 giu 2016 (CEST)[rispondi]

Ancora per la voce sulle controversie modifica

[@ Presbite] Approfitto della tua rinnovata presenza in vaglio per chiederti una consulenza. Come puoi vedere qui sopra, Demiurgo ed io abbiamo pensato che sarebbe il caso di aggiungere alla voce Controversie sull'attentato di via Rasella più informazioni sulle polemiche provenienti dall'area della destra. Orbene, googolando un po' in giro ho trovato un interessantissimo commento semianonimo di sei o sette anni fa (in calce a un articolo che per la verità parlava di tutt'altro), commento che trascrivo qui di seguito:
«Attenzione: chi ha dichiarato che quello di via Rasella non fosse un legittimo atto di guerra è stato regolarmente denunciato e giustamente condannato per diffamazione. - D'altro canto, è un falso che la convenzione dell'Aja del 1907 accettasse la rappresaglia 10 a 1. E' un falso propagandato via internet all'inizio da gruppuscoli di neofascisti, poi purtroppo divenuto luogo comune. Basta andare a verificare il testo della convenzione di cui si parla, per verificarlo. - Accortisi di ciò, allora i propagandisti di questa tesi hanno affermato che nel corso di uno dei processi di Norimberga (quello contro List, von Weichs e Rendulic), il tribunale avesse ammesso la rappresaglia 10 a 1. Anche questo però è un falso: basta andare a verificare gli atti del processo (si trovano anche on-line), e si scoprirà che non è così.»
Ora, a parte una certa sottile invidia da parte mia per questo semianonimo commentatore che dice cose sacrosante, e che, al riguardo, ha potuto anche scrivere due semplici parole, "giustamente condannato", le quali qui in it.wiki non si potrebbero proferire senza suscitare stracciamenti di vesti e invocazioni di leso NPOV; a parte questo, dicevo, vorrei chiedere a te (che, nell'ambito delle tue passate polemiche coi negazionisti della Shoah, hai studiato approfonditamente una certa pubblicistica di estrema destra), se per caso hai conoscenza di fonti a stampa ove sia possibile trovare traccia delle falsificazioni denunciate dal semianonimo. Qualcosa in Internet credo di aver trovato anch'io, per esempio qui, dove viene citato un fantomatico testo di un «art. 42 della Convenzione dell'Aja» che, salvo errori da parte mia, non risulta corrispondere al vero. Però la mia domanda è: sei per caso a conoscenza di libri, articoli di giornale, siti Internet autorevoli, insomma fonti citabili che denuncino queste specifiche mistificazioni, o addirittura (Dio non voglia) che se ne facciano latori? Grazie in anticipo. --Salvatore Talia (msg) 12:52, 4 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Chiariamo però che, al di là della semplificazione operata dall'amico semianonimo (del quale immagino siano stati passati ai raggi X tutti i post alla ricerca di indizi di cripto-fascio-irredentismo), non biasimevole in quel contesto, in Italia ovviamente nessuno è mai stato condannato per il solo fatto di aver "dichiarato che quello di via Rasella non fosse un legittimo atto di guerra". Ragion per cui il problema di usare l'avverbio "giustamente" qui dentro non si pone. Sarai lieto di sapere che, per non ledere il NPOV e non provocare stracciamenti di vesti ben più esposte a tale rischio, non è possibile scrivere nemmeno "giustamente assolto" in riferimento al tale neofascista querelato per aver detto che i gappisti erano "i veri colpevoli" delle Fosse Ardeatine.--Demiurgo (msg) 14:39, 4 lug 2016 (CEST)[rispondi]
@ Talia. E' piacevole notare che anche tu sei fra i miei esegeti, ed anche a te rivolgerò lo stesso divertito epiteto che già fornii ad un tuo sodale: compatisco chi ha dovuto sfagiolarsi oltre sei anni di commenti a link e blog vari per sustanziare una tesi fondata sul nulla cosmico. Ad ogni modo, fonderò una nuova religione: i vescovi li ho già. Prima di rispondere più approfonditamente alla tua domanda (comunque sì: sono a conoscenza), mi ricollego però al discorso dell'altro giorno che ho dovuto interrompere causa impegni nella RL, per rifarti questa domanda, che ti era evidentemente sfuggita a novembre del 2014. Con la tua consueta franchezza, mi sai rispondere oggi?--Presbite (msg) 16:34, 4 lug 2016 (CEST)[rispondi]
@ Demiurgo e @ Presbite. Vi risponderò con calma, nelle vostre rispettive talk. --Salvatore Talia (msg) 21:02, 4 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Salvo D'Acquisto secondo Pomponio e "La Domenica del Corriere" modifica

Finalmente ho dato una scorsa ai testi citati. Deludente "La Domenica del Corriere": praticamente non dice nulla d'interessante. Molto dettagliato invece il testo della Pomponio, sia pure di taglio storico/narrativo. In quarta di copertina c'è un riquadro "Biografia autorizzata dalla famiglia", che a me personalmente fa un po' storcere il naso. La mia sensazione è che si tratti di un testo a sostegno della causa di beatificazione. Però presenta un indubitabile vantaggio: ha potuto utilizzare anche le carte provenienti dal postulatore della causa, contenenti moltissime informazioni non presenti (credo) in altri testi pubblicati. Riassumo la storia delle ultime ore di D'Acquisto, così come riportata dalla Pomponio. Il 19 settembre 1943 era arrivato a Polidoro un reparto di paracadutisti delle Waffen-SS. Il 22 Salvo andò a trovare in bicicletta una ragazza in paese, che si stupì di vederlo vestito in borghese. Il giorno della sua morte indossava una camicia azzurra e un paio di pantaloni grigio chiaro. Sul fatto che D'Acquisto fosse in borghese e non in divisa tutte le testimonianze sono concordi. I tedeschi avevano fra l'altro preso possesso della torre della località, già sede della caserma della Guardia di Finanza. In quel momento, non c'era nessun finanziere in paese. I tedeschi ispezionano la torre e in una stanza del secondo piano trovano una cassetta di ferro ove i finanzieri avevano riposto delle bombe a mano sequestrate qualche giorno prima ad alcuni pescatori di frodo. Non riuscendo ad aprire la cassetta, un tedesco le sferra un colpo col calcio di fucile. La cassetta esplode uccidendo lui e ferendo due suoi commilitoni. Salvo D'Acquisto non seppe nulla dell'accaduto fino al giorno successivo: lui infatti viveva nella località di Torrimpietra, a circa 4 km di distanza. Salvo D'Acquisto si svegliò all'alba del 23 per recarsi a Palidoro di buon mattino: come sempre, prima di svolgere le sue attività si recava in chiesa per assistere alla prima messa del giorno. A poche centinaia di metri da Palidoro una donna gli raccontò le vicende del giorno prima, dicendogli che i tedeschi erano molto arrabbiati. Salvo andò a messa e poi tornò a Torrimpietra, dove c'era la stazione dei carabinieri. Qui arriva un sidecar con due tedeschi a bordo. D'Acquisto (vicebrigadiere) scende al piano terra, fa il saluto militare, si qualifica e prima ancora di poter capire cosa stava succedendo viene colpito con la canna del fucile, venendo ferito alla testa e alla mano, che iniziarono a sanguinare. Il tedesco gli intimò di seguirlo al comando, cosa che lui fece sedendosi sul sellino posteriore della moto del sidecar. Erano le 08:45. A Palidoro D'Acquisto fu sottoposto ad un interrogatorio: volevano sapere da lui dove si trovavano i finanzieri, ritenuti dai tedeschi gli autori del presunto attentato. D'Acquisto rispose che non sapeva dove fossero, aggiungendo che riteneva l'accaduto un incidente, spiegando la questione del sequestro dell'esplosivo dei pescatori. La risposta dei tedeschi fu violenta: D'Acquisto venne malmenato. Il comandante dei tedeschi - maresciallo Wemgamen (NB Questo è un nome inesistente in tedesco: ritengo si tratti di un errore. Potrebbe essere "Wegmann", ma ovviamente la mia è una pura supposizione) - lo accusò di non voler collaborare con le truppe tedesche. Neppure un'ora dopo, questo maresciallo diede ordine di arrestare tutti gli abitanti di Torrimpietra, convinto che fra questi fossero nascosti i tre finanzieri "colpevoli" del presunto attentato. E così Torrimpietra viene rastrellata: tutti gli abitanti vengono riuniti in piazza. Nel frangente viene ucciso lo spazzino Giovanni Caringi. Si ipotizza perché la scopa che teneva in mano fosse stata ritenuta un'arma. A spintoni gli ostaggi vengono portati di fronte alla chiesa. Dopo un po' però i tedeschi partono, lasciando un solo militare a guardia di tutti i rastrellati. Erano le 10:00. Uno degli ostaggi fugge, ma il tedesco non gli spara, pur intimando agli altri di star tutti fermi. Due ostaggi vengono mandati a cercare da mangiare e da bere: cosa che fanno tornando poi nel gruppo. Tutti mangiano: pane e prosciutto. Il fornaio procura anche del vino. Nel frattempo continuava l'interrogatorio di D'Acquisto. I tedeschi volevano sapere da lui dov'erano nascosti i finanzieri. Il vicebrigadiere venne malmenato ripetutamente, ma mantenne la sua versione dei fatti: non sapeva dove fossero i finanzieri, ma riteneva che si fosse trattato di un incidente. A questo punto, il maresciallo Wemgamen spedì a Torrimpietra un camion, con l'ordine di caricarvi tutti gli uomini del paese. Fra di essi un certo Tarquinio, che vene però immediatamente liberato con l'ordine di seppellire il povero Caringi. Quindi il camion andò a Palidoro col suo carico di ostaggi. Lungo il tragitto ne venne fatto scendere uno, che aveva esibito un lasciapassare, più due ragazzi per il loro pianto disperato. Al loro posto vennero però caricati due uomini che passavano di lì per caso e un ragazzino di diciassette anni. In tutto arrivarono a Palidoro in ventidue. D'Acquisto era da due ore in mano ai tedeschi, e venne visto dai rastrellati in piazza, fra due militi delle Waffen-SS, con la camicia strappata e macchiata di sangue. Tutti gli ostaggi vennero interrogati, ma nessuno diede informazioni utili. I tedeschi però vennero a sapere che il maresciallo Passante (la Pomponio non ne dice il nome proprio) della GdF sarebbe tornato da Roma col treno delle 16:00. Al che D'Acquisto insiste: se uno ha compiuto un attentato mai più torna qua: si è trattato di un incidente! Wemgamen intimò a tutti di risalire sul camion, poi si rivolse a D'Acquisto: deve rivelargli chi fra gli ostaggi è l'autore dell'attentato. Il vicebrigadiere negò ancora fortemente, affermando che tutti gli ostaggi erano da lui conosciuti, lavoratori della tenuta del conte Carandini. A questo punto i tedeschi caricarono anche D'Acquisto sul camion. Una donna - una certa Wanda - si avvicinò e attraverso uno spiraglio nel telone di copertura chiese cosa volessero i tedeschi: D'Acquisto le spiegò che cercavano questo Passante. Lei interpretò la frase come un segnale per avvisare il maresciallo della GdF, prese la bicicletta, corse alla stazione precedente a quella di Palidoro e avvisò il militare, che scese dal treno e rimontò sul successivo in direzione di Roma. Nel frattempo - era arrivato mezzogiorno - il camion venne spedito sotto la torre di Palidoro. Tutti vennero fatti scendere per disporsi di fronte ad una siepe, dove vennero dissetati. Poi vennero portati dal lato a mare della costruzione, dove esisteva un abbozzo di una trincea anticarro della profondità di circa cinquanta centimetri. Qui i tedeschi dispensarono gli attrezzi che avevano a disposizione e ordinarono di continuare lo scavo in profondità nel terreno sabbioso. Chi non ricevette gli attrezzi - e D'Acquisto fu fra questi - scavò con le mani. Nel frattempo vennero posizionate due mitragliatrici. A questo punto, Arnaldo Attili (chiamato anche Naldo o Nando) ad alta voce si lamentò che quella sarebbe stata la loro fossa e implorò D'Acquisto perché intercedesse per loro. Al che, D'Acquisto chiede di parlare con Wemgamen. Del colloquio non si conosce il contenuto, ma si presuppone che fu in questo momento che si autoaccusò. Wemgamen - secondo la Pomponio - sapeva però benissimo che il vicebrigadiere non era colpevole del presunto attentato. Decise quindi di contattare il proprio comandante a Ladispoli, aspettanto nel frattempo il ritorno del maresciallo Passante. Trascorsero così all'incirca quattro ore, durante le quali tutti gli ostaggi rimasero nella fossa. Ritornati dalla stazione di Palidoro a mani vuote, i tedeschi attesero notizie da Ladispoli. Si presentò alla torre direttamente il tenente delle Waffen-SS Hansel Feiten, che chiese di parlare con D'Acquisto. Il carabiniere chiese a Feiten se avrebbe lasciati liberi gli ostaggi qualora fosse stato individuato e catturato il responsabile dell'esplosione: quando Feiten risposte affermativamente, D'Acquisto si autoincolpò nuovamente: "Il responsabile sono soltanto io!". Feiten consultò gli altri ufficiali che erano con lui, e alla fine fece uscire tutti dalla buca, tranne D'Acquisto e il diciassettenne rastrellato fra gli ultimi, di nome Angelo Amadio. I tedeschi infatti ritenevano che anche Amadio fosse un carabiniere. Al che D'Acquisto lo invitò a tirar fuori i propri documenti, per dimostrare l'identità: Amadio esibì la propria tessera da ferroviere e venne quindi fatto uscire dalla fossa. L'interprete tedesco tenne un breve discorso agli ostaggi, intimandogli di andarsene. Tutti iniziarono a correre. Si udì prima un colpo singolo, poi altri due ravvicinati.

Questo è il racconto della Pomponio. Dal quale mi sembra di poter concludere che effettivamente D'Acquisto quel giorno era fra i condannati a morte. Ho letto anche un'altra fonte, che pur mettendo in risalto diverse contraddizioni fra i testimoni non tocca mai il dato di fondo appena esposto.

E adesso una notizia - per me - sorprendente. Lo stesso Hansel Feiten è stato accusato di aver rastrellato la stessa località di Palidoro il giorno 24 settembre (il giorno dopo l'uccisione di D'Acquisto). Un gruppo di civili maschi di età fino ai quaranta anni venne adibito ai lavori di fortificazione della costa. Un gruppo di dieci giovani viene portato nella località della Torre di Palidoro. Nella notte tra il 30 settembre ed il primo ottobre tre prigionieri fuggono. La mattina dopo un maresciallo dei paracadutisti estrae a sorte tre dei prigionieri e li fa fucilare. I rimanenti sono costretti ad assistere all’esecuzione e a ricoprire la fossa con i cadaveri delle vittime. Dei tre si conoscono i nomi: Giuseppe Canu, Pietro Fumaroli e Renato Posata (o Rosata). Il procedimento a carico di Feiten ed altri era contenuto all'interno del c.d. armadio della vergogna (voce scritta molto male, imho). Dopo la sua scoperta, venne iniziata un'indagine che però si concluse con un'archiviazione in data 5 novembre 1999.--Presbite (msg) 16:39, 6 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Grazie, Presbite. IMHO il tuo eccellente riassunto del saggio di Pomponio potrebbe essere copiato così com'è ed incollato nella voce Salvo D'Acquisto, aggiungendo solo i riferimenti alle pagine. --Salvatore Talia (msg) 20:27, 6 lug 2016 (CEST)[rispondi]
Nel ringraziare Presbite e quotare Salvatore circa l'idea di copiare il tutto nella voce Salvo D'Acquisto, propongo di ripensare il testo attualmente presente in questa voce in modo da mettere in luce che, come ho scritto su, "furono i ripetuti - volontari - rifiuti di collaborare, e anche solo di riconoscere come avvenuto il falso attentato, a rendere il vice brigadiere un ostaggio tra gli ostaggi". Tale fatto smentisce sostanzialmente la tesi di Portelli, secondo la quale il militare agì come agì non perché animato da volontà di "sacrificarsi" per gli altri, ma perché, a differenza dei gappisti, non avrebbe avuto via di scampo ("sarebbe stato ucciso comunque"). Mi prendo un po' di tempo per pensarci. Propongo inoltre di spostare il tutto in nota: stiamo parlando di un rilievo verso "alcune di queste narrazioni". Comunque la si pensi relativamente al merito del paragone via Rasella-Palidoro, è evidente che le parole utilizzate da Jo' Di Benigno e La Civiltà Cattolica sono corrette.--Demiurgo (msg) 23:55, 6 lug 2016 (CEST)[rispondi]
Propongo poi di separare note esplicative e bibliografiche come in Campagna italiana di Russia.--Demiurgo (msg) 14:11, 7 lug 2016 (CEST)[rispondi]
Se possibile, chiedo qualche giorno di tempo prima di discutere le proposte di Demiurgo. Mi sono procurato un paio di "nuove" fonti e ho appena iniziato a leggerle: nulla di sconvolgente, credo, però ho idea che possano contenere qualche elemento utile per gli argomenti attualmente in discussione. --Salvatore Talia (msg) 18:37, 7 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Ancora su D'Acquisto e sull'accusa della mancata presentazione modifica

Come accennavo sopra, dispongo ora di due altre fonti che si potrebbero in qualche modo utilizzare in voce. Una ho appena finito di leggerla; della seconda conto di parlare dopo l'estate.
Comincio dunque dalla prima: Rosario Bentivegna - Cesare De Simone, Operazione via Rasella. Verità e menzogne, Editori Riuniti, Roma 1996, e inizio a parlarne con riferimento a due questioni che sono attualmente al vaglio. Ricopio nel cassetto qui sotto le pagine che si riferiscono al paragone fra i gappisti di via Rasella e Salvo D'Acquisto. Dico subito che, limitatamente alla vicenda di D'Acquisto, mi pare una fonte poco utile sul piano della ricostruzione dei fatti. L'episodio è infatti ricostruito in modo generico e scarsamente documentato. La sola utilità che vedo è quella di conoscere l'opinione di Bentivegna sull'argomento; potremmo valutare se inserire un accenno nella voce sulle controversie.

Bentivegna e De Simone sul paragone via Rasella - D'Acquisto (pp 83-5).

Confronto con Salvo D'Acquisto

I gappisti di via Rasella non hanno avuto il coraggio di fare quello che ha fatto il giovane vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto, che a Palidoro si è accusato di un attentato che non aveva commesso salvando così la vita - è stato fucilato al posto loro - a 22 ostaggi.

È una tesi a prima vista definitiva e suggestiva, in realtà futile e maliziosa perché mira soltanto al discredito, in chiave ipocrita, di quella "morale della Resistenza" in base alla quale il popolo italiano stava acquistando, dopo lo sfascio della patria provocato dal fascismo e dalla monarchia sabauda, una nuova identità nazionale, nuovi valori nei rapporti collettivi, una più giusta e umana civiltà sociale. D'Acquisto non era un partigiano combattente, non aveva doveri verso i propri compagni di lotta e verso l'apparato militare del Cln e dunque del legittimo governo italiano: aveva e sentiva unicamente il dovere della sua coscienza e della sua grande generosità, della sua pietà.

Il gesto di Salvo D'Acquisto - secondo gli storici della Resistenza romana - è la convalida del sentimento dell'onore, spinto sino al sacrificio, di cui avevano già dato prova i carabinieri nelle giornate dell'armistizio e dell'invasione tedesca di Roma. È un atto di coraggio e, insieme, di sublime carità, unico nel suo genere, assolutamente non confrontabile con altri, come hanno preteso di fare i verbosi denigratori della Resistenza (confrontandolo, ad esempio, con l'attentato di via Rasella, nel falso presupposto che se gli autori dell'attentato si fossero fatti avanti il sacrificio dei propri martiri sarebbe stato evitato) [Fonte citata in nota: "E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, cit., pp. 181-2"].

Tuttavia, chi tira fuori, come un asso dalla manica, il confronto fra i gappisti e Salvo D'Acquisto lo fa perché ignora del tutto la profonda diversità delle due situazioni. La sera del 22 settembre '43 i soldati di una pattuglia della Wehrmacht che aveva occupato la caserma della guardia di finanza di Torre in Pietra, presso Palidoro, sulla via Aurelia, nel rovistare i cassetti, fecero esplodere inavvertitamente una bomba a mano là conservata. Morirono dilaniati due soldati. Il capitano tedesco, che si trovava in un'altra località, quando seppe dell'accaduto ritenne subito trattarsi di un attentato e fece rastrellare ventidue contadini della zona. Il giorno dopo, il capitano interroga i ventidue alla presenza del vicebrigadiere, che aveva obbligato a presenziare, e davanti a tutti gli abitanti di Torre in Pietra rastrellati per assistere alla rappresaglia. L'ufficiale si rende subito conto - anche perché aveva ricevuto nella notte il rapporto dei superstiti della pattuglia che aveva frugato nella caserma della finanza - non solo che gli ostaggi non c'entrano nulla, ma che lo scoppio della granata era stato davvero un incidente, oltretutto dovuto alla disattenzione dei suoi uomini. Ma ormai il capitano non vuole perdere la faccia, davanti al reparto schierato e davanti alla gente di Palidoro. Aveva fatto annunciare più volte che voleva il colpevole dell'attentato altrimenti gli ostaggi sarebbero stati passati per le armi, e così mantiene ferma questa sua crudele posizione. Poiché nessuno dei ventidue - quasi tutti con moglie e figli - ha la forza di accusarsi di un'azione che non ha commesso e affrontare così una morte certa, il tedesco alla fine fa dar loro delle pale. "Scavate una fossa" ordina. Li avrebbe fatti fucilare. D'Acquisto lo intuisce subito e decide di sacrificarsi: "Sono stato io" si accusa. Il capitano nazista lo guarda, con stupore. Sa bene come stanno le cose, e sa anche bene che il vicebrigadiere al momento dell'esplosione nella caserma era da tutt'altra parte. Poi alza le spalle, per lui va bene lo stesso, l'importante è mantenere il punto. Un ufficiale tedesco non può fare marcia indietro, su queste questioni che coinvolgono la "disciplina" cui assoggettare le popolazioni civili nemiche, a questo è stato addestrato. Così fa rilasciare i ventidue ostaggi e fa fucilare D'Acquisto. Di sicuro, se fosse stato un vero attentato la sua reazione sarebbe stata assai diversa, anche in base agli ordini che aveva ricevuto: avrebbe fatto fucilare non solo D'Acquisto ma anche gli altri ventidue. Ciò non toglie nulla, ovviamente, alla grandezza del gesto del vicebrigadiere, che per questo ha ricevuto la medaglia d'oro; ma paragonare Palidoro a via Rasella è ingiusto, prima che sbagliato.

