Humanae vitae

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Humanae vitae
Lettera enciclica
Stemma di Papa Paolo VI
Pontefice Papa Paolo VI
Data 25 luglio 1968
Anno di pontificato VI
Traduzione del titolo Riguardo alla vita umana
Argomenti trattati Matrimonio e procreazione
Numero di pagine 10
Enciclica papale nº VII di VII
Enciclica precedente Sacerdotalis caelibatus
Enciclica successiva Redemptor hominis

La Humanae vitae è l'ultima enciclica scritta da papa Paolo VI e pubblicata il 25 luglio 1968: è volta a specificare la dottrina sul matrimonio così come definita dal Concilio Vaticano II.

Il documento ribadisce la connessione inscindibile tra il significato unitivo e quello procreativo dell'atto coniugale; dichiara anche l'illiceità di alcuni metodi per la regolazione della natalità (aborto, sterilizzazione, contraccezione) e approva quelli basati sul riconoscimento della fertilità.

Argomenti dell'enciclica modifica

 
L'enciclica Humanae vitae fu pubblicata il 25 luglio 1968 da papa Paolo VI

Paolo VI non poté mettere in disparte il problema e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento. Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell'ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò e perfezionò.

La decisione sul da farsi era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa in argomentazioni non strettamente legate alla dottrina. Tuttavia il Papa non mancò di sottolineare, davanti a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d'intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito.

Posizione della Chiesa sulla contraccezione modifica

Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della "pillola cattolica" (come venne soprannominata), ma tuttavia è da ricordare che una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l'utilizzo degli anticoncezionali andasse a violare la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa. Paolo VI appoggiò tale orientamento e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell'enciclica Casti connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l'utilizzo degli anticoncezionali di origine chimica o artificiale:

«Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. [...] In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione.»

Ma nella stessa, nel paragrafo Paternità responsabile, si dice:

«In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete.»

Questa decisione di papa Montini non riscosse grande favore e ci furono moltissime critiche. Nonostante tutto, Paolo VI non ritrattò mai neppure una parola dell'enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni:

«Noi portiamo il peso dell'umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l'uomo accetta di dissociare nell'amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo ‘una medicina’ diventa per l'uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell'amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all'amore e l'amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell'umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere.»

Mons. Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, affermò che la definizione da parte di un Pontefice è sempre associata alla ricerca del consenso della Chiesa e che «in pratica mai succede che venga definito un punto su cui nella Chiesa (di ogni tempo) non ci sia consenso».[1]

Quando era ancora Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla chiese a Paolo VI di applicare l'infallibilità papale in docendo all'enciclica, equiparandola all'autorità di un dogma. Paolo VI e Giovanni XXIII non lo fecero. Lo stesso Giovanni Paolo II dichiarò l'enciclica parte del Magistero ordinario e universale.[2]

Note modifica

  1. ^ Vitam ecclesiam, su cooperatores-veritatis.org. Note sulla Chiesa. Rivista diocesana di Venezia, dic. 1974, riportato in Il magistero di Albino Luciani, scritti e discorsi, Edizioni Messaggero pagg. 211/212
  2. ^ ACI Prensa, Reacting to pontifical academy, theologian says teaching of Humanae vitae can't change, su thebostonpilot.com, 9 agosto 2022.

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