Pretty v. Regno Unito

La sentenza Pretty v. Regno Unito (2346/02) (Pretty v. United Kingdom, in inglese) è stato un pronunciamento della Corte europea dei diritti dell'uomo del 2002.

Circostanze

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Diane Pretty era una donna affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), paralizzata dal collo in giù, con forti difficoltà a parlare e alimentata tramite un sondino[1]. Suicidarsi, nella legislazione inglese, non è un reato, ma la donna, a causa della malattia non era in grado di compiere un'azione simile senza assistenza. È invece un crimine aiutare un'altra persona a suicidarsi (secondo quanto stabilito nella sezione 2(1) del Suicide Act del 1961)[2].

La signora Pretty voleva che il marito la aiutasse nel suicidarsi, ma dato che questo aiuto avrebbe sottoposto il marito della donna alle citate conseguenze legali, la coppia chiese[3] al pubblico ministero locale (Director of Public Prosecutions) di non perseguire il marito[4]. La richiesta fu rifiutata[5], così come l'appello della donna[6] presso la successiva corte (Lords of Appeal in Ordinary anche noti come Law Lords)[7]

Giudizio

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Con un pronunciamento unanime, la Corte, composta da sette giudici, ha giudicato la richiesta della signora Pretty secondo gli articoli 2, 3, 8, 9 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo inammissibile[8], ma non ha riscontrato alcuna violazione della Convenzione[9].

Una delle conclusioni significative è che:

(EN)

«No right to die, whether at the hands of a third person or with the assistance of a public authority, can be derived from Article 2 of the Convention»

(IT)

«Nessun diritto a morire, per mano di un terzo o con l'assistenza della pubblica autorità, può essere tratto dall'Articolo 2 della Convenzione»

Per quanto riguarda il diritto della signora Pretty al rispetto della vita privata secondo l'articolo 8, la Corte ha considerato[11] che un'interferenza in questo caso può essere giustificata come "necessaria in una società democratica" per il rispetto dei diritti altrui[12].

Tale conclusione è stata ripresa nella sentenza della Corte di cassazione del 16 ottobre 2007, n. 21748, nel ricorso presentato dal sig. Beppino Englaro che ha cassato la decisione presa dalla Corte di appello di Milano riguardante la situazione della figlia Eluana Englaro:

«Né la configurabilità di un dovere dell'individuo alla salute, comportante il dovere del paziente di non rifiutare cure e terapie che consentano il mantenimento in vita, può ricavarsi dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 29 aprile 2002, nel caso Pretty c. Regno Unito. La Corte di Strasburgo afferma che l'art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali protegge il diritto alla vita, senza il quale il godimento di ciascuno degli altri diritti o libertà contenuto nella Convenzione diventa inutile, precisando che tale disposizione, per un verso, non può, senza che ne venga distorta la lettera, essere interpretata nel senso che essa attribuisca il diritto diametralmente opposto, cioè un diritto di morire, né, per l'altro verso, può creare un diritto di autodeterminazione nel senso di attribuire a un individuo la facoltà di scegliere la morte piuttosto che la vita. Siffatto principio – che il Collegio condivide pienamente e fa proprio – è utilizzato dalla Corte di Strasburgo non già per negare l'ammissibilità del rifiuto di cure da parte dell'interessato, ma per giudicare non lesivo del diritto alla vita il divieto penalmente sanzionato di suicidio assistito previsto dalla legislazione nazionale inglese ed il rifiuto, da parte del Director of Public Prosecutions, di garantire l'immunità dalle conseguenze penali al marito di una donna paralizzata e affetta da malattia degenerativa e incurabile, desiderosa di morire, nel caso in cui quest'ultimo le presti aiuto nel commettere suicidio. Coerentemente con tale impostazione, la stessa sentenza della Corte europea ha cura di sottolineare: che, in campo sanitario, il rifiuto di accettare un particolare trattamento potrebbe, inevitabilmente, condurre ad un esito fatale, e tuttavia l'imposizione di un trattamento medico senza il consenso di un paziente adulto e mentalmente consapevole interferirebbe con l'integrità fisica di una persona in maniera tale da poter coinvolgere i diritti protetti dall'art. 8.1 della Convenzione (diritto alla vita privata); e che una persona potrebbe pretendere di esercitare la scelta di morire rifiutandosi di acconsentire ad un trattamento potenzialmente idoneo a prolungare la vita.»

  1. ^ (EN) Sentenza della Corte Europea nel caso 2346/02, par. 8
  2. ^ (EN) Sentenza della Corte Europea nel caso 2346/02, par. 9
  3. ^ Palladino, Paolo. "The Politics of Death: On Life After the "End of History." Journal For Cultural Research 7, no. 3 (July 2003): 321-335.
  4. ^ Freeman, M. (2002). Denying Death its Dominion: Thoughts on the Dianne Pretty Case. Medical Law Review, 10(3), 245-270.
  5. ^ Ashraf, Haroon. "Patient and human-rights group challenge UK law for right to die." Lancet 358, no. 9284 (September 8, 2001): 820.
  6. ^ Jimenez, Gabriel. 2002. "Niega tribunal pedido de eutanasia: 'la ley me ha arrebatado todos mis derechos': Pretty." Siempre!, 2002. 44. InfoTrac Informe!
  7. ^ (EN) Sentenza della Corte Europea nel caso 2346/02, par. 10-15
  8. ^ Dyer, Clare. "Dying woman loses her battle for assisted suicide." BMJ: British Medical Journal (International Edition) 324, no. 7345 (May 4, 2002): 1055.
  9. ^ Giampiero Buonomo, "Eutanasia: quando l'ordinamento interno non la riconosce è impossibile appellarsi alla Convenzione", in Diritto&Giustizia edizione online, 30/4/2002.
  10. ^ (EN) Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso 2346/02, par. 40
  11. ^ Biggs, Hazel. "A Pretty Fine Line: Life, Death, Autonomy and Letting it B." Feminist Legal Studies 11, no. 3 (October 2003): 291-301.
  12. ^ (EN) Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso 2346/02,, par. 78
  13. ^ Diritto alla vita, eutanasia, legittimità, limiti

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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