Più interessante è un dato che Bentivegna e De Simone riportano a proposito dell'origine della "accusa della mancata presentazione". A p. 39 i due autori scrivono: «È dunque falsa la notizia - diffusa a suo tempo proprio dalla federazione romana del Pfr, su direttiva di Pizzirani - che il comando tedesco avesse invitato, con manifesti sui muri e comunicati radio, i gappisti a presentarsi se volevano evitare la rappresaglia». A questo punto il testo rinvia alla nota n. 40 (pp. 49-50):
«Il 29 marzo il federale fascista Pizzirani, in un rapporto tenuto ai quadri del Pfr romano, disse che i partigiani non si erano presentati nonostante i ripetuti annunci fatti dai tedeschi che volevano a tutti i costi risparmiare le vite degli ostaggi. Il giorno dopo, 30 marzo, i fascisti distribuirono per le vie della città un volantino dal titolo "Partigiani assassini e vigliacchi". Vi si riprendeva la menzogna di Pizzirani e si accusava la Resistenza di aver provocato la "giusta e doverosa rappresaglia germanica". Il breve testo del volantino era firmato "I fascisti repubblicani di Roma" (una copia del volantino è nel Fondo Lallo Bruscani, conservato all'Irsifar, Roma)».
Il volantino citato da Bentivegna e De Simone è evidentemente lo stesso documento di cui Luca Baiada, qui, riporta più accuratamente il testo fornendo anche un'indicazione archivistica più precisa. Bentivegna-De Simone asseriscono senz'altro che il volantino sia stato diffuso il 30 marzo '44, mentre Baiada è più cauto sulla datazione. Le due fonti concordano comunque nel sostenere che l'origine testuale dell'accusa della mancata presentazione risieda proprio in questo volantino: «Ma i banditi comunisti dei gap avrebbero potuto evitare questa rappresaglia, pur prevista dalle leggi di guerra, se si fossero presentati alle autorità germaniche che avevano proclamato, via radio e con manifesti su tutti i muri di Roma, che la fucilazione degli ostaggi non sarebbe avvenuta se i colpevoli si fossero presentati per la giusta punizione».
Sarebbe opportuno, secondo me, iniziare la sezione citando proprio queste due fonti, Bentivegna-De Simone e Baiada, in quanto il volantino (quale che sia la sua esatta datazione) precede comunque il libro di Jo' Di Benigno, pubblicato nel 1945. --Salvatore Talia (msg) 18:40, 21 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Credo anch'io che la sezione vada riordinata iniziando con il volantino fascista.--Demiurgo (msg) 20:01, 21 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Atlante delle stragi nazifasciste in Italia modifica

E' finalmente online. La scheda su via Rasella fa venire il latte alle ginocchia per gli errori fattuali in essa contenuti (magari si potrebbe scrivergli), ma resta pur sempre uno strumento interessante. Si può fare una ricerca per regione mese per mese. Per il Lazio sono registrate 79 stragi fra settembre 1943 e marzo 1944.--Presbite (msg) 17:24, 26 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Grazie. Prima di via Rasella, tra le rappresaglie del 31 gennaio e del 7 marzo già menzionate in voce, ce ne fu un'altra il 2 febbraio: "A seguito dei numerosi attacchi sferrati dalla Resistenza e in particolare dai GAP nel centro di Roma, il comando tedesco decide di effettuare due fucilazioni collettive. La prima il 31 gennaio 1944 e la seconda il 2 febbraio 1944. In quest’ultima vengono fucilati soltanto appartenenti al Movimento Comunista d’Italia".
Dunque, alla data del 23 marzo gli esempi di rappresaglie del tutto identiche a quella delle Fosse Ardeatine per causa (azioni partigiane), tipo (fucilazione di prigionieri), proporzione (10 a 1) erano già un bel po' nella sola Roma.--Demiurgo (msg) 00:04, 27 lug 2016 (CEST)[rispondi]
A parte il fatto che i martiri delle Ardeatine non vennero affatto fucilati bensì trucidati in modo assai più bestiale (ripetiamolo: con un colpo di arma da fuoco alla nuca, a gruppi di cinque, in una galleria buia, molti di loro dopo essere stati costretti a inginocchiarsi sui cadaveri di coloro che li avevano preceduti), io credo che ogni tentativo di banalizzare le Fosse Ardeatine, facendone solo uno dei tanti episodi di rappresaglia verificatisi durante la Seconda guerra mondiale, sia destinato al fallimento. Fra l'altro, una simile relativizzazione fraintenderebbe le intenzioni degli stessi tedeschi, i quali vollero ottenere un effetto di choc attuando una rappresaglia così rapida, massiccia e brutale: qualcosa, insomma, che andasse molto al di là della "normale amministrazione".
Non sorprende, comunque, trovare in prima fila tra i banalizzatori il solito Indro Montanelli, il quale nel luglio 1996 scriveva su "Oggi": «Che io sappia, non esiste una legge internazionale che giustifica e regola la rappresaglia. Si è sempre trattato di una pratica invalsa nel costume di guerra e accettata per tacito accordo in tutti gli eserciti. Tanto è vero che Kappler... fu condannato dalla Corte marziale non per la strage delle Ardeatine ma per le cinque vittime in più rispetto alle 330 che la regola del "dieci a uno" avrebbe giustificato». E poi, in un'intervista su "L'Espresso" del 10 maggio 1996: «La rappresaglia era una legge di guerra. Noi italiani, in Jugoslavia, di rappresaglie ne facemmo parecchie. E avallammo quelle terribili di Ante Pavelic. Io c'ero, posso dirlo. Dove sta dunque la barbarie?» (Citato in Bentivegna-De Simone 1996, rispettivamente p. 77 e p. 119). Certo, è anche una questione di sensibilità individuale: quando uno non capisce da sé la specificità di un fatto come le Ardeatine, niente potrà fargliela mai capire.
Per fortuna una posizione come quella di Montanelli è parecchio minoritaria: per questo dico che tutti i tentativi di banalizzazione sono condannati in partenza. Anzi, secondo me, è ad oggi un limite della voce ancillare sulle reazioni il non dare adeguatamente conto dello sdegno e dell'orrore suscitati dall'eccidio non appena ne furono chiari i contorni. Potendo, sarebbe bello fare una cernita degli articoli pubblicati "a caldo" sui giornali del Regno (compresi quelli romani dopo la Liberazione); ma mi rendo conto che non è facile, almeno fin quando non saranno on line gli archivi storici dei quotidiani dell'Italia centrale e meridionale. --Salvatore Talia (msg) 18:12, 7 ago 2016 (CEST)[rispondi]
Sono perfettamente d'accordo: è impossibile considerare l'eccidio delle Fosse Ardeatine una delle tante rappresaglie, esattamente come è impossibile considerare l'attentato di via Rasella una delle tante azioni partigiane. A via Rasella, con 18 kg di tritolo (arricchiti da frammenti di ghisa per meglio smembrare e dilaniare i corpi) da far esplodere nel pieno centro della città (cioè dove i tedeschi non avrebbero potuto nascondere agli occhi dell'opinione pubblica la lesione della loro pretesa invulnerabilità), anche i GAP avevano cercato l'effetto choc, il "colpo grosso", «qualcosa, insomma, che andasse molto al di là della "normale amministrazione"». A tale azione sensazionale corrispose - moltiplicando la violenza per un fattore già largamente applicato e dunque prevedibile, indubbiamente criminale (ma certamente non un unicum in quella guerra: vedi su) - una brutale reazione anch'essa appositamente concepita affinché fosse sensazionale, in modo da neutralizzare quello "spirito di lotta" (cit. Longo) che l'attentato avrebbe dovuto invece esaltare nelle masse nazionali.--Demiurgo (msg) 16:05, 9 ago 2016 (CEST)[rispondi]

Resistenza e terrorismo: due fonti degli anni settanta modifica

La prima è questo articolo dell'Unità del 24 marzo 1972: un'intervista di Cesare De Simone a Rosario Bentivegna e Carla Capponi. Gli anni di piombo erano già iniziati ed era già comparsa una prima organizzazione eversiva che, richiamandosi ai GAP, ne aveva ripreso la sigla: i Gruppi d'Azione Partigiana di Giangiacomo Feltrinelli (un'altra, i Gruppi Armati Proletari, sarebbe arrivata più tardi). Bentivegna rileva che già all'epoca c'era "qualcuno che parla della Resistenza confondendola col terrorismo", cosicché i due ex gappisti spiegano la differenza tra i due fenomeni: i veri GAP avrebbero avuto il consenso del popolo, al contrario dei terroristi del tempo. Nel 1972 era dunque già iniziato il processo di rimozione del termine "terrorismo", ormai associato a un fenomeno criminale, dal discorso sulla resistenza. Tuttavia, ancora nel 1975 Paolo Spriano definì i gappisti, all'interno del quinto volume della sua storia del PCI, «audaci terroristi componenti i Gruppi d'azione patriottica», scrivendo inoltre che «è universale riconoscimento che essi erano, nella misura dell'80-90%, comunisti» (p. 58). Comunque, è un fatto che il tema dell'influenza culturale della resistenza gappista sui gruppi terroristici, ben prima che lo sollevasse Pannella, era già stato affrontato dal PCI (naturalmente in modo del tutto diverso), e questo andrebbe aggiunto alla voce sulle controversie.--Demiurgo (msg) 16:14, 31 lug 2016 (CEST)[rispondi]

Perfettamente d'accordo, anche sul fatto che ad un certo punto il termine terrorismo abbia subito un indebito processo di rimozione dal discorso sulla resistenza. Su quest'argomento, abbastanza di recente, hanno scritto alcune pagine interessanti Santo Peli nel suo (ormai fondamentale) libro sui Gap del 2014, e, sulla sua scia, Mimmo Franzinelli nella prefazione al libro di Luigi Borgomaneri Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945), Edizioni Unicopli, Milano 2015. Da un po' mi ripropongo di riportare in qualche modo in NS0 qualche notizia su questa nuova prospettiva storiografica aperta da Peli; il luogo più idoneo sarebbe in realtà la voce sui Gruppi di Azione Patriottica, che andrebbe profondamente revisionata. Spero di trovare, in un futuro non troppo lontano, il tempo di occuparmene. --Salvatore Talia (msg) 18:36, 7 ago 2016 (CEST)[rispondi]

Volantino comunista o altro falso fascista? modifica

Ho scoperto che dopo l'eccidio circolò questo volantino firmato PCI:

«Compagni lavoratori!

Dopo l'attentato di via Rasella i tedeschi e neofascisti hanno fucilato 320 uomini. Questi uomini che hanno affrontato la morte in maniera impareggiabile erano i nostri migliori compagni. Con loro abbiamo perduto parecchi dei più anziani e provati combattenti del nostro Partito. Hanno dedicato la loro vita alla rivoluzione proletaria e combattuto con le armi in mano per la vittoria dell'idea comunista.

Compagni lavoratori!

La feroce repressione tedesca e fascista non ci spaventa. Noi proseguiamo per la nostra strada. Noi non perderemo occasione per manifestare la nostra volontà di liberare l'Italia e il mondo dalle dittature fascista e nazista.

VIVA IL COMUNISMO! VIVA LA RUSSIA! VIVA STALIN!

Il Partito Comunista Italiano»

Un'immagine del volantino è riprodotta in un sito in cui si ripropongono parecchie note tesi della polemica di destra su via Rasella (non posso inserire il link perché si attiva il filtro anti-spam).

Ho poi scoperto che un passo di tale volantino fu citato in un comunicato dell'Agenzia Stefani (controllata dalla RSI) del 3 aprile 1944:

«Dopo l'attentato di via Rasella a Roma, che è costato la vita a 32 uomini appartenenti alle truppe di polizia, il Comando Germanico si è visto costretto a severe misure per stroncare l'attività di banditi che tentano di sabotare la cooperazione italo-tedesca. In seguito alle fucilazioni eseguite, elementi irresponsabili hanno fatto correre la voce che i fucilati fossero innocenti, che non avevano alcuna relazione con l'attentato. La miglior prova dell'infondatezza di tali voci viene ora data da alcuni manifestini del partito comunista italiano che sono stati rinvenuti stamane nelle strade di Roma. Accennando a coloro che sono suti fucilati, i manifestini dicono testualmente: "Con loro abbiamo perduto alcuni [sic] dei più anziani e provati combattenti del nostro partito che hanno dedicato la loro vita alla rivoluzione proletaria e combattuto con le armi in mano per la vittoria dell'idea comunista". Con ciò viene esplicitamente ammesso, da parte dei comunisti, che i fucilati non erano degli innocenti, ma attivi militanti comunisti per cui la loro fucilazione, ordinata dal Comando tedesco, trova piena giustificazione.»

Io credo (sia chiaro: si tratta di un mio personale sospetto, non ho fonti per sostenerlo) che questo volantino possa essere stato diffuso dagli stessi fascisti, in modo da mettere a tacere le fondate voci "che i fucilati fossero innocenti, che non avevano alcuna relazione con l'attentato". Lo stile del volantino - soprattutto quel "VIVA IL COMUNISMO! VIVA LA RUSSIA! VIVA STALIN!" finale - non mi sembra in linea con quello dei comunicati ufficiali del PCI dell'epoca. E' chiaro però che siamo in zona ricerca originale e che nella voce sulle reazioni il tutto dovrà essere riportato nella forma più neutra possibile. Ci sono pareri?--Demiurgo (msg) 16:14, 31 lug 2016 (CEST) P.S. Con questo vi saluto e vi auguro buone vacanze. Ci rivediamo in autunno![rispondi]

Mah, anch'io trovo improbabile che il volantino sia autentico. Comunque non vedo impedimenti a menzionarlo, magari nella voce sulle reazioni. L'unica difficoltà può essere quella di trovare una fonte citabile, se dici che il blog dove l'hai trovato finisce addirittura nel filtro antispam... Eventualmente si potrebbe proporre a qualche rivista cartacea di farci su un articolo e poi citare quello? --Salvatore Talia (msg) 18:15, 7 ago 2016 (CEST) P.S. Buone vacanze anche a te e a presto![rispondi]
Il volantino è riprodotto in Claudio Schwarzenberg, Materiali per una storia giuridica della Resistenza italiana, Celebes, 1977, p. 272 (dove mi sembra sia dato per autentico). Il comunicato dell'Agenzia Stefani è invece nel numero speciale della rivista Capitolium dedicato a "Roma città aperta", anno 39, n. 6, giugno 1964, p. 335. Non possiedo ancora queste fonti (ho utilizzato Google libri), spero di riuscire a reperirle.--Demiurgo (msg) 16:05, 9 ago 2016 (CEST) P.S. Interrompo la mia wikipausa anche per segnalare che, nella scrittura di questa sezione, non posso proseguire se prima non viene esposta la tesi di Portelli. Naturalmente siamo in piena estate e non c'è la minima urgenza, ma mi sembra utile farlo presente.[rispondi]
Per me puoi anche procedere, se vuoi, con gli altri autori che hai in scaletta; in seguito (diciamo entro settembre) integrerò aggiungendo Portelli ed eventualmente Santo Peli. Fino ad allora ne risulterà una sezione un po' sbilanciata; ma d'altronde si tratta di una voce in costruzione, e non si può pretendere da essa il NPOV più rigoroso in ogni singolo momento del suo farsi. --Salvatore Talia (msg) 21:36, 29 ago 2016 (CEST)[rispondi]

Oggi sono stato in biblioteca e ho consultato vari libri non recenti, tra cui l'interessantissimo diario di Carlo Trabucco. Alla data del 3 aprile si legge:

«L'episodio di Via Rasella, che i tedeschi avvertono pesare su di loro come un macigno, è stato ricordato oggi in un comunicato in cui i padroni riproducono un brano di un manifestino comunista dove si esaltano i compagni di fede caduti, e questo fa dire ai tedeschi che non sono stati fucilati degli innocenti, ma dei comunisti colpevoli. Ora resta da dimostrare se i comunisti che erano in carcere e furono mandati a morte fossero colpevoli (il partito comunista, mi dicono, smentisce l'attentato come opera dei suoi aderenti), ma c'è da chiedere di quale colpevolezza comunista dovevano rispondere elementi come il col. Montezemolo, don Pappagallo e numerosi altri del partito liberale e del partito d'azione.»

È interessante la frase tra parentesi che ho sottolineato: ecco la fonte che ha fatto scrivere a Paolo Monelli - nel suo articolo del 1964 di cui abbiamo discusso nel primo vaglio qui - che il 3 aprile il PCI "si affrettò a smentire che l'attentato fosse stata opera di suoi iscritti".--Demiurgo (msg) 00:12, 26 ott 2016 (CEST)[rispondi]

Comunque è molto probabile che l'informazione giunta a Trabucco fosse falsa, visto che in quei giorni circolavano le voci più disparate.--Demiurgo (msg) 00:23, 26 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Il diario di Calamandrei alla data del 3 aprile riporta: "I giornali portano notizie del lancio di nostri manifestini a proposito di via Rasella, presentandoli come una prova che i 320 fucilati erano dei responsabili in quanto il manifestino dice:...". Quel nostri in corsivo sembra proprio indicare che il manifestino fosse un falso.--Demiurgo (msg) 22:09, 29 ott 2016 (CEST)[rispondi]
La falsità del manifestino è confermata: Alibi accusatore (PDF), in l'Unità, 6 aprile 1944, p. 2.--Demiurgo (msg) 17:09, 29 nov 2017 (CET)[rispondi]

Conferenza stampa di Kappler modifica

Nell'articolo di Luca Baiada vi è un interessante accenno a una specie di conferenza stampa tenuta dai tedeschi poco dopo l'eccidio delle Ardeatine. Ne parla anche Zara Algardi, Processi ai fascisti, pp. 93-5, che menziona in nota una «testimonianza dell'unico giornalista antifascista presente alla riunione» il quale dopo la Liberazione di Roma pubblicò un opuscolo anonimo, Il massacro dei trecentoventi, Ed. La Bonifica, Roma 1944. Secondo Algardi alla conferenza stampa era presente anche «il generale Maeltzer» che invitò la stampa romana a «convincere la popolazione di Roma della opportunità e necessità di collaborare con i tedeschi», invito poi accolto da Spampanato sul "Messaggero". Kappler invece, sempre secondo Algardi, lamentò che «la popolazione romana con il suo contegno aveva favorito l'organizzazione e la esecuzione dell'attentato di via Rasella, e annunciò che se atti simili si fossero ripetuti, il comando tedesco avrebbe preso misure ancora più rigorose: bisognava che la popolazione collaborasse alla repressione degli attentati contro i tedeschi». L'ideale sarebbe procurarsi l'opuscolo edito nel '44; in mancanza, secondo me, va almeno inserito nella voce sulle reazioni un accenno alla conferenza stampa, citando come fonti sia Baiada sia Algardi. --Salvatore Talia (msg) 18:19, 7 ago 2016 (CEST)[rispondi]

Non sapevo di questa conferenza stampa. Procurarsi quell'opuscolo mi sembra molto difficile, meglio utilizzare le altre fonti.--Demiurgo (msg) 16:05, 9 ago 2016 (CEST)[rispondi]
[@ Salvatore Talia] Dai un'occhiata a questo documento.--Demiurgo (msg) 15:04, 5 nov 2017 (CET)[rispondi]
Grazie. L'ho scorso rapidamente, mi sembra confermare quanto già sappiamo. Comunque appena avrò un po' di tempo cercherò di leggerlo meglio. --Salvatore Talia (msg) 19:57, 6 nov 2017 (CET)[rispondi]

Ancora sulle rappresaglie precedenti modifica

Vedo che Portelli (p. 204) menziona le fucilazioni di Forte Bravetta precedenti a via Rasella, ma non le considera "rappresaglie" perché erano state precedute da simulacri di processi e "la relazione con gli attentati venne suggerita per contiguità ma non formalmente proclamata" (il che non è vero per tutte le fucilazioni, quantomeno non per quella del 7 marzo, stando a Bentivegna). Del resto, anche Amendola aveva scritto "i tedeschi avevano reagito di fronte ai colpi dei GAP, accelerando il ritmo dei processi romani e della esecuzione delle condanne, con le fucilazioni eseguite a Forte Bravetta". Dunque, secondo Portelli, una rappresaglia per via Rasella sarebbe stata imprevedibile perché fino a quel momento il collegamento tra attentati e uccisioni di prigionieri sarebbe stato solo "suggerito"... Devo quindi correggere quanto ha scritto [@ Presbite] più su ("La realtà è che Portelli proprio la reazione tedesca la nega"): Portelli non nega la reazione tedesca, nega la perspicacia dei gappisti, i quali non avrebbero colto la relazione attentati-fucilazioni perché non sarebbe stata proclamata esplicitamente mediante annunci pubblici...--Demiurgo (msg) 23:06, 2 set 2016 (CEST)[rispondi]

Giusto a futura memoria, segnalo che quanto afferma Portelli a p. 204 è contraddetto da quanto afferma Portelli stesso a p. 177: "Il 2 febbraio, undici partigiani di Bandiera Rossa, [...], condannati a morte dal Tribunale militare pochi giorni prima, vengono fucilati a Forte Bravetta. L'esecuzione è annunciata come risposta all'attacco di via Crispi".--Demiurgo (msg) 16:47, 11 mar 2017 (CET)[rispondi]

