Savorgnano

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Geografia modifica

Storia. Il territorio di Savorgnano occupa l’estrema parte occidentale della collina eocenica del Friuli compresa fra il corso del Torrente Torre e quello del torrente Malina, prospiciente la pianura friulana. La roccia sedimentaria che costituisce questi rilievi è il Flysch, dato dall'alternanza di marne ed arenarie, che dà origine a terreni molto fertili. L’ambito collinare verso sud è interamente ricoperto di rigogliosi vigneti, mentre a nord le valli e i promontori sono ricoperti da folti boschi termofili che si insinuano fino alle alture selvose di Nimis, Attimis e Faedis. Secondo gli storici è verosimile che la felice posizione geografica del sito collinare, privilegiato punto di osservazione (a 360°) del vasto dintorno, abbia determinato l’erezione di almeno un punto di segnalazione romano di raccordo fra il pedemonte e la pianura in località “vuardie”, come emergerebbe da alcuni resti lapidei emersi in loco, intanto che il fondo posto ai piedi dei rilievi fu assegnato al colono romano Sabernius, che diede il nome alla località (Sabernius, Sabernianus, Severianus, Savorgnano), luogo diventato poi villaggio nella tarda antichità. Ciò confermerebbe l’importanza del sito savorgnanese nell’età romana, insieme alla sua piana coltivata sulla riva sinistra del Torre percorsa dall’importante strada proveniente da Cividale (Forum Iulii) e diretta a Tricesimo (ad Tricensimum) dove raggiungeva la stazione stradale posta a 30 miglia da Aquileia sulla via Iulia Augusta che conduceva all’Alpe. La romanità del territorio viene confermata non solo dal toponimo prediale e da alcuni altri nomi di luogo ma anche da ritrovamenti di resti di laterizi attribuiti a quel periodo che hanno individuato l’esistenza di due fornaci, coeve a quelle delle vicine Ravosa e Magredis, ma secondo alcuni studiosi e osservatori potrebbe venire confermata dalla coltivazione il loco, alquanto soleggiato nei versanti collinari posti a mezzogiorno e favorito dalla presenza di diverse sorgenti, della vite e dell’ulivo. Queste colture, infatti, sono sempre state testimoniate nei secoli dalla tradizione ed erano diffuse nel XIII secolo in questo territorio che faceva parte dell’originario feudo della potente famiglia Savorgnan, come testimoniano i suoi “rotoli” fondiari. Il ramo principale del casato nobiliare, che nel Medioevo rivestì un ruolo eminente nella storia del Friuli, mantenne il feudo di Savorgnano, da cui trasse il nome (e che si estendeva dalle alture di Nimis alla piana delle Marsure e dal Torre al Malina), come il più rappresentativo e amato fino al primo decennio del Novecento, quando l’ultimo erede, appassionato coltivatore della vite, vendette il fondo per trasferirsi in Piemonte. I secoli dell’Età moderna consentirono una crescita economica e demografica del territorio in questione con il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione mediante l’allevamento degli animali e la coltivazione dei cereali ma soprattutto della vite e dell’ulivo, come per altro testimoniano non solo le cronache storiche del tempo ma anche il prezioso e unico affresco friulano dei ciclo dei mesi (XVI secolo) raffigurato nella vicina chiesa di San Pietro a Magredis, dove si vedono rappresentate attività tipiche della viticoltura in ben tre riquadri: la potatura nel mese di marzo, la preparazione delle botti nel mese di agosto e la vendemmia nel mese di settembre. Le grandi iniziative paesane, che trasformarono le condizioni economico-sociali della località si ebbero agli albori del Novecento, quando vennero realizzate diverse iniziative come l’istituzione della Latteria sociale, della Cooperativa agricola di consumo, della Cassa rurale e del Forno rurale, che diedero notevole impulso a Savorgnano, già allora conosciuto nei dintorni come “il paese del buon vino”. Nella località, infatti, il sabato e la domenica accorrevano molti avventori, intenditori ed estimatori che potevano gustare i famosi bianchi (Tocai, Verduzzo e Picolit) e rossi (Merlot, Cabernet e Refosco) prodotti sulle colline. Ai paesani erano state infuse idee innovative dal nuovo prete don Romano Perini, che suggerì ai già provetti vignaioli nuove tecniche e diversi metodi di coltivazione della vite, a cui ben presto si aggiunsero i successi della dell’azienda vitivinicola creata da Giovanni Sbuelz. Infatti questo imprenditore tricesimano acquistò vasta parte della collina di Savorgnano, allora coperta di boschi cedui, per un’estensione di circa 400 campi, e dal 1905 al 1909, con l’aiuto di braccianti locali e provenienti dai Comuni contermini, attuò una grandiosa opera di bonifica agraria, trasformando il fondo in prosperi vigneti e frutteti, agevolmente raggiungibili da un’estesa rete di strade e servita da un moderno sistema di irrigazione. Insieme a 26.500 alberi da frutto, vennero piantate oltre 70.000 viti da vino che producevano Refosco, Gamay, Merlot, Picolit, Verduzzo, Moscato di