Discorso d'insediamento di Sandro Pertini

Il discorso d’insediamento di Sandro Pertini alla carica di Presidente della Repubblica Italiana fu pronunciato il 9 luglio 1978, subito dopo aver prestato giuramento di fronte al Parlamento in seduta comune.

Sandro Pertini giura fedeltà alla Costituzione, al suo fianco il Presidente della Camera, Pietro Ingrao

Lo statista ligure era stato eletto Presidente della Repubblica il giorno precedente, al 16º scrutinio, con 832 voti su 995, corrispondenti all'82,3% degli aventi diritto.

Eventi che precedettero l’insediamento di Sandro Pertini modifica

Sandro Pertini fu eletto Presidente della Repubblica in un periodo di profonda crisi istituzionale. Il 16 marzo 1978, in coincidenza con le dichiarazioni alle Camere del nuovo governo Andreotti, le Brigate Rosse avevano rapito il Presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana Aldo Moro, facendo strage degli uomini della scorta. Lo Stato non riuscì a salvare la vita dello statista democristiano, il cui corpo fu ritrovato cadavere il 9 maggio successivo, a Roma, in Via Caetani.

Nei giorni che seguirono, il Presidente della Repubblica in carica, Giovanni Leone, e i suoi familiari si trovarono al centro di violentissimi e insistenti attacchi, mossi soprattutto dal Partito Radicale di Marco Pannella e dal settimanale L'Espresso. Tali attacchi avevano ad oggetto presunte irregolarità commesse dal presidente e dai suoi familiari pubblicate nel libro Giovanni Leone: la carriera di un Presidente, scritto dalla giornalista Camilla Cederna, edito da Feltrinelli. La Democrazia Cristiana, il partito in cui Leone militava non seppe reagire[1] né consentì di reagire allo stesso Presidente della Repubblica. Il guardasigilli del quarto governo Andreotti, Francesco Paolo Bonifacio, più volte sollecitato dal Quirinale, infatti, rifiutò di accordare la necessaria autorizzazione a procedere penalmente contro l'autrice per oltraggio al Capo dello Stato. Inoltre, sia i comunisti che i democristiani decisero che un’intervista predisposta da Giovanni Leone per difendersi dalla accuse che montavano contro di lui, da diramare tramite l’ANSA, il 15 giugno 1978, non doveva essere pubblicata. Leone fu costretto a ritirarla e venne invitato dal PCI a rassegnare le dimissioni"[2]. Giovanni Leone si dimise da presidente della Repubblica lo stesso giorno, con effetto immediato[3][4]. Solo in seguito le accuse contro il presidente Leone si rivelarono infondate.

Le dimissioni decorsero 14 giorni prima dell'inizio del cosiddetto "semestre bianco", ossia il periodo durante il quale il presidente della Repubblica non può sciogliere anticipatamente le Camere[5] e con sei mesi e quindici giorni di anticipo rispetto alla scadenza del mandato. In questo clima, tuttavia, a partire dal 29 giugno 1978, le Camere in seduta comune procedettero all'ottava elezione del Capo dello Stato.

Al I scrutinio, i partiti maggiori votarono i loro candidati di bandiera: la Democrazia Cristiana Guido Gonella, il Partito Socialista Pietro Nenni e il Partito Comunista Giorgio Amendola. Al IV scrutinio, quando è sufficiente la metà più uno dei suffragi per risultare eletti, restò in corsa il solo Amendola, mentre democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani decisero di astenersi. Per alcuni scrutini, quindi, si assistette al deplorevole fenomeno che, per numero, gli astenuti superavano i votanti.

Il 2 luglio il segretario socialista Bettino Craxi propose ufficialmente Sandro Pertini alla DC, che rispose di indicare un nome proveniente dalle proprie schiere. Il 3 luglio i repubblicani candidarono Ugo La Malfa, senza successo. Il 3 luglio Craxi tornò alla carica con la DC per un Presidente socialista indicando altri due nomi (Antonio Giolitti e Giuliano Vassalli)[6].