Ruolo di Kappler modifica

È appena uscito un libro di Alberto Stramaccioni, Crimini di guerra, Laterza 2016, che dedica un paio di pagine al nostro tema. Finora ho potuto solo sfogliarlo, però ho notato che il prof. Stramaccioni sostiene che la gestione dell'ordine pubblico sia stata affidata a Kappler solo dopo lo sbarco di Anzio. [@ Demiurgo], a te risulta che sia così? Mi pare che il libro di Staron sia la fonte citata da Stramaccioni. Se avesse ragione lui, dovremmo apportare questa correzione alla sezione sul contesto storico. --Salvatore Talia (msg) 19:39, 10 set 2016 (CEST)[rispondi]

[@ Salvatore Talia] È vero, alle pp. 36-7 Staron scrive che dopo l'8 settembre Kappler, fino ad allora attaché della polizia all'ambasciata, diventò comandante di SD e SiPo a Roma, mentre la "piena responsabilità del mantenimento dell'ordine nella città" gli fu affidata da Kesselring solo dopo lo sbarco di Anzio. Inoltre, Staron scrive anche che il rastrellamento del ghetto ebraico non fu "organizzato né diretto personalmente da Kappler", ma da quest'altro simpaticone suo collega (che si avvalse comunque della collaborazione del comando dell'SD di Roma), giunto allo scopo direttamente da Berlino. Grazie per la segnalazione, correggerò nei prossimi giorni. Credo che il libro di Staron andrebbe utilizzato di più, soprattutto per la voce sui processi.--Demiurgo (msg) 21:48, 10 set 2016 (CEST)[rispondi]
Stramaccioni, fra l'altro, interpreta l'attentato come una risposta dei GAP all'intensificarsi della repressione antipartigiana attuata da Kappler. Vedrò di procurarmi sia il suo libro, sia quello di Staron (che ancora non ho letto). --Salvatore Talia (msg) 21:56, 10 set 2016 (CEST)[rispondi]

Sentenze del processo civile modifica

[@ Salvatore Talia] Ho trovato le sentenze di primo (1950) e terzo grado (1957) del processo civile, mentre sfortunatamente non sono ancora riuscito a reperire quella di secondo grado (1954). Se vuoi te le invio. È interessante notare che nella prima si esclude che i gappisti avessero un obbligo giuridico di presentarsi, ma si allude a un obbligo morale: «In una libera valutazione di tale condotta ciascuno potrà apprezzarla in rapporto alla luce che promana dalle fulgide figure di Salvo d'Acquisto, di Vittorio Marandola e di altri generosi Italiani che hanno fatto volontario e cosciente olocausto della propria vita per sublimi moti dello spirito».--Demiurgo (msg) 14:40, 28 set 2016 (CEST)[rispondi]

Nel '50 era già in vigore la Costituzione repubblicana, e fra le competenze dei tribunali non rientrava più (almeno non formalmente) l'emissione di valutazioni etiche o politiche. Comunque se puoi mandarmi il testo delle sentenze ti ringrazio. --Salvatore Talia (msg) 19:45, 28 set 2016 (CEST)[rispondi]
Infatti in conclusione della sentenza della Cassazione, quasi a voler muovere un rimprovero al giudice di merito, si legge: «La Corte non può neppure di sfuggita soffermarsi su valutazioni di ordine extra-giuridico sul comportamento degli attentatori, a seguito della minaccia tedesca della rappresaglia, in effetti poi purtroppo eseguita, poiché tali valutazioni non rientrano tra i compiti del giudice, in genere, e di quello di Cassazione, in ispecie». Sembra comunque che entrambe le corti credessero alla diceria della richiesta tedesca (anche se "minaccia" potrebbe riferirsi a una generica notorietà del rischio di rappresaglie anche prima di via Rasella, ma mi pare meno plausibile come ipotesi). Sentenze inviate.--Demiurgo (msg) 20:30, 28 set 2016 (CEST) P.S. Fino a metà ottobre non potrò fare granché.[rispondi]
Ricevute, grazie! --Salvatore Talia (msg) 13:18, 29 set 2016 (CEST)[rispondi]

Paolo Simoncelli modifica

Vorrei manifestare una certa perplessità riguardo al modo in cui viene riportato, nella sezione L'accusa della mancata presentazione, il contenuto dei due articoli di Simoncelli rispettivamente del 17 e 18 marzo 2009. Ritengo, per dirla in breve, che l'attuale formulazione configuri un caso di ingiusto rilievo. Si consideri infatti quanto segue:

  • il memoriale di Vittorio Claudi, citato da Simoncelli nel lontano 2009 come inedito, è ad oggi tuttora inedito;
  • gli articoli di Simoncelli non hanno avuto, che io sappia, alcun seguito. Pubblicati sette anni fa su un quotidiano di un ben preciso orientamento ideologico, non mi risulta che siano stati mai ripresi dalla comunità degli storici neppure per criticarli. La sola eco che hanno avuto si è manifestata su una rivista di divulgazione politicamente schierata ("Storia in rete"), e, quasi contemporaneamente, qui su It.wiki;
  • la qualità scientifica dello scoop di Simoncelli appare alquanto dubbia alla luce di un'affermazione contenuta nell'articolo del 17 marzo 2009. Simoncelli scrive che l'esistenza del manifesto è stata «sempre graniticamente negat[a] da autori e mandanti dell’attentato di via Rasella». Dimentica di aggiungere che è stata negata, più o meno graniticamente, anche da tutti gli storici prima di lui, nonché dallo stesso Kesselring. Forse se n'è ricordato nell'articolo del giorno successivo?
  • la testimonianza di Claudi appare, a tutt'oggi, solo una delle tante testimonianze "oculari" di romani che hanno affermato di aver visto questi fantomatici manifestini contenenti l'invito a presentarsi. L'esistenza di tali testimonianze è ben nota agli storici, ma esse non sono mai state ritenute probanti. Riportare in voce verbatim, senza nessun commento, le parole di Claudi («Io ricordo perfettamente» ecc.) conferisce loro un'apparenza di autorevolezza che esse in realtà non hanno e non possono avere.

In conclusione, propongo di mantenere in NS0 l'accenno ai due articoli di Simoncelli, di cui sarà più che sufficiente una parafrasi molto succinta, ma di spostare in nota la citazione letterale dal memoriale di Claudi. --Salvatore Talia (msg) 21:57, 2 ott 2016 (CEST)[rispondi]

Tralasciando le valutazioni su quotidiani con precisi orientamenti ideologici e riviste schierate (a proposito, stigmatizzo che si sia voluto precisare che Avvenire è un "quotidiano cattolico": non mi risulta che nella voce ci sia scritto che Portelli è comunista), faccio notare che ho introdotto il capoverso con la frase "La quasi unanimità degli storici riconosce l'inesistenza dell'invito tedesco" (si noti: non "sostiene", bensì "riconosce"), affinché si capisca chiaramente che quella di Paolo Simoncelli (non proprio l'ultimo dei ricercatori, al di là delle opinioni personali che si possono avere su di lui) è una posizione isolata. La fonte è interessante perché Claudi fu un testimone delle vicende dell'epoca e diede copertura al maggiore Antonio Ayroldi. Ho deliberatamente evitato di citare fonti meno interessanti, come ad esempio la scrittrice Vittoria Ronchey, la quale pure affermò: "mi ricordo dei manifesti tedeschi che minacciavano la fucilazione degli ostaggi dopo l'attentato di via Rasella". Sono contrario a spostare la citazione in nota: i lettori non vanno trattati come babbioni suggestionabili da un "ricordo perfettamente" e le note non sono il luogo dove pensare di nascondere dei contenuti ai loro occhi (stile polvere sotto il tappeto), perché tanto sarebbero appunto babbioni e non leggerebbero le note... Peraltro nella sezione è già chiaramente scritto che secondo Baiada si tratta di un falso ricordo collettivo. Il lettore ha tutti gli elementi per valutare autonomamente.--Demiurgo (msg) 23:00, 2 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Quindi non va bene scrivere che "Avvenire" è quotidiano cattolico e che "Storia in rete" è rivista politicamente schierata. In compenso, a suo tempo è stato indispensabile chiarire che Pietro Ingrao era "partigiano comunista", ed è stato di fondamentale importanza definire Giacomo Debenedetti "scrittore ebreo" (fra l'altro Debenedetti non fu principalmente uno scrittore quanto un critico e studioso di letteratura, fra i maggiori del Novecento).
Noto inoltre che quando io propongo di spostare in nota dei contenuti, ciò significa volerli nascondere agli occhi dei lettori e trattare questi ultimi da babbioni (con tanti saluti alla presunzione di buona fede, e con il curioso presupposto che per celare diabolicamente qualcosa al lettore sia sufficiente metterlo in nota; eppure, per quanto mi riguarda, di solito le note di approfondimento le leggo, e non penso che con ciò il mio tasso di babbionaggine sia differente dalla media). Quando la stessa cosa la proponi tu, invece, va benissimo.
Fa' come vuoi: per me, puoi anche fare dell'intera sezione una tribuna su cui decine di "interessanti" testimoni oculari si alternano giurando di aver visto i famosi manifestini. Non migliorerai, così facendo, la qualità della voce, né accrescerai di un grammo la credibilità di una storia che non sta in piedi. Nell'arco di meno di ventiquattr'ore i tedeschi avrebbero dovuto scrivere il testo, tradurlo in italiano, stamparlo e attacchinarlo per tutta Roma; com'è possibile che di tutta questa attività non rimangano né tracce documentali né testimonianze? E perché mai i tedeschi, dopo aver fatto ciò, avrebbero rinunciato ad avvalersene propagandisticamente?
Ma Simoncelli dice che i manifestini c'erano, e Simoncelli è uomo d'onore, ed è sicuramente fonte autorevole, o comunque deve passare per tale, e la sua versione deve avere tutto il rilievo possibile e anche di più. Auguri. --Salvatore Talia (msg) 19:54, 3 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Mi sorprende tutta l'energia che stai investendo nel chiedere che, in una voce (anzi in un cluster) tutta scritta privilegiando il discorso diretto, in questo caso (e solo in questo) il testo originale sia sostituito da una nostra parafrasi. Il tutto perché non si deve leggere che Claudi affermò di ricordare "perfettamente" il presunto manifesto. Nonostante nella stessa sezione sia già scritto: "centinaia di italiani insistono a dire di averli letti o ascoltati. Ma non si è trovato nessuno che ricordi di averli scritti o trasmessi. Negli archivi tedeschi e italiani, nemmeno i più accaniti ricercatori di destra sono riusciti a scovarne una sola copia; non un esemplare è stato presentato ai processi". Nonostante nello stesso capoverso (!) sia scritto: "La quasi unanimità degli storici riconosce l'inesistenza dell'invito tedesco" (e lo riconosco ovviamente anch'io). Nonostante nel capoverso immediatamente successivo sia detto che si tratta di un falso ricordo!
Il memoriale Claudi è citato come unico esempio (altro che "sezione tribuna") di quelle "centinaia di italiani [che] insistono a dire di averli letti o ascoltati", perché è una testimonianza più interessante delle altre, infatti è stata citata da uno storico che, a torto o a ragione (IMHO a torto), ha creduto di riaprire il caso. E' paradossale che si parli di "tutto il rilievo possibile e anche di più" per un capoverso di quattro misere righe.
I tuoi paragoni non reggono: nella voce sulle reazioni si indica, com'è giusto e ovvio, l'appartenenza politica di tutti i personaggi citati. I particolari della vicenda di Salvo D'Acquisto stanno in una nota di approfondimento perché questa non è la voce Salvo D'Acquisto. Peraltro ho intenzione di precisare che il fatto che il vicebrigadiere "stava per essere fucilato assieme ad altri ostaggi" non significa affatto che non avesse scampo dall'inizio, in modo che si capisca che, al contrario di quanto sostiene Portelli, è corretto affermare che egli fece "volontario e cosciente olocausto della propria vita per sublimi moti dello spirito" come dice con enfasi la sopra citata sentenza del 1950. Ho scritto che Debenedetti era uno scrittore ebreo? Certo, nella voce sulle reazioni ho scritto anche che Robert A. Graham era un padre gesuita. L'ho fatto sicuramente per sminuire qualcosa (cosa poi?)... e si parla di presunzione di buona fede. Viceversa, in questa voce non si sottolinea l'orientamento di nessuna testata (a parte ovviamente quelle intervenute all'epoca), ma per Avvenire bisognava fare un'eccezione...--Demiurgo (msg) 21:08, 3 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Mi sono appena ricordato che il cattivissimo sottoscritto, nella voce sulle reazioni, ha evidenziato che Avvenire è un quotidiano cattolico: perché in quel contesto evidenziarlo ha un senso, a differenza che in questo.--Demiurgo (msg) 21:59, 3 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Da quando in qua la religione cattolica è diventata un "orientamento ideologico"? Mi dev'essere sfuggito il passaggio...--Presbite (msg) 11:07, 4 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Cerchiamo di capirci. Io scrivo per gente che presumo dotata di intelligenza e interesse per l'argomento almeno pari ai miei. Per togliere "apparenza di autorevolezza" a un'affermazione spostarla in nota non serve a niente. Non è che i contenuti delle note sono meno "autorevoli" di quelli del corpo della voce, semmai sono meno pertinenti. Esempio: trattandosi di un fatto di guerra, la divergenza militare tra il PCI romano e quello milanese è spiegata nella voce, mentre la divergenza politica in una nota di approfondimento (la numero 2). Non mi è chiaro perché "Riportare in voce verbatim, senza nessun commento, le parole di Claudi («Io ricordo perfettamente» ecc.) conferisce loro un'apparenza di autorevolezza" (peraltro le parole di Claudi sono letteralmente circondate da commenti che fanno capire che testimonianze del genere sono numerose e derivano da falsi ricordi), mentre riportarle in nota sempre verbatim (lasciando una parafrasi in voce) non conferirebbe loro tale "apparenza di autorevolezza".--Demiurgo (msg) 12:09, 4 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Ho riletto la voce per cercare di farmi un'idea relativamente al presunto ingiusto rilievo della citazione di Simoncelli. Mettere in "rilievo" un'affermazione significa farla spiccare rispetto ad altre. Giusto? Intanto per arrivare a leggerla all'interno della voce devo arrivare al quinto punto del penultimo paragrafo. Non proprio una posizione di spicco, direi. All'interno di questo quinto punto del penultimo paragrafo - di trentatrè righe - il capoverso dedicato a Simoncelli si trova alla ventisettesima riga. Ed occupa tre righe e mezza, quindi circa il 10% del quinto punto del penultimo paragrafo di una voce che conta (escluse note e bibliografia) tredici paragrafi. Dove sta il rilievo? Di più: quasi in testa a questo quinto punto si afferma che l'affermazione secondo la quale "i partigiani fossero stati invitati a presentarsi" è falsa. E che si dice proprio all'inizio di queste tre righe e mezzo? Che "La quasi unanimità degli storici riconosce l'inesistenza dell'invito tedesco". Tutto ciò fa pensare che il virgolettato di Simoncelli sia "ingiusto rilievo"? E adesso veniamo ad analizzare i punti di Talia. Primo punto: il diario citato da Simoncelli era inedito ed è rimasto inedito. In realtà la parte virgolettata è stata pubblicata: nell'articolo di Simoncelli. Assieme ad altri virgolettati. E Simoncelli ha indicato anche chiaramente la collocazione di questo diario, fra le carte della fondazione Claudi. Quindi di che stiamo parlando? Cioè: se adesso il diario di questo tipo qui non viene pubblicato per intero, il virgolettato diventa falso? Non c'è alcuna logica. Secondo punto: gli articoli di Simoncelli sono stati seguiti da una calma piatta. Nessuno li ha citati, nemmeno per confutarli. Salvo "Storia in Rete". Aggiungo io: dell'odiato Mastrangelo. Odiato da Talia, che ha dedicato all'epurato un'articolessa - financo con foto dell'uomo in primo piano - in un noto blog. Come fa Talia a dire ciò? Non lo spiega lui, ma ve lo spiego io: ha googolato. L'arma letale degli utenti del suddetto blog: Google. Corollario: se non c'è su Google, non c'è. E invece sai che c'è? Che l'articolo di Simoncelli del 17 marzo 2009 (l'unico che si trova googolando) è stato seguito da un altro articolo, il giorno dopo. Questo articolo è citato in nota nella voce. Purtruttavia da lì a breve Simoncelli scrisse un terzo articolo, che venne pubblicato il 25 marzo 2009, sempre su quella fanzine che Talia ci ha tenuto a denominare "di ben preciso orientamento ideologico" (quale poi? essendo il quotidiano della CEI, esisterà un'ideologia vescovile italiana? o quella cattolica è diventata "ideologia", roba che nemmeno Marx?). Questo articolo è in risposta ad alcune polemiche dei giorni precedenti. Vuoi vedere che parla proprio delle reazioni ai suoi due articoli? Prima di fare affermazioni assolute, inviterei quindi il bravo Talia a cercarsi questo articolo, leggerlo e riportarne qui il contenuto, se utile per la scrittura della voce. In lontananza sento però che arriva al galoppo una giustifica: Talia ha scritto che gli articoli di Simoncelli non sono stati badati da nessuno "che [lui] sappia". Come dire: non lo so, ma pur non sapendo intanto scrivo. Rispondo subito, così non perdo tempo: se non sai, informati. Magari prima. Terzo punto: la qualità scientifica dello scoop di Simoncelli appare dubbia. Attenzione: non sulla base di quel che Simoncelli ha scritto nel suo articolo, ma sulla base di ciò che non ha scritto (non ha citato il fatto che gli altri storici ritengono che questo manifesto non sia esistito)! A parte il fatto che questa cosa - se si leggono le ultime righe dell'articolo - si capisce ampiamente, laddove egli afferma "Una fonte non sospetta dunque ri­mette in gioco quel che è stato sem­pre graniticamente negato da auto­ri e mandanti dell’attentato di via Rasella" (Simoncelli avverte che quel documento è praticamente un unicum), quello messo in campo da Talia è un vecchissimo artifizio retorico, che riprende paro paro il "Confiteor" della chiesa cattolica (il noto partito politico, propugnatore dell'ideologia in Italia propagandata fra l'altro dal giornale per cui scrive Simoncelli). Infatti che dice il "Confiteor"? Che si pecca in "pensieri, parole, opere e omissioni". Questo lo considereremo quindi un "peccato di omissione", seguendo i dettami dell'ideologia testè indicata. Lasciate però queste piccinerie, ecco comunque una risposta in stile wikipediano: se fossimo ad un congresso di storici potremmo anche iniziare una dotta disquisizione sulla "scientificità" di Simoncelli. Qui basta e avanza il suo status di storico accademico e ciò che ha scritto nella fonte citata (l'articolo). Da mettere ovviamente in relazione - com'è stato ampiamente fatto nella voce - con ciò che hanno detto e scritto altri di pari status. Quarto punto: ci sono - afferma Talia - "tante testimonianze "oculari" di romani che hanno affermato di aver visto questi fantomatici manifestini". Questo potrebbe essere - a mio modo di vedere - un dato interessante da inserire nella voce: se qualche storico ha riportato queste "tante testimonianze", io ne parlerei in testa al punto del paragrafo di cui stiamo parlando, facendo seguire poi "a catenaccio" la spiegazione di come i fascisti potrebbero esser stati la fonte primaria di questa leggenda. Mantenendo poi il virgolettato di Simoncelli che afferma in qualche modo di poter riaprire la questione. A ruota reazioni e controreazioni (se Talia finalmente le trova). Aloha!--Presbite (msg) 16:22, 4 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Il terzo articolo di Simoncelli (la cui esistenza si ricava dall'elenco delle pubblicazioni linkato in questa pagina) è una risposta a polemiche varie. Con chi polemizzò Simoncelli? Pare con Bentivegna in persona, il quale (come si ricava da questo inventario, p. 24) scrisse delle lettere al direttore di Avvenire Dino Boffo. Quindi non è affatto vero che gli articoli di Simoncelli non ebbero alcun seguito. Comunque non reputo molto importante questa polemica Simoncelli-Bentivegna. Se si vuole evidenziare che la storia dell'invito tedesco è un falso c'è, oltre al decisivo fattore tempo (il che non è ancora stato evidenziato in voce, nonostante l'abbia scritto per esempio Piscitelli, ora citato nella voce sulle controversie), un argomento molto più probante: nelle intercettazioni telefoniche pubblicate da Lepre nessuno menziona inviti tedeschi di alcun genere (se non ricordo male, nell'introduzione Lepre stesso lo evidenzia, ma ora non ho il suo volumetto a portata di mano). Si vuole mettere in evidenza che questa è una storia falsa. Bene, allora lo si faccia, come è stato saggiamente suggerito su, «secondo il metodo di Wikipedia, vale a dire "per via di mettere" e non "per via di levare": non censurando e sottraendo informazioni, anche là dove la trattazione appare troppo sbilanciata secondo un POV, bensì aggiungendone». E soprattutto non andando a scrivere che la notizia X è stata pubblicata sul quotidiano Y (e peggio ancora ripresa dalla rivista Z), come se questo bastasse ipso facto a dimostrare che è falsa.--Demiurgo (msg) 17:16, 4 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Ecco qui. Ora è scritto e riscritto e dimostrato ad nauseam che non ci furono appelli. Peraltro lo si capiva già perfettamente dalle sezioni sugli eventi (rastrellamenti ed eccidio).--Demiurgo (msg) 18:42, 4 ott 2016 (CEST)[rispondi]
[@ Presbite, Salvatore Talia] Ho aggiunto alla sezione un capoverso introduttivo. Che ve ne pare?--Demiurgo (msg) 16:43, 7 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Bene. Non mi piace però l'ultimo capoverso (Baiada) in quella posizione. Brevissimo accenno più su, quando si parla dello stesso volantino. Il resto lo metterei in nota.--Presbite (msg) 22:58, 7 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Credo che tenerlo in quella posizione serva a dare una spiegazione del ricordo di Claudi (e anche a non lasciargli l'"ultima parola", secondo una logica che personalmente non condivido). Comunque, modifica come credi la voce così capisco meglio la tua proposta. Poi se non c'è consenso annulliamo.-Demiurgo (msg) 23:08, 7 ott 2016 (CEST)[rispondi]

