Cerasti

abitanti di Amatunte (Cipro) nella mitologia greca

I Cerasti nella mitologia greco-latina erano gli abitanti di Amatunte (nell'isola di Cipro). Avevano la fronte munita di corna; uccidevano i forestieri e Venere li mutò in buoi[1]. Compaiono nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio, nel quale è Orfeo a raccontare la loro storia:

(LA)

«At si forte roges fecundam Amathunta metallis
an genuisse velit Propoetidas, abnuat aeque
atque illos, gemino quondam quibus aspera cornu
frons erat; unde etiam nomen traxere Cerastae.
Ante fores horum stabat Iovis Hospitis ara,
ignarus sceleris quam siquis sanguine tinctam
advena vidisset, mactatos crederet illic
lactantes vitulos Amathusiacasque bidentes.
Hospes erat caesus! Sacris offensa nefandis
pias suas urbes Ophiusiaque arva parabat
deserere alma Venus. "Sed quid loca grata, quid urbes
peccavere meae? quod" dixit "crimen in illis?
Exilio poenam potius gens inpia pendat,
vel nece vel siquid medium mortisque fugaeque.
Idque quid esse potest, nisi versae poena figurae?"
Dum dubitat quo mutet eos, ad cornua vultum
flexit, et admonita est haec illis posse relinqui,
grandiaque in torvos transformat membra iuvencos.»

(IT)

«Ma chiedi un po' ad Amatunte, città ricca di metalli, se sia contenta di aver dato i natali alle Propètidi. Direbbe di no, e altrettanto volentieri rinnegherebbe quei suoi antichi abitanti che avevano due corna dritte sulla fronte, per cui erano detti anche Cerasti. Davanti alla casa di costoro sorgeva un altare di Giove Ospitale. Il forestiero che, ignaro, lo vedeva macchiato di sangue, poteva credere che lì avessero sgozzato vitelli di latte o pecore del posto. Invece era qualche ospite scannato! Sdegnata per quegli empi sacrifici, perfino la grande Venere era sul punto di lasciare la sua Ofiusa [Cipro], città e campagne. "Però, - disse, - che hanno fatto di male questi cari luoghi, che hanno fatto di male le mie città? Che colpa ne hanno loro? Che sia piuttosto quest'empia stirpe a pagare il fio con l'esilio, o con la morte, o con qualcosa di mezzo tra morte e esilio. E questa pena, che altro può essere se non una trasformazione della loro figura?" Mentre è incerta in che cosa mutarli, lo sguardo cade sulle corna; comprende che queste possono rimanere, e trasforma le loro grandi membra in quelle di truci giovenchi[2]

Note modifica

  1. ^ P.B. Marzolla, p. 666.
  2. ^ P.B. Marzolla, p. 398.

Bibliografia modifica

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