Solo dopo quindici scrutini andati a vuoto, di cui dodici con la maggioranza dei parlamentari che si astenevano o votavano scheda bianca, la pressione dell'opinione pubblica spinse il segretario della DC, Benigno Zaccagnini ad accettare la candidatura di Sandro Pertini[6]. Su tale nome si accodano anche gli altri partiti del cosiddetto "fronte costituzionale" (PCI-PSDI-PRI e PLI) e il candidato socialista risultò eletto l'8 luglio 1978

Contenuto del discorso modifica

Il Presidente eletto si presentò alle Camere il 9 luglio 1978, giorno successivo alla sua elezione, per giurare solennemente fedeltà alla Repubblica italiana. Subito dopo pronunciò il suo discorso d’insediamento e andava in onda a reti unificate in RAI essendo pubblica, ma non andava in onda sui canali Fininvest, Telemontecarlo, TV Koper Capodistria, Euro TV, etc. perché sono privati.[7]

Espresse alti concetti, con esemplare semplicità e sobrietà di stile, ma facendo emozionare l’assemblea. Di seguito se ne riporta il contenuto.

In apertura, dopo aver fatto un breve sommario dei doveri del Presidente della Repubblica, Pertini esprime l’avviso che l’Italia debba farsi portatrice di pace nel mondo. Pronuncia, quindi, un appello ai governanti del mondo che resterà famoso.

« L'Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire. »

Il presidente prosegue invitando il paese alla concordia e all’Unità nazionale, auspicando il consolidamento della libertà e della fratellanza, in Italia e nel mondo.

« Dobbiamo operare perché, pur nel necessario e civile raffronto fra tutte le ideologie politiche, espressione di una vera democrazia, la concordia si realizzi nel nostro paese. Farò quanto mi sarà possibile, senza tuttavia mai valicare i poteri tassativamente prescrittimi dalla Costituzione, perché l'unità nazionale, di cui la mia elezione è un'espressione, si consolidi e si rafforzi. Questa unità è necessaria e, se per disavventura si spezzasse, giorni tristi attenderebbero il nostro paese. Questo diciamo, perché vogliamo la libertà, riconquistata dopo lunga e dura lotta, si consolidi nel nostro paese. E vada la nostra fraterna solidarietà a quanti in ogni parte del mondo sono iniquamente perseguitati per le loro idee. »

Dopo aver ricordato le lotte intraprese in gioventù, per la libertà e contro il fascismo, Pertini esprime il concetto secondo cui libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile.

«Certo noi abbiamo sempre considerato la libertà un bene prezioso, inalienabile. Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta, senza badare a rinunce per riconquistare la libertà perduta. Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata. Tuttavia essa diviene una fragile conquista e sarà pienamente goduta solo da una minoranza, se non riceverà il suo contenuto naturale che è la giustizia sociale. Ripeto quello che ho già detto in altre sedi: libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile, l'un termine presuppone l'altro: non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà, come non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale.»

Il Presidente prosegue ribadendo che lo Stato non deve cedere alla violenza, rendendo omaggio alla figura di Aldo Moro, che della violenza è stato vittima e riscuotendo numerosi e vivissimi applausi.

«Contro questa violenza nessun cedimento. Dobbiamo difendere la Repubblica con fermezza, costi quel che costi alla nostra persona. Siamo decisi avversari della violenza, perché siamo strenui difensori della democrazia e della vita di ogni cittadino. Ed alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un amico a noi tanto caro, di un uomo onesto, di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa Assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi.»

Nel discorso del neoeletto presidente non manca un omaggio alle forze armate, alla magistratura, ai connazionali all’estero e ai suoi predecessori nella carica. In particolare, cita Giovanni Leone, della cui attuale “amara solitudine” il presidente si rammarica.