(rientro) Spiego perché la proposta di Presbite non mi convince. In questa sezione si è cercato di seguire un ordine cronologico: si inizia col volantino fascista da cui trae origine l'accusa della "mancata presentazione" (il volantino è fonte primaria, che viene citata facendo riferimento a due fonti secondarie che ne attestano l'esistenza), e si prosegue con le varie fonti che via via ripetono o confutano tale accusa. Per ora, l'ultima di queste fonti in ordine cronologico è l'articolo di Baiada, che nell'articolo viene citato due volte: la prima in quanto fonte che riporta il testo del volantino, e la seconda per la (ipotesi di) spiegazione del meccanismo psicologico che indusse tanti romani a formare il falso ricordo dei manifestini contenenti il presunto invito a presentarsi.
Ritengo utile mantenere tale ordine cronologico. Esso rende palese che, allo stato attuale degli studi, quella dell'invito a presentarsi è una bufala, e gli articoli di Simoncelli del 2009, che avevano l'ambizione di rilanciare la questione, hanno fallito il loro scopo.
Potremmo, eventualmente, richiamare nella sezione altre fonti posteriori al 2009 oltre a Baiada. Si vedrebbe allora, per esempio, che Anna Foa nel 2013, Marco Patricelli nel 2014 e Santo Peli sempre nel 2014 hanno dichiarato falsa l'accusa della mancata presentazione; Carlo Gentile nel 2015 non la menziona nemmeno, così come Alberto Stramaccioni nel 2016, il quale osserva che la rappresaglia fu immediata. Nessuno di questi autori menziona Simoncelli. Ad oggi, l'impatto dei suoi articoli (siano essi due, tre o quattro) sulla storiografia in argomento pare uguale a zero. Offro una Peroni in lattina nel più rinomato locale kebab di Mestre a chiunque riesca a dimostrarmi il contrario.
Mi si permetta, a questo punto, una digressione (prima che scattino gli stracciamenti di vesti, preciso che sto per esporre un mio POV). Davvero è irrilevante il fatto che gli articoli di Simoncelli siano apparsi su "Avvenire"?
Uno dei più acuti critici novecenteschi dell'ideologia cattolica, Antonio Gramsci, in alcune note dei Quaderni del carcere osserva come le polemiche coi giornali cattolici siano spesso «sterili», in quanto questi giornali di solito «storcono e sfigurano» gli argomenti dei loro avversari; inoltre - sostiene Gramsci - gli intellettuali cattolici normalmente «s'infischiano» delle confutazioni da parte dei loro contraddittori non cattolici: «la tesi confutata essi la riprendono imperturbati e come se nulla fosse»; «la lealtà e onestà scientifica essi non le capiscono o le capiscono come debolezza e dabbenaggine degli altri» (edizione a cura di Valentino Gerratana, Torino 1975, pp. 946 e 1871-2).
Da questo punto di vista, la tesi di Simoncelli mi appare fondamentalmente come una cospicua ignoratio elenchi (intendendo questa espressione nel suo significato letterale). Katz e Portelli, avevano, infatti già osservato che esistono numerose testimonianze dell'"invito a presentarsi", e avevano spiegato perché le testimonianze di questo tipo non fossero attendibili. Dopodiché ("come se nulla fosse", direbbe Gramsci) arriva Simoncelli e dice "fermi tutti! Ho una testimonianza!"...
Essendo pacifico che il ricordo di Claudi circa il manifesto sia un falso ricordo, e che pertanto la sua testimonianza sia inservibile sotto il profilo fattuale, il fatto che il memoriale di Claudi sia inedito rende comunque difficile valutare l'interesse della testimonianza medesima sotto altri profili: datazione esatta dell'annotazione che concerne il manifesto, idee dell'autore, suo atteggiamento nei confronti dei comunisti, ecc. ecc. Allo stato attuale, IMHO, è una fonte che veramente non merita più di due righe.
Come ho già scritto qui, devo dare atto a Demiurgo che i suoi edit dei giorni scorsi hanno molto migliorato la sezione, con l'effetto, fra l'altro, di ridurre ulteriormente il peso relativo della fonte Simoncelli. Il criterio di citare le fonti con le parole esatte fra virgolette va bene, purché dal contesto si capisca quando le fonti dicono cose fattualmente erronee. Secondo Demiurgo, nel caso della citazione letterale di Claudi la cosa si capiva già perfettamente fin dall'inizio; secondo me no, ma posso essermi sbagliato. Adesso, comunque, si capisce meglio, quindi ritengo superato ogni motivo di perplessità.
Ai soliti, prevedibili e stucchevoli, attacchi personali di Presbite risponderò nella sua talk, dato che non mi pare il caso di tediare il lettore con questioni di così scarso interesse per il vaglio.
P.S. Perché non togliamo quello “storico iscritto al P.C.I.” riferito a Roberto Battaglia? Scriviamo piuttosto “storico marxista” o “storico comunista”, che sono appellativi del tutto legittimi. Con buona pace di qualcuno, essere marxisti non è una colpa. --Salvatore Talia (msg) 20:12, 11 ott 2016 (CEST)[rispondi]

Se ritieni di aver subito dei "soliti, prevedibili e stucchevoli attacchi personali" hai una strada maestra di fronte a te: apri una pagina di segnalazione sul sottoscritto. In mancanza di tale apertura, rimarrà evidente l'inconsistenza di quel che hai scritto e queste tue amorevoli espressioni saranno da ritenersi un mero espediente retorico. Abbastanza modesto, in realtà.--Presbite (msg) 12:06, 13 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Anche per me tutto sommato va bene la versione attuale. In risposta al PS di Salvatore, ricordo che è esistito un tempo, da me non rimpianto, in cui definire "storico marxista" uno storico marxista comportava una correzione e un rimbrotto: si sarebbe "suggerito" al lettore webete che lo storico in parola non fosse degno di credito, come se avere un orientamento fosse appunto una colpa. Per quanto riguarda Roberto Battaglia, c'è una motivazione per cui l'ho definito "storico iscritto al PCI" e non "storico comunista/marxista": Battaglia non aveva una formazione marxista, fece il partigiano nelle file di Giustizia e Libertà e da azionista scrisse e pubblicò nel 1945 il suo diario Un uomo, un partigiano. In seguito, con la "diaspora azionista", Battaglia passò al PCI e aveva la tessera di questo partito quando scrisse Storia della Resistenza italiana. Secondo lo storico marxista Cesare Bermani, Luigi Longo apportò personalmente delle correzioni al testo di Battaglia in modo da eliminarne le deviazioni azioniste e renderlo fedele all'interpretazione comunista della Resistenza, di cui quell'opera è infatti un perfetto esempio. Una delle differenze tra il Battaglia azionista e il Battaglia comunista consiste nel fatto che il primo parlò della Resistenza come "guerra civile", mentre il secondo non lo fece (almeno non in Storia della Resistenza italiana). Quindi la definizione di "storico comunista" è forse troppo netta, anche perché in questa stessa voce è citato anche il suo diario scritto da azionista.--Demiurgo (msg) 22:33, 15 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Proprio in Storia della Resistenza italiana (p. 184) nel paragrafo "Le azioni dei GAP" si legge: "Le azioni dei GAP avevano fin dall'inizio introdotto nella Resistenza italiana un tono che era sembrato troppo aspro all'opinione pubblica, riluttante ad accettare i duri termini della guerra civile". Ora bisognerebbe vedere (io ho solo le fotocopie di alcune pagine) se si tratta di un unicum o se l'autore parla di guerra civile anche in altre parti della sua opera.--Demiurgo (msg) 16:40, 4 feb 2017 (CET)[rispondi]

Preparazione ed esecuzione modifica

Mi piacerebbe riportare alcuni dettagli tecnici riprendendoli da Bentivegna-De Simone 1996. Ma prima di procedere vorrei chiedere [@ Demiurgo] se trovano riscontro (o smentita) in altre fonti. Il brano è alle pp. 20-1. (In esso i gappisti sono designati tutti col nome di battaglia, ma subito prima, sempre a p. 20, per ognuno è indicato il relativo nome anagrafico). «Uno dei rifugi dei Gap era una cantina di un moderno palazzo al 47 di via Marco Aurelio, una tranquilla strada borghese sul Celio, subito dietro al Colosseo e a fianco dell'ospedale militare. La cantina serviva anche da deposito e da officina per la preparazione delle bombe. Ne era custode il portiere dello stabile, Duilio Grigioni, la cui abitazione serviva spesso da rifugio ai gappisti. - Spartaco, Cola, Elena, Giovanni e Paolo misero a punto sul terreno il piano d'attacco, che venne accettato da Amendola. Raoul trovò il carrettino delle immondizie, che prelevò in un deposito della Nettezza urbana presso il Colosseo e la sera del 22 lo portò in via Marco Aurelio insieme alla divisa da spazzino che era stata invece procurata da Guglielmo. Duilio, Cesare, Caterina, Elena e Paolo approntarono l'ordigno esplosivo, nella base-cantina. Si trattava di dodici chili di tritolo pressati in un contenitore metallico, di ghisa, con accanto altri sei chili di esplosivo e pezzi sfusi di ferro che sarebbero divenuti micidiali schegge; il tutto piazzato nel carrettino della spazzatura. Il contenitore di ghisa venne fabbricato dai membri della Sap Romana Gas di via Ostiense. I 18 chili di tritolo e le bombe da mortaio Brixia vennero forniti dal Centro militare clandestino (Cmc) delle formazioni dipendenti dallo stato maggiore del Regio Esercito e furono prelevati da Elena in un incontro con alti ufficiali del Cmc».
Per caso "Elena" (cioè Carla Capponi) nelle sue memorie parla di questo asserito incontro con alti ufficiali e della consegna dell'esplosivo? O, comunque, l'episodio risulta da altre fonti? --Salvatore Talia (msg) 19:53, 21 ott 2016 (CEST)[rispondi]

Nelle memorie di Carla Capponi in anteprima su Google libri non ho trovato questa informazione (molto probabilmente è in una delle pagine non disponibili). Ne parla anche Mario Avagliano nella sua biografia di Montezemolo. Le fonti sono presumibilmente i gappisti, ma Avagliano ha cura di specificare che gli uomini del FMCR erano "all'oscuro dell'azione in preparazione". Più specifico Dino Messina nella sua recensione del libro di Avagliano: "Montezemolo non sapeva naturalmente per cosa sarebbe servito quell'esplosivo, anzi, in diverse occasioni e in una direttiva ufficiale aveva avuto modo di dichiarare la propria contrarietà ad azioni terroristiche in una grande città come Roma, viste le alte probabilità di rappresaglia".
E' chiara la tendenza dei protagonisti a "decomunistizzare" via Rasella coinvolgendovi, agevolati anche dalla propaganda nazista sui "comunisti badogliani", quanti più soggetti non comunisti possibile (gli anglo-americani che chiedono l'attentato, tutta la giunta militare del CLN che lo ordina, Montezemolo che fornisce l'esplosivo, i "cittadini ed agenti di P.S. [che] entravano nella battaglia a dar spontaneamente man forte ai Volontari della Libertà", De Gasperi che si complimenta), ben sapendo che la polemica di destra (non fascista) non avrebbe alzato il tiro su Alleati, tutto il CLN, Montezemolo o De Gasperi. In questo articolo del missino Niccolai è citata la replica di Bentivegna a un attacco del Tempo: "Non credo che il suo giornale se la senta di accusare il colonnello Montezemolo che, prima di essere fatto prigioniero dalla SS, ci fornì di armi ed esplosivi per le azioni partigiane condotte in Roma. Di tali armi ci servimmo anche per l'azione di Via Rasella". Lasciando stare il commento di Niccolai (che afferma che l'esplosivo lo procurò Paolo Bonomi, citando un libro), sembra (ma bisognerebbe leggere l'articolo completo) che Bentivegna intenda dire "chi accusa noi accusa Montezemolo", laddove il colonnello vietò gli attentati in città e anche per questo è sempre stato accusato, oltre che di "tenta[re] una concorrenza di tipo decisamente reazionario" con il CLN, di essere "un freno alla Resistenza nazionale, un motivo di confusione e di paralisi" (cit. Bocca).--Demiurgo (msg) 22:21, 21 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Sì, certo, l'intento di Bentivegna nel ricordare l'episodio della "consegna del tritolo" è chiaro. Tuttavia, se l'episodio medesimo è vero, non vedo perché non dovremmo menzionarlo, con tutte le precisazioni del caso. Potremmo scrivere appunto che (secondo Bentivegna) il tritolo fu fornito dal FMCR, ma che tuttavia, secondo il biografo di Montezemolo, quest'ultimo "non sapeva (...) per cosa sarebbe servito quell'esplosivo". D'altronde che Montezemolo fosse contrario a questo tipo di azioni lo sappiamo già, e in voce è già scritto. --Salvatore Talia (msg) 20:44, 23 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Va benissimo, tuttavia, mentre non è affatto inverosimile che Montezemolo avesse collaborato con i comunisti (c'era poco da fare gli schizzinosi, da una parte e dall'altra, e i comunisti su questo erano più "a destra" di socialisti e azionisti), di questa consegna di tritolo il colonnello non poteva sapere, essendo stato catturato il 25 gennaio, quasi due mesi prima. La consegna sarebbe avvenuta quindi da parte di altri "alti ufficiali" del fronte militare, il che è comunque strano considerando che Armellini (il successore di Montezemolo) era assai meno propenso a collaborare con il CLN.--Demiurgo (msg) 21:42, 23 ott 2016 (CEST)[rispondi]
Infatti uno dei punti che sarebbero da chiarire (Bentivegna e De Simone sono poco perspicui sul punto) è la data di questa consegna, che magari avvenne molto prima dell'attentato. Anzi nella replica di Bentivegna al "Tempo", che hai citato qui sopra, Bentivegna sembra dire proprio questo. Devo dire che l'episodio, tutto sommato, mi sembra verosimile, e concorda con il quadro complessivo che IMHO risulta dalle fonti, cioè di una Resistenza romana caratterizzata da contrasti politici al vertice fra le varie componenti, i quali però non impedivano una certa collaborazione al livello operativo. --Salvatore Talia (msg) 22:21, 23 ott 2016 (CEST)[rispondi]
In Achtung Banditen!, p. 192, si legge: "Il tritolo ci era stato fornito, come tutte le altre volte, dalla organizzazione del Centro Militare che, per i suoi contatti con l'esercito, aveva più facilità di noi nel procurarsi l'esplosivo". Sembra quindi che si rifornissero volta per volta e quindi, almeno in quest'occasione, Montezemolo proprio non poteva sapere alcunché. Comunque, al di là di quanto ne hanno detto gli uomini del PCI molti anni dopo, su questa collaborazione non esiste alcun documento. Al contrario, nelle lettere di Amendola a Milano l'unico accenno ai militari è ben poco amichevole, essendo il FMCR definito «una organizzazione reazionaria che cerca di inquadrare i carabinieri e gli ex ufficiali e che si propone di lottare contro i tedeschi ma di assicurare l'"ordine" e di impedire l'intervento popolare nella lotta», cioè di impedire l'obiettivo principale dei comunisti.--Demiurgo (msg) 23:00, 23 ott 2016 (CEST)[rispondi]

Presenza effettiva di Carlo Salinari all'azione modifica

Ritengo che sia necessario verificare/modificare la frase "Subito dopo l'esplosione due squadre dei GAP, una composta da sette uomini l'altra da sei, sotto il comando di Franco Calamandrei "Cola" e Carlo Salinari "Spartaco", lanciarono quattro bombe...", per quanto riguarda la presenza effettiva di Salinari all'azione. Lo stesso Salinari non mi pare che menzioni se stesso tra i partecipanti, mentre Carla Capponi ha dichiarato che, dopo l'attentato, Carlo Salinari la stava aspettando in Piazza Vittorio Emanuele II. E' improbabile che l'abbia potuta precedere, se si fosse trovato in Via Rasella, più indietro della Capponi stessa, rispetto all'itinerario per Piazza Vittorio.--Federico Bardanzellu (msg) 07:53, 6 nov 2016 (CET)[rispondi]

Bentivegna-De Simone 1996 sostengono che Salinari "Spartaco" durante l'azione si trovava di retroguardia in via del Traforo, «all'incrocio con via del Lavatore» (p. 24). A p. 28 citano un brano di Achtung, Banditen!, dello stesso Bentivegna, da cui sembra risultare che Salinari e Calamandrei si siano ricongiunti con i gappisti (Falcioni, Serra, Curreli e Balsamo) che, «balzati fuori dall'angolo di via del Boccaccio, dove si erano appostati, e avevano scagliato le bombe», si sganciarono appunto verso via del Traforo.
Carla Capponi, di cui mi sono appena procurato e sto leggendo l'edizione del 2003, scrive che Salinari prima dell'esplosione del carretto si trovava con altri in via del Traforo (p. 231); dopo l'azione Salinari incontrò Capponi in piazza Vittorio e le disse che «l'azione era stata più micidiale di quanto avessimo potuto immaginare poiché da via del Lavatore, dove lui aveva ripiegato, aveva assistito a una vera battaglia ingaggiata dai Bozen superstiti con un comando di polizia, contro il quale i nazisti continuarono a sparare» (p. 235). (Bentivegna e De Simone, p. 30, scrivono che un tedesco sparò per errore all'autista di Caruso, Erminio Rosetti, scambiandolo per un gappista; può darsi che sia questo l'episodio cui si riferisce, ingigantendolo, Salinari quando parla di una "battaglia" fra Bozen superstiti e poliziotti). --Salvatore Talia (msg) 17:54, 6 nov 2016 (CET) - Però no, guardando la mappa di Roma, mi sembra impossibile che Salinari da via del Lavatore abbia potuto assistere all'uccisione di Rossetti, che - sempre secondo Bentivegna e De Simone - avvenne in piazza Barberini. --Salvatore Talia (msg) 18:12, 6 nov 2016 (CET)[rispondi]
Allora, ad azione completata, probabilmente Salinari deve aver tagliato per Via del Traforo, Via Milano, Via Panisperna, Via Liberiana per poi ricongiungersi a Piazza Vittorio con Carla Capponi (che, però, aveva per corso tutta Via delle Quattro Fontane e Via De Pretis, passando dietro la Basilica di Santa Maria Maggiore).--Federico Bardanzellu (msg) 20:15, 6 nov 2016 (CET)[rispondi]
Comunque, stando a Bentivegna, sembra che a lanciare le bombe a mano siano stati solo i quattro gappisti appostati in via del Boccaccio. Anche i numeri non sembrano coincidere col passo della voce che hai citato sopra, perché Bentivegna e De Simone (p. 21) scrivono che i gappisti sul campo erano in tutto dodici. Questi dettagli sono da ricontrollare. --Salvatore Talia (msg) 13:08, 7 nov 2016 (CET)[rispondi]
La frase che ho citato è ripresa quasi pedissequamente ("due squadre dei GAP Centrali, una di sette uomini l'altra di sei, al comando di Carlo Salinari (Spartaco) e Franco Calamandrei (Cola)") dal sito del Centro Studi della Resistenza [1]. 6+7=13 + Bentivegna e Capponi = 15 + Marisa Musu che ha sempre affermato di esservi (in "Roma Ribelle" edizione Teti) = 16. Effettivamente, l'elenco andrebbe verificato. Per quanto riguarda Rossetti, Portelli usa la frase "verso Piazza Barberini" (pag. 94 della mia edizione) ma, probabilmente, non c'entra niente con lo scontro a fuoco tra Bozen e polizia che avrebbe visto Salinari, perché Via del Lavatore (o più probabilmente Via in Arcione) sta veramente da un'altra parte.--Federico Bardanzellu (msg) 17:25, 7 nov 2016 (CET)[rispondi]
Nel diario di Calamandrei si legge: "Mi avvio per via Rasella, vedo che Fernando e Pasquale e Silvio e Antonio hanno preso il loro posto di copertura, che Raul, Francesco, Aldo sono pronti in cima alle scalette di via del Boccaccio a lanciare, appena avverrà l'esplosione, le loro Brixia a otto secondi che dovranno scoppiare alle spalle della colonna: e Paolo mi ha veduto". Salinari fu l'organizzatore e il supervisore dell'azione. Calamandrei scrive che la mattina del 23 marzo "Spartaco" era nell'officina a fare con altri le "prove del fumo nelle cassette" (il fumo della miccia, che fuoriuscendo dal carretto avrebbe potuto destare sospetti), per poi non menzionarlo più il 23 marzo.
Io comunque non ho altro di significativo da aggiungere. IMHO la voce è completa, bisogna solo rivedere le sezioni sulla preparazione e l'esecuzione e concentrarsi sulle voci di approfondimento, in primis quella sui processi che è ancora in sandbox. Spero di aprire la segnalazione per la vetrina entro la fine dell'anno.--Demiurgo (msg) 22:54, 7 nov 2016 (CET)[rispondi]

Uno spunto sull'imprevedibilità della rappresaglia modifica

Ciao a tutti, scusate l'intrusione. Sto leggendo un libro sulla Strage di Monchio (Monchio 18 marzo 1944, l'esempio), e l'autore (Giovanni Fantozzi, giornalista di area cattolica, citato su wp soprattutto per il suo libro sul triangolo della morte del dopoguerra, e certamente non filo comunista) in un passo a commento della strage (che appunto fu anch'essa rappresaglia, seppur in modo molto meno nitido che a Roma) sembra avvalorare la tesi dell'imprevedibilità della rappresaglia anche al di fuori della storiografia di area comunista. Cito (pp.388-390).

Le violenze non sono poi facilmente classificabili né seguono logiche ben definite o comunque comprensibili. Accadde che massacri di violenza inaudita fossero perpetrati senza che neppure un soldato venisse ucciso, magari solo per una minaccia vera o presunta di presenza partigiana. Interi paesi furono invece messi a ferro e fuoco e centinaia di persone massacrate in seguito all'uccisione di singoli soldati, come a Civitella in Val di Chiana, o addirittura senza che vi fosse un solo caduto tedesco, come a S.Anna di Stazzema o a Niccioleta, quando furono presi e fucilati 85 minatori solo perché avevano festeggiato in paese l'arrivo degli alleati con qualche giorno di anticipo. Ma in altre occasioni le ritorsioni sulla popolazione furono piuttosto blande: dopo la caduta della Repubblica di Montefiorino, nell'agosto 1944, i tedeschi uccisero parte dei ribelli catturati ed incendiarono interi paesi ma non si abbandonarono a violenze indiscriminate. Lo stesso si può dire per il grande rastrellamento invernale che coinvolse la montagna modenese nel gennaio 1945. Nella sostanza la differenza tra la vita o la morte per singole persone o per interi villaggi spesso dipese unicamente dal reparto di soldati in cui si imbatterono.
Che tutto questo avvenisse poi al di fuori delle regole del diritto internazionale bellico era dimostrato dalla prassi comunemente seguita in queste vicende. Anche ammettendo che il controverso e ambiguo "diritto di rappresaglia" menzionato nelle Convenzioni internazionali dell'Aja del 1899 e del 1907 potesse rientrare legittimamente tra le leggi di guerra [qui nota sua: rimanda all'opera di Andrae già citata nella voce e a Steffen Prausser, La rappresaglia nel diritto internazionale durante la seconda guerra mondiale in Tra Storia e Memoria], l'applicazione di queste misure avrebbe dovuto in ogni caso sottostare, secondo interpretazioni comunemente accettate, ad una serie di procedure minuziose (avvertimenti scritti alla popolazione, presa di ostaggi, giudizio di una corte marziale, ragionevolezza e proporzionalità tra danno subito e punizione, uccisione di soli maschi adulti, ecc...), verso le quali i tedeschi mostrarono invece il più delle volte completa indifferenza. Che la sanzione da infliggere non seguisse alcun precetto giuridico è è dimostrato anche dall'estrema variabilità, da caso a caso, della proporzione tra soldati uccisi e civili passati per le armi. La strage delle Fosse Ardeatine, per paradosso, pur nella sua estrema brutalità e nel numero assai elevato di uccisi, fu una delle poche a seguire una parvenza di procedura: ad esempio l'ordine della rappresaglia seguì una scala gerarchica interna, gli ostaggi furono scelti tra persone condannate o comunque imprigionate in precedenza e fu stabilito un criterio di proporzionalità di dieci a uno tra soldati uccisi e vittime della rappresaglia. Nella grande maggioranza dei casi, invece, l'arbitrio fu completo. A cominciare dal numero degli uccisi per ogni caduto tedesco: se la proporzione talvolta poteva essere di cento a uno, altre di trenta a uno, ma si arrivò anche a cento a uno! A Monchio la proporzione fu di venti fucilati per un tedesco, ma a Cervarolo, inspiegabilmente, le vittime risultarono "solo" due per ciascun soldato [qui altra nota sua in cui cita Gentile, già citato da noi nel riquadro].

Scrivo questo perché mi pare che l'attuale paragrafo 10.4 pecchi in questo senso, citando il solo Battaglia per la tesi dell'imprevedibilità (ma sarebbe bene credo fontare anche il pezzo successivo sulla tesi della prevedibilità, che attualmente non specifica, nemmeno attraverso le fonti, quali siano gli "altri autori"). Grazie a tutti per l'attenzione (se lo credete opportuno spostate pure il mio intervento nel vaglio e continuiamo lì, ho scritto qua solo perché ho visto che qua era stata l'ultima discussione).--Caarl95 22:51, 4 gen 2017 (CET)[rispondi]

Nessuna intrusione: benvenuto. Il paragrafo che segnali è una sorta di "incipit" della sezione: le tesi dei singoli autori sono esposte indicando le fonti nelle sottosezioni successive (ma naturalmente si possono inserire le note anche nell'introduzione, se proprio lo si ritiene necessario). La nota su Battaglia è un approfondimento, non l'indicazione di una fonte per la tesi dell'imprevedibilità. Battaglia infatti non si pronuncia esplicitamente sulla prevedibilità di una rappresaglia per via Rasella, si limita ad affermare (e forse è all'origine di questa affermazione) che i tedeschi "non avevano dato fino a quel momento luogo a rappresaglia": un argomento poi ripreso da altri autori (indicati nelle sottosezioni seguenti insieme a quelli che li contraddicono) per sostenere che, dal momento che i tedeschi non avevano reagito con rappresaglie prima di via Rasella, si poteva ragionevolmente sperare che non l'avrebbero fatto neanche in tale occasione. Peraltro l'affermazione secondo cui i tedeschi "non avevano dato fino a quel momento luogo a rappresaglia" non risponde al vero: lo avevano fatto e il "messaggio" era anche arrivato forte e chiaro; basta vedere tra l'altro il commento di Trabucco alla fucilazione del 31 gennaio: "Oramai sappiamo che gli ostaggi sono chiamati a pagare con la vita gli attacchi che i patrioti muovono ai tedeschi" (un passaggio sfuggito a Portelli, che pure ha utilizzato questa fonte).
Comunque, in questa voce l'argomento non è tanto la prevedibilità delle rappresaglie tedesche per le azioni partigiane, quanto la prevedibilità di una rappresaglia (più o meno brutale) per un attentato come quello di via Rasella (diciotto chili di tritolo - con annessi spezzoni metallici - fatti esplodere al passaggio di una colonna nel centro di Roma, dove - per dirla con Colorni - non era poi "possibile eliminare ogni traccia" dell'accaduto, neanche ai tedeschi, che pure avrebbero potuto avere un interesse propagandistico a insabbiare uno smacco così clamoroso). Per questo motivo sono stati citati solo autori specifici sul punto. Sarà poi il lettore a decidere quali sono, secondo lui, i più credibili.--Demiurgo (msg) 12:58, 5 gen 2017 (CET)[rispondi]
[↓↑ fuori crono] Devo correggere una mia affermazione. Non è vero che Battaglia "non si pronuncia esplicitamente sulla prevedibilità di una rappresaglia per via Rasella". Più avanti nella stessa p. 224 si legge: "Ciò che non è previsto è la reazione tedesca nella forma feroce che essa assume". Ho quindi aggiunto Battaglia alla rassegna storiografica.--Demiurgo (msg) 16:15, 4 feb 2017 (CET)[rispondi]
Sì sì, non proponevo l'uso del libro come fonte, il mio voleva essere solo uno spunto di discussione per verificare se non siano presenti anche altre fonti (non necessariamente specifiche sulle Fosse Ardeatine, ma anche in generale sulle rappresaglie in Italia) che attestino tali considerazioni, ossia che non solo varia la quantità di fucilati (quello lo facciamo dire a Gentile), ma che poteva capitare anche che non vi fossero rappresaglie, almeno sui civili (ovviamente sottolineando che si parla in via generale mentre via Rasella non è un'azione partigiana qualunque). Chiaro, questo lo potremmo dire (molto brevemente) solo nel riquadro a fianco e solo qualora si trovasse conferma in una qualche fonte importante sul tema (fonti che io non ho, anche per questo mi limitavo a lanciare lo "spunto", purtroppo non riesco in questo momento ad addentrarmi sul tema e quindi non posso certo nemmeno sostenere una discussione... Prendetelo come un suggerimento, se lo ritenete valido usatelo, altrimenti cassatelo senza problemi ;) ). Devo scusarmi invece sulle fonti: non avevo capito (ma avrei dovuto) che il paragrafo è una semplice parte introduttiva dei successivi sottoparagrafi, scusatemi davvero. --Caarl95 23:59, 5 gen 2017 (CET)[rispondi]
In una delle sottosezioni successive, Santo Peli dice: "il rapporto 10:1 viene utilizzato in modo sporadico, a seconda di un insieme di mutevoli circostanze, e gli esempi di mancate rappresaglie, o di rappresaglie dove la proporzione è di 50, o di 100 a 1, sono abbondanti" (e sul punto cita uno scritto di Gentile del 1997). Nella sua opera del 2015 Gentile invece scrive che il rapporto 10 a 1 era "ricorrente" ma soggetto ad "alterazioni". E' il caso di notare che "ricorrente" è esattamente il contrario di "sporadico"... infatti il rapporto 10 a 1 era talmente ricorrente che Longo, nel sollecitare i comunisti romani a non farsi fermare dalle rappresaglie, scrisse: "il morto tedesco non si può contrapporre ai dieci ostaggi fucilati"; dopo via Rasella l'ingegner Ferrero fu in grado di prevedere: "finora sono sconosciute le contromisure: si prevede però che per ogni tedesco ucciso saranno passati per le armi 10 italiani"; la marchesa F. di C. disse al telefono: "Ogni volta che succede uno di quei fatti [gli attentati] vanno là e ne prendono 10 [prigionieri] per ogni tedesco". Il rapporto 10 a 1 quindi era ben radicato nelle menti degli italiani (che i tedeschi preferissero la cifra tonda si nota anche dal comportamento di Kappler il 31 gennaio: i fucilati erano stati nove, ma lui nel comunicato aveva inserito un decimo uomo, morto invece a via Tasso per le torture, in modo da rispettare la proporzione "ricorrente"). Infatti Jo' Di Benigno nelle sue memorie scrive: "Era ormai cosa nota a tutti che per ogni tedesco ucciso, dieci italiani venivano sacrificati"; Paolo Monelli scrive che non si potesse ignorare che "nella inevitabile rappresaglia dei tedeschi questi si sarebbero tenuti almeno al rapporto di uno a dieci". Jo' Di Benigno e Paolo Monelli avevano vissuto l'occupazione tedesca di Roma (di cui Monelli fu un apprezzato cronista con Roma 1943; apprezzato anche anche a sinistra, salvo quando criticò i GAP). Tornando a Peli: a parte il fatto che non è vero che il rapporto 10 a 1 fosse solo "sporadico", è IMHO del tutto illogico sostenere che, visto che i tedeschi non sempre rispondevano agli attacchi con rappresaglie su prigionieri e non sempre nella misura di 10 a 1, allora una rappresaglia 10 a 1 per via Rasella (cioè il più duro attentato urbano mai effettuato contro i tedeschi, non un'azione qualsiasi) non era prevedibile. Al contrario: visto che i tedeschi erano "elastici", non si poteva escludere nemmeno una rappresaglia 100 a 1 o 50 a 1 (e infatti pare che l'idea iniziale fosse proprio 50 a 1). A mio parere è assolutamente fallimentare la linea intrapresa da questa storiografia che, pur intendendo rivendicare in pieno la violenza partigiana, si mostra reticente sul fatto che i GAP scelsero di non curarsi delle rappresaglie e attaccare ugualmente. Va detto che i gappisti sono stati assai meno reticenti: qui (min 35:10 e ss.) si può sentire Carla Capponi dire che, anche se avessero previsto l'eccidio delle Fosse Ardeatine in tutta la sua portata, avrebbero agito lo stesso (l'azionista Riccardo Bauer al processo Kappler aveva detto esattamente il contrario, ma si stava attribuendo un ruolo nel processo decisionale che in realtà non aveva mai avuto), tanto è vero che avrebbero voluto continuare anche dopo le Fosse Ardeatine (quando rappresaglie 10 a 1 anche su vasta scala erano ormai largamente prevedibili), ma le resistenze degli altri partiti del CLN non lo permisero. Se avessero effettuato, com'era loro intenzione, una via Rasella 2 ancora più dura, alcuni storici avrebbero detto che le Fosse Ardeatine 2 (magari con rapporto 100 a 1) non erano prevedibili perché prima non c'era mai stata una rappresaglia di tali dimensioni... Appena avrò a disposizione il libro di Gentile vedrò se è possibile inserire qualcosina in più sulle rappresaglie tedesche in generale. Grazie per il consiglio,--Demiurgo (msg) 10:54, 6 gen 2017 (CET)[rispondi]
Sì, è chiaro che Rasella è sui generis. E una certa spregiudicatezza dei GAP l'ho trovata anche in fonti su altre realtà (Gorrieri, sulla Repubblica di Montefiorino mentre parla delle, poche in realtà, azioni gappiste a Modena). Volevo solo sottolineare come una certa imprevedibilità delle azioni tedesche vi fu, sul fatto che poi un'azione come Via Rasella non sia paragonabile a qualche scontro a fuoco durante un rastrellamento sono d'accordo.--Caarl95 22:21, 6 gen 2017 (CET)[rispondi]
IMHO più che di imprevedibilità delle rappresaglie bisognerebbe parlare di una certa variabilità del tipo e dell'entità delle "contromisure" che di volta in volta sceglievano. Comunque, ho capito il concetto che vuoi esprimere.--Demiurgo (msg) 12:08, 7 gen 2017 (CET)[rispondi]

(rientro) “Se avessero effettuato, com'era loro intenzione, una via Rasella 2 ancora più dura, alcuni storici avrebbero detto che le Fosse Ardeatine 2 (magari con rapporto 100 a 1) non erano prevedibili perché prima non c'era mai stata una rappresaglia di tali dimensioni...”
Per continuare il gioco del what if iniziato da Demiurgo, propongo il seguente esperimento mentale.
Consideriamo questo manifesto, fatto affiggere il 29 dicembre 1943 da Merico Zuccari nel Vercellese, in Valsesia e in Valsessera:

«GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA
Comando 63° Btg. Tagliamento
Avvertesi tutta la popolazione della Provincia di Vercelli che se qualcuno userà violenza, approfittando di determinate circostanze di luogo e di tempo ad un Ufficiale, ad un sottufficiale o ad un legionario del 63° Btg. "M" saranno passati per le armi cento uomini e messo [sic] a ferro e fuoco tutta la città od il paese in cui il crimine è stato commesso.
Se la violenza sarà usata in campagna le rappresaglie di cui sopra saranno effettuate nei centri urbani viciniori.
Noi alle minaccie [sic] abbiamo fatto seguire sempre i fatti, perciò attenzione.
IL COMANDANTE»

(Manifesto riprodotto fotograficamente in Sui muri della Valsesia. Settembre 1943 – aprile 1945. Catalogo della mostra, a cura di Piero Ambrosio e Gladys Motta, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli, Varallo 1986, p. 83).
Ora immaginiamo che, a seguito del ferimento di un milite o di un graduato, Zuccari avesse dato seguito alla sua minaccia fucilando cento prigionieri e mettendo «a ferro e fuoco» il villaggio più vicino. (Dico ferimento per rendere l'ipotesi più verosimile, ma in teoria sarebbe bastato anche un pugno o uno spintone, dal momento che il manifesto parla genericamente di atti di «violenza»).
Io dico che, in questo caso, avremmo avuto nel dopoguerra un'ampia pubblicistica che, sulla base della “prevedibilità” della “rappresaglia” preannunciata “regolarmente” mediante l'affissione di appositi manifesti, avrebbe attribuito al “combattente illegittimo”, autore del ferimento, tutta la responsabilità del susseguente massacro.
Da notare, nel bando della GNR, il goffo tentativo di conferire una parvenza di giuridicità alla minaccia; per esempio mediante l'inciso «approfittando di determinate circostanze di luogo e di tempo», che è privo di significato e ha la sola funzione stilistica di scimmiottare il linguaggio del codice Rocco (art. 61, n. 5). È lo stesso atteggiamento di «millanta[re] leggi e regole» di cui parla Baiada in questo articolo.
Di passata rilevo che questa specie di rozzo pseudo-giuspositivismo, per il quale, affinché un ordine sia lecito, è sufficiente che chi lo emana indossi la divisa di un esercito “regolare”, trova ancora oggi i suoi sostenitori, se è vero che un recentissimo documento sembra invocare «le leggi di guerra all’epoca vigenti ed alle quali si attenevano tutte le potenze belligeranti» per giustificare le violenze belliche fasciste contro i civili, o almeno «gran parte» delle medesime.
In realtà non c'era nessuna “legge di guerra” a giustificare massacri come quello delle Fosse Ardeatine, che erano, ovviamente, del tutto illegittimi. «Torto nostro a voler cercare una regola nel più spaventoso degli arbitrii», scrive giustamente Giacomo Debenedetti a proposito delle violenze naziste.
E aveva, IMHO, del tutto ragione Cino Moscatelli quando, il 19 luglio 1944, respingendo la minaccia del Comando tedesco di Varallo Sesia che aveva prospettato «la fucilazione di venticinque ostaggi presi fra la popolazione civile, senza distinzione di sesso e di età, per ogni colpo sparato dai ribelli», rispose semplicemente che tale comportamento dei tedeschi «riguarda la giustizia dei popoli civili, cui verranno trasmessi i nomi dei responsabili a noi ben noti» (citato in Claudio Pavone, Una guerra civile, cap. 7).
Comunque sono abbastanza d'accordo con Demiurgo quando osserva che “più che di imprevedibilità delle rappresaglie bisognerebbe parlare di una certa variabilità del tipo e dell'entità delle contromisure che di volta in volta sceglievano”: è quanto, a mio parere, emerge dal libro di Gentile, da cui in realtà credo si possa evincere (come ha giustamente detto Caarl) che la discrezionalità era assai notevole, fino a sconfinare appunto nell'arbitrio. Ne riparleremo. --Salvatore Talia (msg) 18:41, 10 gen 2017 (CET)[rispondi]

Nota sulla replica di Portelli a Galli della Loggia modifica

Considero del tutto fuori luogo la nota di approfondimento sulla replica di Portelli a Galli della Loggia, con critica a Staron, trascinato suo malgrado in una polemica tutta italiana. Appena avrò tempo e il libro di Staron a portata di mano spiegherò perché Portelli sbaglia, attribuendo allo storico tedesco una posizione (quella di Maurizio) che non solo non ha mai assunto, ma a cui nega ogni validità (la posizione di Staron è la stessa dei Benzoni). Trovo inoltre curioso che Portelli citi in proprio favore l'ordinanza del (vituperato) gip Pacioni, la quale in piena contraddizione con la sua tesi afferma (corsivo mio): "Se era certamente prevedibile una dura reazione tedesca all'attentato, non erano, però, prevedibili le forme e i modi in cui questa si sarebbe realizzata, essendo quella della rappresaglia (e in particolare della rappresaglia su persone detenute) solo una delle possibilità preventivabili". L'ordinanza infatti intende confutare la teoria del complotto (che vuole la rappresaglia prevista e cercata nella specifica forma che assunse, al fine di eliminare specifici gruppi di prigionieri), non certo quella della rappresaglia (generica) cercata per fare in modo che la popolazione si schierasse contro i tedeschi. In pratica, l'ordinanza smentisce la tesi di Maurizio, non certo quella dei Benzoni e di Staron. A parte il fatto che i blog non sono fonti citabili (che io sappia), non trovo giusto linkare qui dentro un testo in cui si attribuisce a un autore una tesi da lui esplicitamente rigettata. Nel frattempo, propongo di tagliare subito la recensione di Filippo Gonnelli che - con l'enormità megagalattica (segnalata con un troppo pietoso "erroneamente sostiene") "Come è noto, della strage non si seppe nulla sino alla fuga dei tedeschi da Roma: attribuire al CLN l'intento di ottenere una strage destinata a restare segreta sembra illogico" ("Come è noto"!) - è veramente un pugno in un occhio. Evidentemente l'autore non sa di cosa parla: la strage fu tutto tranne che "destinata a restare segreta" e nessuno, tantomeno Staron, ha attribuito alcunché "al CLN".--Demiurgo (msg) 21:42, 10 gen 2017 (CET)[rispondi]

[@ Salvatore Talia] Potresti cortesemente controllare se nel suo saggio Portelli ha citato l'ordinanza Pacioni nella parte in cui dice "Se era certamente prevedibile una dura reazione tedesca all'attentato"? Grazie,--Demiurgo (msg) 21:48, 10 gen 2017 (CET) Che sbadato: certo che l'ha citata, infatti in questa voce è tratta proprio dal suo saggio.--Demiurgo (msg) 21:57, 10 gen 2017 (CET)[rispondi]
Staron (p. 44) scrive testualmente: "La tesi di Maurizio, tuttavia, pare basarsi troppo sul principio del cui bono e può essere forse ricondotta alla diffusa inclinazione italiana per la "dietrologia", che induce a scorgere dietro ogni evento complotti segreti e poteri oscuri". Quindi Staron liquida quella di Maurizio come una teoria del complotto, altro che ritenerlo "più attendibile del tribunale di Roma". Non cita a confutazione l'ordinanza di archiviazione del tribunale di Roma perché in sostanza non la prende neanche in considerazione. Certo, ha dato "addirittura dignità di studioso" a Maurizio (orrore): evidentemente in Germania non è considerato elegante attaccare e sminuire un autore sul piano personale.
Portelli ritiene basata su "congetture e illazioni" l'affermazione secondo cui i partigiani "avrebbero dovuto sapere che ci sarebbe stata una rappresaglia", nello stesso testo in cui cita in suo favore un'ordinanza secondo cui "era certamente prevedibile una dura reazione tedesca all'attentato". Lo stesso Portelli a cui sfugge un'illuminante pagina del diario di Trabucco - in cui a commento della rappresaglia contro prigionieri del 31 gennaio si prevedono altre (imprevedibili, secondo Portelli) rappresaglie contro prigionieri - fa la lezioncina ad altri sulle "fonti che vanno viste tutte"... Dulcis in fundo: si segnala che Portelli è stato autorevolmente recensito da un autore secondo cui la strage era "destinata a restare segreta"... La nota è POV/ingiusto rilievo (oltre che fuorviante, distorcendo la posizione di Staron) e non è proprio il caso di mettersi a svilupparla per renderla NPOV.--Demiurgo (msg) 01:29, 11 gen 2017 (CET)[rispondi]
Tra le conclusioni dell'ordinanza Pacioni si legge (corsivo mio): "Dopo tutto quanto sin qui esposto, ci si potrà forse chiedere alla fine se quel che avvenne in via Rasella il 23 marzo 1944 sia stato veramente necessario o anche solo opportuno, avuto anche riguardo alla prevedibilità della spietata reazione da parte dei tedeschi". Infatti, come vedremo (e in parte abbiamo già visto), Pacioni fu fatto a pezzi dall'area politica di Portelli. Il contenuto di questa ordinanza è tutt'altro che in contraddizione con le tesi dei Benzoni e Staron.--Demiurgo (msg) 02:18, 11 gen 2017 (CET)[rispondi]