«Invio alle forze armate il mio saluto caloroso. Il mio saluto deferente alla magistratura: dalla Corte costituzionale a tutti i magistrati ordinari e amministrativi cui incombe il peso prezioso e gravoso di difendere ed applicare le leggi dello Stato. Alle forze dell'ordine il mio saluto. Esse ogni giorno rischiano la propria vita per difendere la vita altrui. Ma devono essere meglio apprezzate ed avere condizioni economiche più dignitose. Vada il nostro riconoscente pensiero a tutti i connazionali che fuori delle nostre frontiere onorano l'Italia con il loro lavoro. Rendo omaggio a tutti i miei predecessori per l'opera da loro svolta nel supremo interesse del paese. Il mio saluto al senatore Giovanni Leone, che oggi vive in amara solitudine.»

Pertini prosegue, dettando quasi un programma politico alle forze parlamentari. Né tralascia di ricordare i principali problemi che l’Italia deve urgentemente risolvere: la disoccupazione, soprattutto giovanile, la casa, la salute, la crisi della scuola, la promozione della cultura e della ricerca scientifica.

«Bisogna sia assicurato il lavoro ad ogni cittadino. La disoccupazione è un male tremendo che porta anche alla disperazione. Questo, chi vi parla, può dire per personale esperienza acquisita quando in esilio ha dovuto fare l'operaio per vivere onestamente. La disoccupazione giovanile deve soprattutto preoccuparci, se non vogliamo che migliaia di giovani, privi di lavoro, diventino degli emarginati nella società, vadano alla deriva, e disperati, si facciano strumenti dei violenti o diventino succubi di corruttori senza scrupoli. Bisogna risolvere il problema della casa, perché ogni famiglia possa avere una dimora dignitosa, dove poter trovare un sereno riposo dopo una giornata di duro lavoro. Deve essere tutelata la salute di ogni cittadino, come prescrive la Costituzione. Anche la scuola conosce una crisi che deve essere superata. L'istruzione deve essere davvero universale, accessibile a tutti, ai ricchi di intelligenza e di volontà di studiare, ma poveri di mezzi. L'Italia ha bisogno di avanzare in tutti i campi del sapere, per reggere il confronto con le esigenze della nuova civiltà che si profila. Gli articoli della Carta costituzionale che si riferiscono all'insegnamento e alla promozione della cultura, della ricerca scientifica e tecnica, non possono essere disattesi.»

In ultimo, Pertini ricorda come "luminosi esempi" per la sua formazione politica i nomi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Giovanni Minzoni e di Antonio Gramsci, suo indimenticabile compagno di carcere.

«Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti coi quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza. Non posso non ricordare che la mia coscienza di uomo libero si è formata alla scuola del movimento operaio di Savona e che si è rinvigorita guardando sempre ai luminosi esempi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Minzoni e di Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di carcere. Ricordo questo con orgoglio, non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce, né in morale, né in politica.»

Il neoeletto Presidente conclude il suo discorso d’insediamento con il proposito di cessare di essere uomo di partito ma solo “il Presidente della Repubblica di tutti gli italiani, fratello a tutti nell'amore di patria e nell'aspirazione costante alla libertà e alla giustizia”.

Note modifica

  1. ^ M. Breda, Giovanni Leone e il complotto. Il PCI volle le mie dimissioni, ma fu la DC ad abbandonarmi, "Corriere della Sera", 2 novembre 2008
  2. ^ Santagostini Loris, Le dimissioni di Giovanni Leone nelle valutazioni della stampa e dell'opinione pubblica, Milano: Vita e Pensiero, Annali di storia moderna e contemporanea: 15, 2009, p. 39.
  3. ^ New York Times obituary, 10 novembre 2001
  4. ^ Guardian obituary, 12 novembre 2001.
  5. ^ Art. 88, comma 2, della Costituzione
  6. ^ a b Panorama, 15 aprile 2013
  7. ^ Testo completo del discorso

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica

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