(rientro) Mi spiace di aver suscitato una reazione così accesa. Spiego perché ho ritenuto utile citare la nota di Portelli. Essa è citata nella parte in cui dice che Staron «[s]enza apportare un solo fatto ma ripercorrendo castelli di congetture e illazioni di seconda mano, sostiene che i partigiani avrebbero dovuto sapere che ci sarebbe stata una rappresaglia. Da ciò salta, senza argomentarlo e con un notevole balzo logico, ad affermare che quindi hanno agito con l’intenzione di provocarla». Vale a dire che Portelli vede una aporia nella tesi di Staron: un conto (dice Portelli) è sostenere che i partigiani abbiano agito nonostante la previsione di una rappresaglia, altra cosa è sostenere che abbiano agito con lo scopo di provocarla. Ora, siccome in quella sezione della voce tale distinzione non appare chiara (si confronti il paragrafo introduttivo), mi è parso utile citare un autore che invece la mette in luce.
Non è esatto quanto sostiene Demiurgo, che Portelli citi l'ordinanza del giudice Pacioni per confutare la tesi secondo cui i gappisti «avrebbero dovuto sapere che ci sarebbe stata una rappresaglia». Portelli, infatti, cita questa ordinanza principalmente per confutare l'altra tesi, quella secondo cui i gappisti «avrebbero agito con lo scopo di provocare la rappresaglia». È una distinzione che a Demiurgo sembra sfuggire, e che tuttavia è importante.
È invece esatto che Portelli critica Staron per non aver preso "neanche in considerazione" l'ordinanza di Pacioni e per aver invece (sono parole di Portelli) conferito «dignità di “studioso” a Pierangelo Maurizio, autore di un pamphlet indegno non perché (legittimamente, ma contrariamente a quello che sembra credere Staron), si tratta di un cronista molto vicino alla destra radicale, ma perché è inattendibile e al di sotto di ogni dignità storiografica». Tale, testualmente, la critica di Portelli, che si può non condividere ma che mi pare legittima.
Quanto alla recensione di Gonnelli, l'ho citata perché essa a sua volta segnala uno scritto di Portelli (pubblicato in AA.VV., Vero e falso. L'uso politico della storia, Donzelli 2008) dove Portelli, a quanto pare, ribadisce le stesse critiche a Staron. Mi pare un inutile formalismo opporsi alla citazione della nota di Portelli con la motivazione che è stata pubblicata sul suo blog, quando lo stesso autore ha poi detto le stesse cose in un testo a stampa. Non ho citato quest'ultimo solo perché, banalmente, non l'ho ancora letto; più avanti mi riprometto comunque di procurarmi il volume dell'editore Donzelli e di sostituire la citazione dal blog con quella dal libro.
Quanto alla recensione di Gonnelli, a parte il bruttissimo scivolone sulla presunta “segretezza” della strage (scivolone che peraltro ho debitamente segnalato), mi è parso utile richiamarla anche perché contiene un'interessante critica a Staron, che Gonnelli considera esponente della «tendenza, sostenuta da settori consistenti della intellettualità conservatrice tedesca (...) alla neutralizzazione, e quindi alla riconduzione sul piano della storia militare ordinaria, del ruolo della Wehrmacht (non di corpi speciali esplicitamente ispirati a principi criminali) nei rapporti con le popolazioni civili europee».
Questo è quanto. Se ora Demiurgo vuole spostare il tutto nella voce sulle controversie, non mi oppongo anche perché la mia opposizione sarebbe sostanzialmente inutile; sono infatti certo che Demiurgo, se volesse, potrebbe ottenere il necessario consenso da altri utenti. Se però farà così, si sarà reso responsabile di quella che a me sembra una azione poco commendevole, vale a dire avrà censurato dalla voce principale un'opinione che non gli piace. Pazienza. Dixi et salvavi animam meam. --Salvatore Talia (msg) 13:05, 11 gen 2017 (CET) P.S. Apprendo ora da Demiurgo che anche Staron critica, sia pure in modo un po' troppo blando, la tesi di Maurizio; sarebbe forse il caso di aggiungere anche questa critica alla sezione sulla teoria del complotto.[rispondi]

[@ Salvatore Talia] Andiamo con ordine. Secondo te, può essere considerato un "fatto" a sostegno della prevedibilità delle rappresaglie, per esempio, il fatto che quasi due mesi prima di via Rasella Carlo Trabucco (come sorprendentemente non riporta Portelli e invece riporta Staron), commentando una rappresaglia, previde altre rappresaglie contro prigionieri in seguito ad "attacchi che i patrioti muovono ai tedeschi"?--Demiurgo (msg) 23:46, 11 gen 2017 (CET)[rispondi]
Ho capito dove vuoi arrivare. Portelli dice che Staron non apporta un solo fatto a sostegno della propria tesi; ma Staron invece apporta diversi "fatti" (tra cui la testimonianza di Trabucco), quindi Portelli dice cosa fattualmente non vera, ergo lo espungiamo. Per me questo significa eliminare un'opinione sgradita mediante un cavillo procedurale. Che la rappresaglia sia avvenuta è un fatto; che prima della sua esecuzione essa fosse prevedibile non è un fatto, è una valutazione, espressa e argomentata da Staron e da altri e contestata da Portelli e da altri. Secondo me l'argomentazione di Portelli contro Staron è degna d'interesse e non merita di essere censurata. Anche perché, come ho detto sopra, il bersaglio principale della polemica di Portelli non è tanto l'affermazione della "prevedibilità" della rappresaglia, quanto invece l'altra, e distinta, tesi di Staron secondo cui i gappisti avrebbero agito con l’intenzione di provocare la rappresaglia. Forse si tratta di una tesi talmente debole e male argomentata da non tollerare critiche? --Salvatore Talia (msg) 20:10, 12 gen 2017 (CET)[rispondi]
Anche quando abbiamo eliminato l'asserzione di Pisanò su un presunto incremento dei bombardamenti aerei alleati dopo via Rasella, che abbiamo ritenuto essere falsa in base a un nostro fact checking, abbiamo "eliminato un'opinione sgradita mediante un cavillo procedurale"? Tutte le opinioni sono dunque diventate degne di essere inserite nella nostra enciclopedia?
Quella di Trabucco non è una "testimonianza" (nel senso di una dichiarazione successiva ai fatti), ma un'annotazione sul suo diario risalente a quasi due mesi prima di via Rasella (31 gennaio), con cui il giornalista previde (a ragione, come putroppo i fatti dimostrarono) una determinata risposta tedesca (esecuzione di prigionieri) a una determinata condotta partigiana (attacco contro i tedeschi), in base a una massima di esperienza ricavata dall'osservazione degli eventi.
Che le rappresaglie fossero prevedibili (certamente nel loro verificarsi, non altrettanto nelle loro precise modalità di esecuzione) è un indiscutibile "fatto", dimostrato dall'esistenza di diversi documenti antecedenti a via Rasella, in cui le rappresaglie sono letteralmente previste, anche nella proporzione di dieci a uno poi applicata nel nostro caso, e anche da parte di soggetti con una conoscenza dei rischi delle guerriglia antinazista di gran lunga inferiore a quella degli scafati dirigenti del PCI (abbiamo il mite Trabucco che prevede quello che i dirigenti comunisti, alcuni dei quali con l'esperienza della guerra di Spagna alla spalle, non avrebbero potuto prevedere!).
Esaminiamo la prima parte dell'affermazione di Portelli (Staron "senza apportare un solo fatto ma ripercorrendo castelli di congetture e illazioni di seconda mano, sostiene che i partigiani avrebbero dovuto sapere che ci sarebbe stata una rappresaglia"). Apriamo il libro di Staron e controlliamo se ciò risponde al vero (la sintesi delle pagine di Staron è già stata fatta nel primo vaglio, quindi mi scoccia molto doverla ripetere):
  • A p. 40 è citato il diario di Trabucco, da cui Staron apprende che Radio Roma annunciò sia la rappresaglia dieci a uno per l'uccisione di Gobbi a Firenze, sia la fucilazione di dieci ostaggi del 31 gennaio, a commento della quale Trabucco espresse la mesta quanto esatta previsione di cui si è gia detto.
  • A seguire sono citate rappresaglie dieci a uno avvenute "a metà febbraio" e "all'inizio di marzo". Le note rinviano una alla testimonianza dell'avvocato dei prigionieri Vinatzer al processo Kappler (la nota continua menzionando una dichiarazione dell'avvocato dei partigiani Gottardi su rappresaglie precedenti) e l'altra a un saggio storico. Quindi Staron scrive: "Dunque, al più tardi in quelle settimane la resistenza romana dovette prendere coscienza della problematica azioni armate-rappresaglie" (invece tale problematica, come dimostra questa voce a cui stai contribuendo ormai da anni, agitava la resistenza romana sin dall'autunno 1943: nella voce abbiamo documenti di Colorni, Montezemolo, Longo ecc. in cui si esprimono diverse posizioni; la stessa esistenza di un problema delle rappresaglie - è superfluo doverlo precisare - presuppone una previsione delle rappresaglie).
  • Sempre a p. 40 Staron menziona varie testimonianze al processo Kappler in merito a presunti avvisi tedeschi che avrebbero annunciato delle rappresaglie dieci a uno in caso di attentati. Lo storico aggiunge che nel dopoguerra non si è trovata traccia di tali avvisi e menziona testimonianze contrarie. Noi sappiamo (è scritto nella voce) che nel 1993 Bentivegna in persona affermò che "erano apparsi vari manifesti e avvisi che annunciavano che per ogni tedesco ucciso sarebbero stati fucilati dieci italiani"; dichiarazione che, se da un lato certamente non basta a dimostrare che tali manifesti effettivamente esistevano, dimostra che, almeno fino a una certa data, a Bentivegna non passava neanche per la mente di affermare che le rappresaglie fossero imprevedibili. Infatti nel 1994 disse esplicitamente: "sapevamo che queste azioni che noi portavamo a termine avrebbero potuto comportare delle rappresaglie". Più chiaro di così! E' anche questa un'"illazione di seconda mano"? O è almeno di prima mano? Portelli sembra un avvocato che, assunto l'incarico verso la fine di un lungo processo, cerca di impostare una certa linea difensiva, la quale è purtroppo largamente smentita dalle dichiarazioni rese fino a quel momento dai suoi stessi assistiti.
  • A p. 41 Staron scrive che anche all'interno del PCI "si era discusso in merito alle possibili rappresaglie" (che quindi erano previste). In nota è citata la deposizione di Amendola datata 17 giugno 1948: "Amendola ha ammesso che nel movimento di resistenza c'era piena consapevolezza del rischio di rappresaglie, ma che tale rischio era stato messo in conto".
Conclusione: non è vero che una rappresaglia fosse imprevedibile (risulta da diversi documenti che fu prevista; e - quel che più conta per noi - la prevedibilità è affermata dalla storiografia prevalente e anche in sede giudiziaria da un'ordinanza che Portelli - nelle parti che non lo contraddicono - ama citare) e non è vero che Staron non "apporta un solo fatto" per sostenerne la prevedibilità (ne apporta vari). La prima parte dell'affermazione di Portelli è dunque fattualmente non veritiera (e quindi la elimino, come a suo tempo fu fatto per l'affermazione di Pisanò). La seconda parte è una legittima opinione di Portelli (che peraltro condivido anch'io, visto che la prova che viene chiesta è in realtà una probatio diabolica, ma non mi interessa discuterne) e dunque, se la si ritiene tanto interessante, non mi oppongo a tenerla.
La recensione di Filippo Gonnelli invece è, nella parte che ci interessa, di qualità scarsissima e non solo per lo "scivolone" (che getta discredito su tutto il resto), ma anche per le critiche a Staron che contiene (che però probabilmente sono critiche mosse da Portelli). Se si fosse letto il libro di Staron (come pure sarebbe stato consigliabile, prima di inserire nella voce critiche tratte da blog e dalla prima recensione capitata a tiro) si saprebbe che in realtà la "tendenza, sostenuta da settori consistenti della intellettualità conservatrice tedesca (...) alla neutralizzazione, e quindi alla riconduzione sul piano della storia militare ordinaria, del ruolo della Wehrmacht", lungi dall'essere avallata dallo storico tedesco, è in realtà il suo principale bersaglio! Visto che si preferiscono le recensioni: ecco qui. Spero che ti procuri presto il volume recensito, così da poter eliminare il link a questa recensione, opera di uno studioso di filosofia che evidentemente non è preparato sulle Fosse Ardeatine e che conosce il libro di Staron solo per via della polemicuccia Galli della Loggia-Portelli.--Demiurgo (msg) 01:04, 13 gen 2017 (CET)[rispondi]
Intanto grazie per aver cercato una soluzione condivisa. In linea di massima concordo sull'affermazione che le fonti vadano lette prima di discuterle, e infatti talvolta ho polemizzato contro il malcostume di imbastire critiche globali di corposi volumi conosciuti solo attraverso citazioni sparse reperite tramite Google Books. Si presume che le recensioni, in quanto redatte da lettori professionali, siano più affidabili - anche se di fatto non sempre è così. Dato che siamo in due a lavorare alla pagina, penso che una certa divisione del lavoro sia fisiologica, per cui, se tu hai letto una fonte e io no, mi fido senz'altro del tuo parere. Non ho capito bene cosa intendi quando parli di probatio diabolica (chi dovrebbe darla, questa probatio, e di quale fatto?); comunque è tuo diritto non voler discutere della questione; lasciamo pure che a parlarne siano le fonti. Sulla "prevedibilità" della rappresaglia credo che la voce ormai sia abbastanza esaustiva e che non ci sia altro da dire. Concordo anche con la tua proposta di spostare il grosso della sezione nella voce ancillare. --Salvatore Talia (msg) 19:25, 13 gen 2017 (CET)[rispondi]
Intendo dire che chiedere di provare che i gappisti agirono con l'intenzione di provocare la rappresaglia equivale a chiedere di provare l'impossibile. La tesi della rappresaglia cercata non può essere provata in modo inoppugnabile (a meno che non dovesse spuntare fuori un documento in cui qualche dirigente del PCI abbia espresso tale intenzione). Comunque, sempre Staron nota che, nel suo articolo per il decimo anniversario del massacro, Amendola scrive che questo svolse una funzione positiva per la resistenza: "Quel sangue non fu versato invano. Tutti i popoli liberi trassero dal dolore e dallo sdegno suscitato dal massacro delle Fosse Ardeatine nuove energie per continuare la guerra fino alla vittoria. Gli italiani si unirono più strettamente alla Resistenza, e diedero ai partigiani un appoggio più vasto e più attivo". Dato che è pacifico che lo scopo del PCI era spezzare l'attesismo, non si può escludere (ma non si può nemmeno dimostrare) che la diffusione di dolore e sdegno capaci di fornire energie e adesioni alla lotta partigiana (che nella realtà non sembra essersi verificata, visto che la resistenza romana fu duramente indebolita dalla strage, che riuscì nel suo intento terroristico: altro che "destinata a restare segreta"!) fosse uno dei motivi che spinsero ad accettare il rischio di una brutale rappresaglia (perché IMHO non c'è dubbio che via Rasella presuppone, almeno da parte dei dirigenti del PCI, la previsione e l'accettazione del rischio di qualcosa di molto grosso in risposta).--Demiurgo (msg) 20:27, 13 gen 2017 (CET)[rispondi]

(rientro) Premesso che ora siamo in modalità “quattro chiacchiere in talk”, devo dire che non condivido molto questo approccio del “non si può escludere”, che pure si trova in alcune fonti. Secondo me onus probandi incumbit ei qui dicit. Se la prova manca o è insufficiente, la tesi si dovrebbe ritenere non dimostrata. Un complottista particolarmente folle Qualcuno potrebbe, ad esempio, affermare che la bomba sia stata fatta esplodere appositamente per uccidere Piero Zuccheretti. Anche questa "ipotesi" non si può dimostrare, ma non si può nemmeno escludere.
È comunque vero che nel dopoguerra, le varie teorie del complotto sono state alimentate anche da alcune ambiguità e reticenze da parte dei comunisti stessi circa finalità e metodi della loro lotta partigiana. La monografia di Santo Peli uscita nel 2014, che si basa su una ricerca approfondita delle fonti d'archivio, consente ora di ricostruire con una certa precisione l'ideologia sottesa alle azioni gappiste. Scrive Peli: «L'interpretazione della situazione politica e sociale che sorregge questa strategia è radicata nella stessa storia del Partito, e può essere schematicamente ricondotta a un paio di capisaldi che verranno tenuti fermi durante tutta la guerra di Liberazione: le masse, in particolare la classe operaia del Nord, hanno un grande potenziale di lotta, che solo la guida e l'esempio del Partito comunista è in grado di attivare; compito prioritario del Partito è quello di dare esempi e strumenti di organizzazione a questo potenziale di lotta. - La combattività delle masse, la disponibilità alla lotta costituiscono verità assiomatiche e indiscutibili, accompagnate però dalla consapevolezza che senza l'intervento attivo di una sparuta avanguardia determinata ad assumere rischi e sacrifici, a mettere in gioco la vita, prevarranno l'arrendevolezza, la scelta del male minore, la rassegnazione o l'attesa compromissoria. Trasformare la presente passività delle masse in una combattività dispiegata: questo il compito storico del Partito, questa l'irripetibile occasione che solamente esempi concreti di lotta potranno rendere realtà» (pp. 16-7, corsivo mio).
Ad una lettura senza preconcetti, anche documenti come la lettera di Longo, o ciò che ci è stato tramandato delle lezioni di Gesmundo, appaiono del tutto congruenti con quanto scrive Peli nel passo che ho citato. Persino un articolo francamente propagandistico come quello di Pasquale Balsamo del 5 giugno '48 (citato qui), inattendibile per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti, è interessante come documento di quella stessa ideologia, di cui l'accenno alla cittadinanza che entra «a dar spontaneamente man forte» ai gappisti si può considerare come un'espressione ingenua.
Rilevo che Portelli e Staron non sono i soli a lamentare l'eccesso di “dietrologia” connesso alle polemiche su via Rasella. Visto che siamo in tema di recensioni: Paolo Pezzino, nella sua al libro di Portelli (Le Fosse Ardeatine: un luogo della memoria?, in “Quaderni storici”, nuova serie, vol. 35, n. 103, gennaio 2000, pp. 232-50), in cui avanza contro Portelli le critiche che sappiamo e che sono estesamente riportate in voce, scrive però fra l'altro che «la contesa su via Rasella fin dall'inizio è andata oltre l'episodio specifico, per diventare una condanna o un'assoluzione in blocco della Resistenza, delle sue finalità, dei suoi obiettivi: in tal modo l'episodio in sé, e le voci dei protagonisti (…) sono rimasti quasi soffocate [sic] in una diatriba politica che ha rappresentato un esempio di uso (e abuso) pubblico della storia». A questo punto Pezzino aggiunge una nota in calce: «Un ulteriore esempio di tale atteggiamento è il libretto di A. BENZONI, E. BENZONI, Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella, Venezia 1999. La tesi del libro, essere stata via Rasella frutto di una strategia insurrezionale e avventurista del PCI, o meglio di una parte dei suoi componenti, merita di essere discussa, anche se non è certo nuova, ma è accompagnata da una pericolosa tendenza a sostituire la carenza, o la scarsa conoscenza, delle fonti storiche con congetture e ipotesi non verificabili» (corsivo mio).
Di passata, invito a meditare sul fatto che Pezzino, all'interno di una recensione a Portelli di diciannove pagine, liquida il «libretto» dei Benzoni in sei righe scarse di nota in calce in cui formula una critica durissima, fra le peggiori, IMHO, che si possano indirizzare a un testo storiografico. Quello stesso testo che invece, nella nostra voce, gode di molta, molta maggiore considerazione. --Salvatore Talia (msg) 20:49, 19 gen 2017 (CET)[rispondi]

Sì, però l'uccisione di Zuccheretti non si salda con l'obiettivo del PCI di spezzare l'attesismo. Anche Pezzino scrive che la rappresaglia fu «una delle conseguenze volute dai gappisti», per «costringere gli incerti a "scegliere"» (p. 244).--Demiurgo (msg) 22:26, 19 gen 2017 (CET)[rispondi]
Sempre Pezzino: "per quanto riguarda la polemica su via Rasella, a Roma, a me sembra evidente che l'attentato a via Rasella avesse come fine politico scuotere una popolazione romana fatta da borghesia o piccola borghesia che era estranea se non ostile alla resistenza; da questo punto di vista io reputo probabile che una rappresaglia - certamente non nelle modalità in cui è avvenuta, che nessuno poteva prevedere - fosse stata prevista dai gappisti, ed anzi era proprio quella che avrebbe dovuto far sì che effettivamente i romani passassero ad un sostegno più attivo alla resistenza" (Giovanni Contini, Gabriella Gribaudi, Paolo Pezzino, Revisionismo e ortodossia. Resistenza e guerra in Italia 1943-'45, in Quaderni storici, vol. XXXVII, 3, Bologna, Il Mulino, dicembre 2002, pp. 785-816: 799). Comunque, la modalità "quattro chiacchiere in talk" io la chiuderei qui.--Demiurgo (msg) 09:42, 20 gen 2017 (CET)[rispondi]

(rientro) Dunque, mi sono procurato i documenti principali della polemica Portelli – Galli della Loggia, ossia il libro di Staron e lo scritto di Portelli L'uso mitico della storia: varianti delle Fosse Ardeatine, raccolto in AA.VV., Vero e falso. L'uso politico della storia, Roma, Donzelli, 2008, pp. 173-8 (è una raccolta di interventi a un seminario svoltosi a Roma nel 2007).
Il libro di Staron sicuramente non merita di essere giudicato solo per le poche pagine oggetto della polemica. È un testo rigoroso e documentato, frutto di un lavoro di ricerca di prima mano; fra l'altro, Staron ha studiato nel dettaglio gli atti dei processi a Kesselring, Reder e Kappler, cosa che non mi risulta sia stata fatta da altri storici. Non è poi vero quanto ha scritto Gonnelli nella sua recensione: Staron non cerca affatto di sminuire le responsabilità della Wehrmacht e anzi (questo forse è il suo merito maggiore) critica apertamente e diffusamente il mito della “guerra pulita” diffuso nella Germania del dopoguerra. Per quanto riguarda noi, si tratta di una fonte che - come giustamente ha detto Demiurgo - merita di essere utilizzata di più, soprattutto nella voce in preparazione sui processi. La responsabilità della polemica, IMHO, è tutta di Galli della Loggia, che di un libro in generale importante e valido ha scelto di enfatizzare proprio e solo le pagine più deboli.
Quanto al breve scritto di Portelli, la parte che ora c'interessa (pp. 175-8) non è altro che la riedizione invariata della medesima lettera leggibile sul blog dell'autore. Portelli afferma che tale lettera, da lui spedita al “Corriere della Sera”, non gli risulta essere mai stata pubblicata dal quotidiano.
Vorrei ora commentare il seguente passo dello scritto di Portelli: «l’indizio più grave a carico dei partigiani, che Staron cita acriticamente da Benzoni, è avere scelto di agire in quella data "anche perché a Via Tasso e a Regina Coeli in quel momento non c’erano comunisti".» Qui Portelli cita Staron, che a sua volta cita i Benzoni.
La situazione testuale, però, è un po' più complessa di come la riassume Portelli. E difatti:

  • i Benzoni scrivono, a p. 92: «Se la dirigenza comunista non opera per trasformare la strage in vantaggio, essa la contempla con pressoché totale indifferenza come se si trattasse di un costo tutto sommato sopportabile. - Sopportabile, per dirla brutalmente, anche perché a via Tasso e a Regina Coeli, ci sono gli altri». A questo punto i Benzoni inseriscono la seguente nota in calce: «Con questo non vogliamo dire che il PCI non abbia avuto le sue vittime nella resistenza romana (basti pensare a Labò, ma anche a Rattoppatore, Gesmundo, Mattei...); ci limitiamo a osservare l'ovvio. Tra i massacrati delle Ardeatine i militanti noti del PCI si contano sulle dita di una sola mano». (Non c'interessa ora chiederci cosa intendano i due autori parlando di “militanti noti” di un partito che, a quell'epoca, era in clandestinità da diciassette anni; comunque si capisce che, per loro, il commissario politico Gesmundo e alcune decine di altri comunisti non potevano certo essere sufficienti, e che alle Ardeatine avrebbero dovuto morire come minimo Terracini o Di Vittorio per fare contenti i Benzoni).
  • Staron, a p. 44, dopo aver respinto come troppo dietrologica la teoria del complotto di Pierangelo Maurizio, prosegue citando (un po' liberamente, come vedremo) il passo dei Benzoni che ho riportato qui sopra. Staron: «Alberto ed Elisa Benzoni preferiscono piuttosto parlare del massacro come di un prezzo da pagare, un prezzo “tutto sommato sopportabile, per dirla brutalmente, anche perché a via Tasso e a Regina Coeli” in quel momento non c'erano comunisti». La citazione virgolettata di Staron dai Benzoni si interrompe subito dopo la parola «Coeli». Solo che - facendosi forse suggestionare dalla teatralità di quel «ci sono gli altri» preceduto dalla virgola - Staron non vede la nota in calce; e così non si accorge che i Benzoni in realtà non dicono che «non c'erano comunisti», bensì che quelli «noti» erano pochi. Un'asserzione dei Benzoni già molto discutibile diventa così, nel testo di Staron, un'affermazione de plano falsa, operata per di più con quella che, se non fossimo certi della buona fede dello storico tedesco, apparirebbe come una vistosa manipolazione testuale.
  • A ben vedere, poi, la critica di Staron a Maurizio appare un po' come una pezza peggiore del buco: cioè non è lui, Staron, che con tutto il fior fiore di letteratura disponibile, si è andato a scegliere proprio la fonte più infida; no, siamo noi italiani ad avere una «inclinazione […] per la “dietrologia”, che induce a scorgere dietro ogni evento complotti segreti e poteri oscuri»! Spiace veramente che Staron non abbia riservato più attenzione a studiosi italiani, anche molto critici coi GAP, ma seri, come Aurelio Lepre o Paolo Pezzino, anziché correre dietro alle elucubrazioni dei Benzoni o ai deliri di certe teorie del complotto; il suo libro ci avrebbe guadagnato, e noi ci saremmo risparmiati l'incombenza di dover dare atto della «polemicuccia» fra Galli della Loggia e Portelli. Cosa che però non possiamo esimerci dal fare, data l'importanza dei nomi coinvolti. --Salvatore Talia (msg) 20:07, 1 feb 2017 (CET)[rispondi]
Ho preferito cancellare il riferimento, nel mio intervento qui sopra (19 gennaio), al "complottista particolarmente folle". Quando ho scritto tali parole pensavo a un'ipotesi per assurdo. Solo ora invece, leggendo Via Rasella, cinquant'anni di menzogne di Pierangelo Maurizio (Roma 1996), scopro che Maurizio sembra davvero suggerire che Zuccheretti sia stato ucciso dolosamente. Ecco il brano, ed. cit., p. 118: «Mi sono convinto, non chiedetemi più "prove" [per carità! Ma Le pare, dott. Maurizio? S.T.], che Piero Zuccheretti, il bambino dilaniato dalla bomba, non si trovasse per caso in via Rasella. Me lo fa pensare un labilissimo indizio: abitava nella stessa zona (Porta Cavalleggeri) dove viveva Giovanni Tanzini, il partigiano di Bandiera Rossa catturato a via Rasella. E una deduzione più corposa: difficilmente si sarebbero occultate in tutto questo tempo anche la presenza e la morte di un bambino di 13 anni, se il suo ricordo non avesse potuto portare facilmente all'infame trappola tesa a quelli di Bandiera Rossa». - Bisogna ammettere che il ragionamento non è facilissimo da seguire: l'attentato fu fatto per colpire i partigiani di Bandiera Rossa; Zuccheretti abitava "nella stessa zona" di un partigiano di Bandiera Rossa; per questo si trovava in via Rasella e rimase ucciso dalla bomba; ma il ricordo di Zuccheretti avrebbe potuto "portare facilmente all'infame trappola", quindi la sua morte fu occultata. Come sempre in Maurizio, le prove del complotto non si trovano perché sono state fatte sparire, e ciò appunto dimostra che c'è stato un complotto. Ma, per quanto curioso sia tale modo di ragionare, non lo definirei affatto "folle", e non vorrei che l'espressione che ho cancellato venisse interpretata come un'allusione al libro di Maurizio (che in realtà non avevo ancora letto). --Salvatore Talia (msg) 18:35, 1 ott 2017 (CEST)[rispondi]

Box sulle rappresaglie "dieci a uno" modifica

Mi riallaccio alla discussione qui sopra con [@ Caarl 95] e [@ Demiurgo], riportando qui di seguito alcuni stralci dal libro di Carlo Gentile che possono forse risultare utili. Cito dall'ebook, quindi non sono in grado di indicare i numeri di pagina. Mi scuso inoltre per l'ampiezza delle citazioni, ma essendo il testo piuttosto denso ho pensato fosse meglio citare in modo esteso anziché riassumere.

Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia, Einaudi 2015, cap. II, par. 5.3
Il quadro degli ordini in vigore nella fase iniziale dell'occupazione era disomogeneo e contraddittorio. (…)
La situazione giuridica delle retrovie (...) continuò a differire in modo totale da quella delle zone di operazioni dove agiva la Wehrmacht. (…)
Il fatto che nell'Italia occupata fosse introdotto e mantenuto il codice penale militare tedesco (a differenza di quanto accaduto invece nei teatri di guerra dell'Europa orientale e sudorientale, dove la giurisdizione militare nei confronti della popolazione civile era stata abrogata, aprendo così la strada a ogni sorta di arbitrio) produsse paradossalmente risultati positivi. I reati contro le forze armate tedesche, o più in generale contro gli interessi della Germania, continuarono a ricadere sotto la giurisdizione dei tribunali militari, e le pene venivano comminate in base al codice penale militare e al cosiddetto “Decreto sulla giustizia penale speciale di guerra” del settembre 1939. Il 31 ottobre 1943 un ordine del comando supremo della Wehrmacht (OKW) stabilì che sotto la giurisdizione del generale plenipotenziario i procedimenti penali a carico di cittadini italiani erano in linea di principio di competenza dei tribunali militari ordinari dei comandi militari territoriali. Le corti marziali straordinarie [Standgerichte] sarebbero dovute intervenire solo in casi eccezionali. (…)
Al fronte la situazione era del tutto diversa. Qui le truppe reagivano in modo molto più duro agli attacchi e agli episodi di resistenza. Di norma si procedeva immediatamente a misure di rappresaglia collettive, fucilazioni o impiccagioni di civili, ed era piuttosto raro che la messa a morte fosse preceduta da un processo. Fra le truppe combattenti erano in vigore rudimentali procedure giuridiche applicate dalle Standgerichte, le corti marziali straordinarie (…).
Una delle ragioni di quegli sviluppi era senza dubbio legata al fatto che nella zona di combattimento erano in vigore disposizioni adottate nell'ambito della guerra sul fronte orientale. Le truppe tedesche avevano applicato quel codice di condotta anche all'Italia, senza adattarlo alle nuove condizioni di impiego. Si trattava in particolare delle disposizioni emanate nel novembre 1942 note come “Kampfanweisung für die Bandenbekämpfung im Osten” (Direttiva operativa per la lotta alle bande sul fronte orientale), al cui interno venivano definite le tattiche e le “regole di ingaggio” per le truppe tedesche in azione contro i partigiani e l'ordine del Führer sulla “Bandenbekämpfung” del dicembre 1942 che faceva da preambolo alla direttiva. I documenti sono entrambi ben noti: essi concedevano ampi poteri ai soldati e permettevano l'uccisione immediata e senza alcuna formalità giuridica di partigiani e civili sospettati di appoggiarli sulla base di un ordine emanato da un qualsiasi ufficiale sul posto e senza porre limitazioni di sorta alla violenza da usare anche “contro donne e bambini”.
Con l'avvio dell'occupazione quelle disposizioni entrarono in vigore anche in Italia ai primi segnali di resistenza e consentirono di dare una giustificazione formale ai peggiori eccessi commessi dalle truppe tedesche impegnate nella lotta contro i partigiani. Nell'autunno del 1943 l'applicazione di quelle disposizioni condusse a fucilazioni di massa e massacri nel Sud del paese. Stando a un appunto dello stato maggiore della Wehrmacht datato febbraio 1944, sotto la giurisdizione dell'OB-Südwest venivano applicate le seguenti “misure di rappresaglia”: fucilazioni e impiccagioni, distruzione di abitazioni, pene pecuniarie, pene disciplinari, pene detentive, chiusura forzata dei locali pubblici o anticipazione del coprifuoco. (…)
La presa di ostaggi, in compenso, non era oggetto di una regolamentazione del tutto chiara. Nei territori occupati, in determinate circostanze, era consentito secondo il diritto bellico internazionale prendere ostaggi tra la popolazione come misura precauzionale ed eventualmente passare per le armi a titolo di rappresaglia a ogni attacco o azione di sabotaggio ai danni delle forze armate occupanti. Dal momento che la Repubblica sociale era formalmente alleata con il Reich, in Italia la presa di ostaggi da parte tedesca a scopo di rappresaglia era per definizione una pratica illegale. (…)
Molte unità continuarono a prendere e talvolta a fucilare ostaggi nel senso tradizionale del termine ma in generale in Italia erano considerati ostaggi le persone detenute per reati politici e comuni nelle prigioni, o gli ebrei, come nel caso delle Fosse Ardeatine. Queste persone venivano denominate Sühnegefangene, un termine di non facile traduzione, ma che si può rendere con l'espressione “prigionieri di rappresaglia”. Avevano la stessa funzione degli ostaggi propriamente detti: la loro messa a morte in azioni esemplari, di monito e di intimidazione verso la popolazione e i partigiani.
Sühnegefangene, ad esempio, furono fucilati alle Fosse Ardeatine, al Passo del Turchino, a Cibeno di Fossoli e in innumerevoli altre esecuzioni sommarie. In pratica in quei mesi chiunque si trovasse in carcere a disposizione delle autorità di occupazione o di quelle fasciste era passibile di essere messo a morte. Sul piano politico, però, la questione degli ostaggi era delicata e controversa. Non per nulla i comandi suggerivano che, per evitare “reazioni di compassione politicamente nocive tra la popolazione civile”, prima di giustiziare i prigionieri fosse necessario provvedere, almeno “pro forma”, a “condannarli a morte per favoreggiamento delle bande, diserzione ecc.”.
È un errore ancora molto diffuso l'accettare che siano esistite nell'Italia occupata disposizioni che imponessero un numero preciso di ostaggi da fucilare nelle rappresaglie. Il ricorrente rapporto di dieci a uno – o qualsiasi altro rapporto – non compare in nessuna delle numerose disposizioni emesse dai comandi tedeschi. Decidere di volta come e in che proporzione procedere a misure di rappresaglia spettava nelle retrovie ai comandi locali, in particolare alla Sicherheitspolizei e ai comandi militari territoriali, e nella zona di operazioni ai comandi militari operativi di armata, corpo d'armata e divisione che stabilivano caso per caso la quota di rappresaglia da applicare. In Italia settentrionale era stato raggiunto un compromesso di principio tra il generale Toussaint e la Sicherheitspolizei già sul finire di gennaio del 1944, assegnando a quest'ultima la competenza e la responsabilità per l'attuazione delle “misure di rappresaglia in caso di atti di sabotaggio e azioni ostili”. In definitiva però, come confermano varie fonti, i rappresentanti dei vari organi tedeschi e della RSI erano coinvolti nel processo decisionale che precedeva l'autorizzazione delle rappresaglie e la decisione era in genere collegiale. (…)
Nel tentativo di stabilire la quota corretta di persone da passare per le armi in caso di rappresaglia ci si ispirava spesso alla proporzione del dieci a uno, ma le eccezioni (…) furono in tutto il periodo di occupazione assai numerose. Un esempio: quando il 23 marzo 1944, il giorno dell'attentato di via Rasella a Roma, i partigiani uccisero un maresciallo tedesco nella zona di operazioni della 10a armata, il generale Von Vietinghoff-Scheel si rivolse al comando dell'OB Südwest chiedendo se il numero corretto di italiani da fucilare per rappresaglia fosse 30 o 15. Il capo di stato maggiore del feldmaresciallo Kesselring, generale Westphal, rispose che a suo avviso era opportuno “fucilare 5 uomini e deportarne 25. Stando a quanto accaduto oggi [l'attentato di via Rasella], le consiglierei di far fucilare 10 uomini. In casi come questo sono comunque le singole armate a decidere”.
Il coefficiente poteva venire alterato in entrambi i sensi, per eccesso o per difetto. Nelle prime fasi dell'occupazione, quantomeno, non si riscontra affatto un automatismo fra azione partigiana e rappresaglia in forma di uccisione di ostaggio o Sühnegefangene. Nella pratica, inoltre, le rappresaglie minacciate non sempre corrispondevano a quelle poi effettivamente eseguite. E tantomeno l'unica possibilità prevista dai regolamenti era la pena capitale: esisteva al contrario un ventaglio di contromisure di progressiva severità, e la morte, insieme alla deportazione e ai lavori forzati in Germania o all'internamento in un Lager, era solo una delle alternative più estreme. A seconda dei tempi e dei luoghi, le sanzioni generalmente adottate dai comandanti tedeschi erano quelle da essi considerate meno pesanti: la distruzione di abitazioni, la comminazione di pene pecuniarie, l'obbligo per gli abitanti di provvedere alla sorveglianza di possibili obiettivi di atti di sabotaggio, anticipo del coprifuoco, chiusura dei locali pubblici, divieto di mescere alcolici, sospensione della distribuzione di tabacchi.
Le reazioni più violente erano quelle che facevano seguito ad azioni ostili con esito fatale, soprattutto quando le vittime erano state numerose oppure tra i caduti c'erano ufficiali tedeschi o funzionari del partito fascista. Un breve esempio ci aiuta a chiarire questo punto. In caso di attentati dinamitardi, almeno in un primo tempo, ci si accontentò di imporre pene pecuniarie e mettere una taglia sulla testa dei colpevoli. Questo è ciò che avvenne a Bologna a metà del dicembre 1943. A fine dicembre ci fu un secondo attentato. A questo punto i controlli si fecero più rigidi e la libertà di movimento fu sottoposta a limitazioni. Ma quando a fine gennaio del 1944 venne ucciso il segretario del Partito fascista, un tribunale speciale della RSI condannò a morte e giustiziò per rappresaglia otto antifascisti già detenuti nelle carceri della Repubblica sociale. La tendenza a rispondere con ritorsioni sempre più cruente si affermò soprattutto a partire dalla primavera del 1944 e contribuì a esacerbare ulteriormente l'escalation della violenza.

Accade qui una cosa strana, che è stata già notata da Demiurgo nel primo vaglio.
Il box sulle rappresaglie "dieci a uno" cita due autori: Friedrich Andrae e Carlo Gentile.
Andrae scrive che la pratica di fucilare dieci prigionieri per ogni soldato tedesco caduto «corrisponde all'uso nei territori di competenza del comandante in capo del fronte sud-ovest», e in nota precisa: «Per esempio l'ordinanza sulle misure di ritorsione per gli atti di sabotaggio: KTB 5/AOK 10, RH 20-10/106».
Di Carlo Gentile citiamo invece un passaggio che è ricompreso nell'ampio estratto che ho ricopiato qui sopra. Queste pagine di Gentile, come si è visto, a un certo punto riportano una comunicazione del generale Westphal al generale Von Vietinghoff-Scheel datata 23 marzo 1944 (lo stesso giorno dell'attentato di via Rasella), in cui Westphal dice: «Stando a quanto accaduto oggi, le consiglierei di far fucilare 10 uomini. In casi come questo sono comunque le singole armate a decidere». In nota, a proposito di questo documento, Gentile fornisce la seguente indicazione archivistica: «BA-MA, RH 20-10/106, Anlageband zu KTB 5, 21 marzo – 31 marzo 1944, Anl. 954, verbale di un colloquio telefonico tra il Gen.Lt. Westphal e il Gen. Ob. Von Vietinghoff-Scheel, 23 marzo 1944.»
Il riferimento archivistico di Gentile è stranamente molto simile a quello di Andrae. È possibile che si tratti dello stesso documento? Ma, stando a Gentile, non si tratta affatto di un'ordinanza, bensì del verbale di una telefonata che si riferisce a un singolo caso concreto, per di più successivo (anche se di pochissimo) all'attentato di via Rasella. È allora possibile che Andrae sia incorso in una svista, citando un documento per un altro?
Inoltre Gentile scrive: «È un errore ancora molto diffuso l'accettare che siano esistite nell'Italia occupata disposizioni che imponessero un numero preciso di ostaggi da fucilare nelle rappresaglie. Il ricorrente rapporto di dieci a uno – o qualsiasi altro rapporto – non compare in nessuna delle numerose disposizioni emesse dai comandi tedeschi», contraddicendo così direttamente Andrae la cui «ordinanza sulle misure di ritorsione per gli atti di sabotaggio» rimane alquanto avvolta nel mistero.--Salvatore Talia (msg) 19:59, 13 feb 2017 (CET)[rispondi]

Per svelare il mistero bisognerebbe trasformarsi in ricercatori e andare a controllare al Bundesarchiv-Militärarchiv (BA-MA) di Friburgo in Brisgovia, cosa che in quanto semplici wikipediani possiamo tranquillamente esimerci dal fare :-) . Potrebbe anche trattarsi di un errore nella traduzione in italiano dell'opera di Andrae. Comunque, sia Andrae che Gentile affermano che il fissare in dieci il numero di prigionieri per ogni soldato ucciso era una prassi (banalmente dovuta al fatto che dieci è cifra tonda). Sappiamo che tale prassi era precedente alle Fosse Ardeatine (e imitata anche dai fascisti, sempre preoccupati di non essere presi sul serio quanto i tedeschi: vedi l'annuncio della già citata rappresaglia per l'uccisione di Gino Gobbi a Firenze). Niente di quanto scrive Gentile può essere utilizzato per sostenere che il 23 marzo 1944 si poteva effettuare un attentato delle dimensioni di via Rasella senza aspettarsi una rappresaglia durissima.--Demiurgo (msg) 19:17, 15 feb 2017 (CET)[rispondi]
Non è la stessa fonte. BAMA sta per "Bundesarchiv-Militärarchiv", RH per Reich-Heer, poi ci sono i numeri: 20-10 sta a significare che il documento viene dal comando supremo (20) della decima armata (10). Il 106 sta invece a indicare il numero dell'unità militare che ha prodotto il documento, ma le mie fonti non mi permettono di stabilire qual è. Quindi ci sono molti documenti BAMA RH 20-10/106. La differenza fra l'uno e l'altro documento sta nella descrizione successiva.--Presbite (msg) 00:20, 16 feb 2017 (CET)[rispondi]
In Andrae troviamo la dicitura «KTB 5», mentre Gentile precisa «Anlageband zu KTB 5». KTB sta per Kriegstagebuch, ossia diario di guerra. Gentile è molto più preciso ed esauriente, mentre lascia perplessi il fatto che Andrae abbia circostanziato in modo apparentemente così vago ed elusivo («per esempio»...) un'affermazione impegnativa come la sua. --Salvatore Talia (msg) 20:11, 16 feb 2017 (CET)[rispondi]

Stato dei lavori modifica

Il lavoro su questa voce è quasi finito, mancano solo piccole modifiche relative alla sezione sull'esecuzione, la riduzione delle sezioni per cui esistono (o dovranno essere create) delle corrispondenti voci di approfondimento, qualche piccola aggiunta al box sulle rappresaglie 10 a 1. Vorrei inoltre menzionare, nella sezione sull'accusa della mancata presentazione, la vicenda di Massimo De Massimi, il quale sostenne di aver ospitato alcuni gappisti a casa sua la sera del 23 marzo e di averli invitati a presentarsi (se ne parla qui e qui). [@ Salvatore Talia] Cosa scrive Portelli in proposito?

Fatto questo, passerei alla voce sui processi, sviluppandola quel tanto che basta per permetterne la pubblicazione, cioè senza portarla al massimo grado di approfondimento (per la vetrina deve essere presentata la voce principale), altrimenti si potrebbe arrivare al punto di dover creare voci specifiche quantomeno per i tre processi più importanti (Kesselring, Kappler e Priebke).--Demiurgo (msg) 13:18, 28 apr 2017 (CEST)[rispondi]

Portelli sbriga la faccenda De Massimi in poche righe di una nota in calce. Qualche anno prima Bentivegna e De Simone ne avevano parlato più diffusamente. Ricopio qui di seguito i brani relativi delle due fonti.
Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito, Feltrinelli 2012, p. 438 (nota 58 al capitolo IX):
La storia più volte smentita e più sistematicamente ripresentata come vera e nuova (“Il Giornale”, 8.5.1996 e 9.5.1996), è quella dell'incontro fra il giovane monarchico Massimo De Massimi e un partigiano che gli avrebbe detto che non si erano presentati perché la loro vita valeva più di quella degli altri. Secondo Pisanò, Sangue chiama sangue, cit., pp. 94-95, questo episodio sarebbe avvenuto “la sera stessa dell'attentato” e il partigiano era Franco Calamandrei; secondo Pierangelo Maurizio, era Carla Capponi. L'episodio, di cui venne data notizia su “Oggi” nel 1948, fu smentito da De Massimi. Secondo Mario Fiorentini, lui e Lucia Ottobrini furono ospitati, in maggio e non in marzo, in una casa di proprietà del De Massimi; questi potrebbe avere costruito tutta la storia male interpretando qualche frase sull'obbligo di non presentarsi, detta forse non da Franco Calamandrei ma da Fernando Vitagliano (che allora aveva 18 anni).
Bentivegna – De Simone, Operazione via Rasella, Editori Riuniti 1996, pp. 110-1:

In un articolo apparso sul settimanale Oggi nel 1948, mentre infuriava la campagna elettorale, venne affermato che un tale Massimo Di Massimo [sic nel testo, S.T.] avrebbe ospitato a casa sua, nella notte fra il 23 e il 24 marzo '44, Franco Calamandrei, il comandante dei partigiani di via Rasella, e che discutendo con lui dell'attentato di poche ore prima Calamandrei avrebbe risposto, alla sua obiezione che se non si presentavano i tedeschi avrebbero fucilato degli innocenti, “non ci presenteremo mai, perché la nostra vita di rivoluzionari vale molto di più di quella degli altri”. In sostanza, Di Massimo testimoniava – secondo il settimanale – non solo che i gappisti erano a conoscenza della rappresaglia diverse ore prima che avvenisse, ma che cinicamente se ne infischiavano.
Più volte questa affermazione venne ripresa dalla stampa, che arrivò persino a “rivelare” che in realtà quel gappista che era a casa Di Massimo la sera del 23 non era altri che Bentivegna. Anzi no, si aggiunse poi, era Carlo Salinari. Ne nacque una polemica e una querela di Calamandrei per diffamazione tanto che Di Massimo, con una lettera al direttore di Oggi, pubblicata sul numero del 17 novembre 1949, rettificava:

Io non ho mai ospitato nella mia abitazione Rosario Bentivegna, che non ho mai conosciuto né visto di persona: le poche notizie sul suo conto mi vengono dalla stampa. Il colloquio riportato sul suo settimanale si svolse tra me e un tale Fernando... non conosco neppure il suo cognome, ma l'età del giovane mi fa escludere possa trattarsi del Salinari o del Calamandrei.

La verità era – e Oggi l'aveva letteralmente violentata – che a casa Di Massimo erano stati ospiti per una sera i gappisti Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini: ma non quel fatidico 23 marzo, bensì diverse settimane dopo, verso il 10 maggio. Malgrado ciò, questa che potremmo definire “la montatura Di Massimo” ogni tanto rispunta dai meandri del passato, non si sa come, quasi fosse un fungo dopo la pioggia. E il 10 aprile 1996, senza andare troppo per il sottile, l'ha fatta sua Il Giornale di Feltri, lanciandola come una rivelazione decisiva nella sua campagna a favore del boia Priebke sotto processo.
Secondo me la cosa migliore è parlarne nella voce sulle controversie, dove si potranno citare diffusamente tutte le fonti al riguardo. Sono anche favorevole a scorporare dalla voce principale la sezione sulla teoria del complotto. In generale terrei nella voce principale solo le questioni dotate di una certa dignità storiografica. Tempo fa mi espressi diversamente, ma ora, re melius perpensa, ho cambiato idea: penso che, liberandola dalle polemiche di marca esclusivamente giornalistica, la qualità scientifica della voce ne guadagnerebbe. Penso anche che sarebbe opportuno qualche ritocco alla sezione sul contesto storico; ma di questo mi riservo di parlare più avanti. --Salvatore Talia (msg) 23:40, 28 apr 2017 (CEST)[rispondi]
Grazie per le trascrizioni. Avevo intenzione di inserire un breve cenno, ma parlarne nella voce sulle controversie mi sembra un'idea migliore.--Demiurgo (msg) 13:10, 29 apr 2017 (CEST)[rispondi]
E se scorporassimo ora la sezione sulla storiografia facendone una voce a sé stante? Anche perché questo ci permetterebbe di rimpolpare la voce sulle controversie senza incorrere in imminenti problemi di troppa pesantezza della pagina. Eventualmente, lo fai fare a me lo scorporo? Dai, ché mi fa curriculum... --Salvatore Talia (msg) 20:06, 7 mag 2017 (CEST)[rispondi]
Secondo me è ancora prematuro come scorporo e possibilmente lo eviterei, visto il già alto numero di voci di approfondimento. IMHO entro i 180 kb il peso è accettabile (i limiti attuali sono stati stabiliti quando il caricamento era molto più lento).--Demiurgo (msg) 19:40, 9 mag 2017 (CEST)[rispondi]
[@ Salvatore Talia] A questo punto credo che supereremo certamente i 180 kb, quindi tanto vale scorporare ora. Procedi quando vuoi.--Demiurgo (msg) 12:47, 9 giu 2017 (CEST)[rispondi]
OK grazie, ora come ora sono un po' impegnato in RL, ma provvederò nei prossimi giorni. --Salvatore Talia (msg) 19:20, 13 giu 2017 (CEST)[rispondi]
  Fatto, ecque qua. --Salvatore Talia (msg) 20:09, 15 giu 2017 (CEST)[rispondi]
Ottimo, grazie. Io però la collegherei solo alla voce principale (senza farne un approfondimento dell'approfondimento). Quindi eliminerei il paragrafo "Storiografia" dalla voce sulle controversie.--Demiurgo (msg) 20:16, 15 giu 2017 (CEST)[rispondi]
Procedi pure in questo senso. Però più avanti, secondo me, dovremmo pensare a come dare maggiore evidenza nella voce principale ai rinvii alle pagine di approfondimento. Idealmente, IMHO, ogni rinvio dovrebbe stare all'interno di una sezioncina di poche righe che riassume all'osso il contenuto della voce ancillare. --Salvatore Talia (msg) 20:39, 15 giu 2017 (CEST)[rispondi]
Certo. Potremmo anche scrivere un'unica sezioncina per controversie e storiografia. Devo dire che non mi piace molto questa sezione: riporta l'opinione di un solo storico (anche se è De Felice) ed è IMHO troppo elencativa. Con il tuo consenso la eliminerei del tutto.--Demiurgo (msg) 20:49, 15 giu 2017 (CEST)[rispondi]
  Fatto --Salvatore Talia (msg) 13:02, 16 giu 2017 (CEST)[rispondi]

Legislazione/decretazione successiva modifica

[@ Salvatore Talia] Rispondo in merito a questa richiesta di chiarimento. La fonte è: Franco Cipriani, Piero Calamandrei e la procedura civile. Miti Leggende Interpretazioni Documenti, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009 [2007] (che ho intenzione di usare nella voce sui processi in preparazione; vorrei evitare di inserire note negli incipit). All'interno del capitolo dedicato a via Rasella e Fosse Ardeatine, dopo aver scritto dell'esito del processo civile, a p. 485 Cipriani scrive: «L'assoluzione, dunque, fu possibile solo grazie alla legislazione successiva al fatto». Più avanti, a p. 488, a commento della sentenza della Cassazione penale che dichiarò abnorme l'ordinanza di archiviazione del gip Pacioni, si legge: «la Cassazione, però, richiamando la sua decisione del 1957, ha cassato senza rinvio perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato". Nella specie, però, la "legge" è tuttora rappresentata dal d.lgs.lgt 194/45». Le virgolette su "legge" mi hanno fatto pensare che per il decreto legislativo luogotenenziale, atto avente forza di legge e non legge, forse è più corretto parlare di "decretazione" che di "legislazione".--Demiurgo (msg) 14:59, 29 ago 2017 (CEST)[rispondi]

Cipriani può forse avere ragione per quanto concerne la sentenza penale del 1999, ma la sentenza civile di primo grado del 9 giugno 1950 e la sentenza delle Sezioni unite civili 19 luglio 1957, n. 3053 appaiono motivate in modo alquanto più complesso.
Nella motivazione della sentenza del '50 leggiamo fra l'altro: «può ricordarsi che, immediatamente dopo l'attentato e l'eccidio delle Fosse ardeatine, il Comitato centrale di liberazione nazionale, in un proclama diretto al popolo italiano, ebbe a riconoscere nel fatto di via Rasella “un atto di guerra di patrioti italiani”. La qualificazione soggettiva ed oggettiva attribuita a tale episodio dal supremo organo della resistenza, che, in quell'epoca e fino alla Costituzione, aveva assunto le redini della Nazione, inserendosi nella vita dello Stato come un organo di fatto, rimuove qualsiasi contestazione. A ciò si aggiunga che tale qualificazione ha avuto una convalida specifica da parte degli organi costituzionali dello Stato, allorché è stata concessa la pensione di guerra a coloro che ebbero a subire conseguenze dannose in dipendenza dell'attentato. Ma se, non ostante siffatti riconoscimenti, sussistesse ancora un dubbio sulla qualificazione da dare all'episodio di cui si tratta, basterebbe a dissolverlo il richiamo al decreto legisl. 12 aprile 1945 n. 194, il quale» ecc.
La motivazione della sentenza del '57 dice fra l'altro: «posto che l'attentato non fu ispirato da finalità personali, ma solo da quella di compiere un atto ostile verso le Forze armate della Germania, che era in istato di guerra con l'Italia dal 13 ottobre 1943 e che aveva instaurato una vera e propria occupazione militare bellica di gran parte del territorio nazionale; posto che il Governo legittimo italiano aveva incitato gli italiani delle zone soggette a quell'occupazione a ribellarsi all'occupante ed a compiere ogni possibile atto di sabotaggio e di ostilità, al fine di cooperare alla liberazione, per la quale combattevano, a fianco delle Nazioni unite, le forze regolari, non sembra che possa dubitarsi che si trattasse di un atto di guerra. - Lo ha confermato nel modo più solenne la successiva legislazione», ecc. Più avanti, la stessa sentenza: «ogni attacco contro i tedeschi, in qualsiasi parte del territorio nazionale, rispondeva agli incitamenti impartiti dal Governo legittimo e alle finalità politiche e militari da esso perseguite in unità d'intenti con le Forze alleate, e costituiva quindi un atto di guerra riferibile allo stesso Governo».
Perciò non sembra corretto dire, con Cipriani, che «L'assoluzione (...) fu possibile solo grazie alla legislazione successiva al fatto» (a parte il fatto che parlare di "assoluzione" in un processo civile è leggermente improprio). In realtà la sentenza del '50 motiva richiamandosi (anche) al proclama del CLN di poco successivo all'attentato, mentre la sentenza del '57 richiama (anche) gli incitamenti del Governo italiano legittimo precedenti l'attentato. Si direbbe che, per questi giudici, la «successiva legislazione» (in questo caso la distinzione fra leggi e decreti aventi forza di legge è speciosa) non abbia fatto altro che confermare la qualificazione dell'attentato come atto di guerra, un atto che però era già ontologicamente tale, prima ancora che tale legislazione venisse emanata.
Fra l'altro, il secondo dei due passaggi della sentenza del '57 che ho citato sopra («ogni attacco contro i tedeschi» ecc.) viene richiamato da Algardi 1973, p. 105: quindi non si può dire che l'interpretazione di Cipriani sia pacifica e inconcussa, dal momento che esiste almeno un altro autore che interpreta diversamente. L'interpretazione di Cipriani va sicuramente menzionata, ma secondo me non nell'incipit. --Salvatore Talia (msg) 23:02, 29 ago 2017 (CEST)[rispondi]
Quello che scrive Cipriani è di evidenza lampante: senza il riconoscimento giuridico dei partigiani come membri delle forze armate (operato dai decreti) non sarebbe stata possibile l'attribuzione dell'attentato allo Stato, dunque la base normativa di tutte le sentenze che stabiliscono che l'attentato fu un legittimo atto di guerra è rappresentata da quei decreti. La massima della sentenza del 1957 inizia con: "La lotta partigiana è stata considerata dalla legislazione italiana quale legittima attività di guerra". La massima ufficiale della sentenza del 1999 è lapidaria (la trovi su dejure):
"Il fatto commesso da un gruppo di partigiani in via Rasella a Roma il 23 marzo 1944 ai danni del battaglione di polizia tedesca occupante la città, per la qualità di chi lo commise, per l'obiettivo contro cui era diretto, e per la finalità che lo animava rientra, in tutta evidenza, nell'ambito di applicazione del d.lg.lt. 12 aprile 1945 n. 194, che considera azione di guerra ogni operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro tedeschi e fascisti nel periodo dell'occupazione nemica".
Veniamo subito alle fonti secondarie (che sono quelle che più ci interessano, pena il cadere in interpretazioni originali). Algardi a quanto scrivi richiama solo un passo della sentenza, ma (sempre da quanto hai scritto) pare che un'"interpretazione" che contraddirebbe quello che scrive Cipriani non ci sia (anche perché c'è ben poco da contraddire). Riporto nel cassetto di seguito quello che scrivono Giorgio Resta e Vicenzo Zeno-Zencovich.
Giorgio Resta, Vincenzo Zeno-Zencovich, Judicial "Truth" and Historical "Truth": The Case of the Ardeatine Caves Massacre, in Law and History Review, vol. 31, nº 4, novembre 2013, pp. 843-886, par. 6: The trials against the authors of the via Rasella attack, pp. 861 ss.

While there has never been any doubt concerning the criminal nature of the Ardeatine Caves massacre, there has been considerable controversy about the nature of the via Rasella attack, which led to the German reprisal.

This controversy exists across two different, yet connected, levels: historiographic and judicial. The historiographic debate has been occupied mostly with “revisionist” studies aimed at denying legitimacy to the resistance movement which in 1945 spearheaded the move towards a democratic and anti-Fascist republic. The judicial debate is related to the various lawsuits launched by relatives of the Italian victims of the via Rasella attack and of the Ardeatine Caves massacre.

The debate on this latter level started immediately after the war, even before the final decision had been rendered on the Kappler case. In 1949 the relatives of several of the Ardeatine Caves victims brought a civil suit against the actual perpetrators of the via Rasella attack, as well as against the leaders of the resistance movement in Rome who, purportedly, had authorized this attack. They argued that the partisan attack was not only unlawful, but also unreasonable, and indeed that it caused the German reprisal and the death of so many victims. The claim was highly emotional: on one side were the relatives of the innocent victims of the Nazi fury, and on the other side were the heroes of the resistance movement, many of whom were already members of the democratic Parliament, and one of whom (Sandro Pertini) would – many years later – become President of the Republic.

The basis for the claim was the statement contained in the 1948 Kappler case decision which had characterized the via Rasella attack as an illegitimate act of war committed by persons who could not be considered as belligerents. The commandos had operated despite the fact that the head of the Italian military forces, who was operating incognito in Rome, had repeatedly given instructions not to attack the German forces within the city, because this would lead – as it indeed actually did – to severe reprisals. The members of the commando unit and their political inciters had therefore acted in violation both of the Military Penal Code, and of the general principle of neminem laedere, through their reckless disregard for the foreseeable consequences of their action and its direct causal link with the Ardeatine Caves massacre.

The decision in the trial of first instance (Rome civil court, June 9 1950) rejected this claim on the basis that, after the war, members of the resistance had been assimilated to the Armed Forces. In particular the decision was grounded on Decree no. 194 of 1945 which stated that “The acts of sabotage, the requisitions, and every other action by the patriots in their fight against the Germans and the Fascists during the period of enemy occupation are considered war actions and therefore are not punishable at law. This provision applies to the military corps under the command of the National Liberation Committee and to all other citizens that have aided them or, under their order, participated in operations fostering their success.”

The judgment took into account the statement contained in the first Kappler decision that characterized the attack on via Rasella as an illegitimate act of war because it did not meet the criteria set by the 1907 Hague Convention. However the Court stated that while the Convention was binding with regards to the relationship between states, when it came on the other hand to domestic jurisdiction and controversies between private parties Italian law (and specifically Decree no.194/45) prevailed.

The decision also tried to separate clearly the legal sphere from that of historical or moral judgment. In particular, it stated that although the GAP groups (including the commandos in via Rasella) were distinguishable from other resistance groups by the terrorist character of their actions (“carattere anche terroristico delle organizzazioni ‘gappiste’”), it was not up to the court to establish whether these groups should have considered beforehand the consequences, namely German reprisals in response to their actions, and whether they should have surrendered to the Germans, acknowledging their responsibility, in order to attempt to avoid the reprisal.

This decision was upheld on appeal and by further judgment in the Court of Cassation. The latter, in its decision of July 19 1957, no. 3053, confirmed all of the reasoning of the judgment of first instance, stressing that from the point of view of domestic law, the via Rasella attack could not be considered an illegitimate act in violation of the (non-existent) status of Rome as an “open city.” The kind of attack carried out in via Rasella was, on the contrary, the only form of action possible, considering the disproportion between the might of the German army and the scarce number of resistance forces, ill-equipped and scarcely armed, with hardly any training and no logistical support. Therefore, the attack being a legitimate war action, there could be no responsibility for its consequences, which at any rate, had themselves been declared an illegal act of reprisal.

Nearly fifty years later, a new action – this time criminal – was brought against the surviving members of the via Rasella commando unit through a private criminal complaint (provided for under Italian law) filed by the relatives of the two Italian civilian accidental victims of the attack.

The judge to whom the inquiry had been entrusted set aside the claim on the basis that the attack was to be considered a patriotic act against the German occupation, and therefore fell within the exemption set by Decree no. 96 of 1944. However, before rendering the decision, the judge made further inquiries concerning the deaths of the two civilian victims. In particular he investigated one of the recurrent accusations against the commandos, viz. that they had planned the attack as part of a general strategy within the Italian Communist party to de-legitimize the National Liberation Committee – which had a much more cautious approach – by presenting it with a fait accompli.

In his decision, the judge ruled out consideration of the attack as a legitimate act of war falling under Decree no. 194 of 1945 (which had been the basis of the 1950 and 1957 decisions by the civil courts in the wrongful death cases). The attack was, instead, characterized as being of a terrorist nature and therefore not exempted from liability. However, like many other acts of violence committed in those times, it fell under the amnesty established by the aforementioned Decree no. 96 of 1944. The decision concluded by expressing a position similar to that found in the civil cases: “After all that has transpired, one could ask whether what happened on via Rasella on March 23 1994 was really necessary or even merely appropriate considering the foreseeability of a harsh German reprisal. These questions, which have been put insistently by the private parties, may legitimately enter an ethical, political and historical debate, but cannot have any legal relevance to this trial. Nor can the judge express his opinion on issues which do not pertain to the legal problem that is in front of him.”

This decision was appealed by members of the commando unit, who saw in it a rejection of the defining meaning of their lives. The decision was entirely reversed in terms of its reasoning by the Court of Cassation. The attack on via Rasella was a legitimate act of war – and not a terrorist attack – and therefore fell entirely within the provisions of Decree no. 194 of 1945. No legal consequence, whether civil or criminal, could therefore ensue from it.
Nell'incipit della voce si deve evidenziare che il ragionamento giuridico seguito dalle corti è stato questo: i partigiani facevano parte delle forze armate italiane (come stabilito dai decreti) - l'attentato è imputabile allo Stato italiano - l'attentato è legittimo nell'ordinamento giuridico italiano. Peraltro l'incipit non dice che la "decretazione" (termine che mi sembrava più preciso, ma sono d'accordo a ripristinare "legislazione") è stata "l'unica ratio decidendi", ma che essa rappresenta la base normativa delle decisioni (il che è indiscutibile). Per adesso cito Cipriani e Resta-Zeno Zencovich, in attesa di pubblicare la voce sui processi.--Demiurgo (msg) 09:20, 30 ago 2017 (CEST)[rispondi]

Stampa clandestina modifica

Segnalo che l'Istituto nazionale Ferruccio Parri ha creato un archivio online della stampa clandestina. Ai fini del presente lavoro, esso risulta utilissimo soprattutto per la voce sulle reazioni. Ho già trovato diverse pubblicazioni clandestine di cui conoscevo il contenuto solo indirettamente, come l'Unità del 30 marzo 1944, più altre che non conoscevo. Tra queste ultime, particolarmente interessante mi è sembrato il numero del 1º aprile del bollettino Osservazione politico-diplomatica, pubblicazione del Fronte Clandestino di Resistenza della Regia Aeronautica, in cui si interpreta l'attentato come "colpo preventivo" per togliere valore propagandistico all'atteso annuncio tedesco di una riduzione delle truppe a Roma.--Demiurgo (msg) 16:51, 28 nov 2017 (CET)[rispondi]

Conferenza di Barbero modifica

Se può interessare, sempre che non ne abbiate già parlato, segnalo questa conferenza di Alessandro Barbero sull'attentato di via Rasella e sui GAP a Roma--Riöttoso 16:55, 19 gen 2018 (CET)[rispondi]

Guarderò il video il prima possibile per controllare se aggiunge qualche elemento nuovo. Grazie,--Demiurgo (msg) 17:56, 19 gen 2018 (CET)[rispondi]

--Vespiacic (msg) 08:19, 20 mar 2018 (CET)[rispondi]