Canelli, Barolo, Montepulciano, Lambrusco, Barbera, Cabernet e 6.000 viti per uva da tavola. Questa ponderosa opera diede lavoro per alcuni anni a molte persone e contribuì notevolmente alla crescita di nuove condizioni di vita, ma soprattutto di orizzonti di pensiero più aperti nei coltivatori savorgnanesi. L’opera fu davvero grandiosa per quel periodo e divenne una sorta di monumento agrario all’innovazione, tanto che non solo fu meta continua di visite da parte di imprenditori, politici e giornalisti del tempo, ma valse al geniale Giovanni Sbuelz la concessione dell’alta onorificenza di Cavaliere del lavoro del Regno d’Italia, titolo allora concesso con avveduta parsimonia soltanto a poche centinaia di italiani illustri. Il 25 giugno 1938, a sigillo della bonifica trentennale realizzata da Giovanni Sbuelz, sul Pecol di Semine (la collina più alta) venne inaugurato il cippo che riporta i versi del poeta, filosofo e matematico persiano Omar Khayyam inneggianti al vino, alla presenza del poeta italiano Diego Valeri, del giornalista e scrittore Chino Ermacora, di molti uomini di cultura, senatori del regno, politici e amministratori pubblici. Preceduta già dal 1928 da piccole mostre vinicole annuali, nell’estate del 1932 venne organizzata la Prima Festa del Vino di Savorgnano, seconda rassegna dei vini del Friuli dopo quella che si teneva a Buttrio. La festa riscontrò subito un grande successo e ben presto fu conosciuta in tutta la Provincia di Udine. I giornali del tempo scrivevano che nei giorni di sagra, nel paese si riversavano migliaia di persone provenienti da ogni parte della Provincia e soprattutto da Udine, città che per l’occasione era collegata con Savorgnano da uno speciale servizio di autocorriera, funzionante fino alla mezzanotte. L’occasione per far conoscere anche nel campo nazionale i vini pregiati prodotti dai colli di Savorgnano del Torre venne nell’agosto del 1937, con la partecipazione del Friuli alla 3ª Mostra Mercato Vinicolo di Siena, la rassegna più importante d’Italia nello specifico settore. Quella fu la prima volta che la Provincia del Friuli (come allora si chiamava la Provincia di Udine) si presentava ad una mostra nazionale con i prodotti delle sue cantine ed ottenne uno strepitoso successo. Il Cavaliere del Lavoro Giovanni Sbuelz venne premiato per il Verduzzo e per il Picolit prodotti sulle colline savorgnanesi, mentre il marchese Edoardo Mangilli fu premiato per il Merlot, il Cabernet e il Refosco maturati nella vicina piana delle Marsure. Per celebrare le uve e i vini locali, nel secondo dopoguerra i giovani viticoltori organizzarono nella prima domenica di ottobre la Festa dell’uva con la sfilata di carri allegorici inneggianti al vino e con richiami all’attualità e alla cronaca del momento; i festeggiamenti vedevano accorrere in paese centinaia di persone dove potevano rallegrarsi vedendo una specie di “carnevale d’autunno”, degustare i migliori vini locali e confermare sempre di più Savorgnano come “il paese del buon vino”. Nel 1956, ad opera del Consorzio fra i Comuni di Tricesimo, Reana del Rojale e Povoletto (di cui Savorgnano fa parte), venne costruito il tanto atteso ponte in cemento sul Torrente Torre fra Savorgnano e Zompitta che, sostituendo le precarie passerelle in legno che le piene del torrente travolgevano, collegò in sicurezza l’intera pedemontana da Tricesimo a Cividale e dette notevole impulso economico al territorio, agevolando anche i trasporti del vino di Savorgnano da parte di numerosi ristoratori e commerciante dell’area morenica che si rifornivano nel paese. La viticoltura che allignava ottimamente nella zona collinare esposta al sole, venne rapidamente incrementata anche al piano, trovandovi un ambiente favorevole. I vini prodotti in collina e nel piano erano fatti conoscere, oltre che con la vendita al minuto nei locali pubblici, attraverso lo spaccio nelle “osterie private”, cioè in quelle case dove periodicamente era autorizzata la vendita al pubblico e che dagli anni Trenta cominciarono a moltiplicarsi. Il successo e le nuove tecniche di coltivazioni si diffusero nel dintorno e così altre viti si piantarono oltre che a Savorgnano anche a Ravosa, Magredis e nelle Marsure dove pochi anni più tardi si videro spuntare nuove osterie e “frasche” e dove funzionavano rinomate trattorie. Negli anni Sessanta del Novecento la viticoltura savorgnanese si specializzò nella produzione di vini bianchi (Tocai, Verduzzo e Picolit) e di vini rossi (Merlot, Refosco, Cabernet), anche se per tradizione i più anziani vignaioli mantennero alcune varietà native friulane di vitigni che produssero per uso familiare una straordinaria varietà di vini autoctoni come lo Schiopettino, sempre per l’ottima rispondenza dei terreni collinari che di quelli pedecollinari. La conferma della qualità dei vini prodotti a Savorgnano è storicamente provata anche dal rifornimento fatto a diverse antiche osterie di Udine, oltre che a molte trattorie del Friuli centrale e collinare, alcune delle quali, per tradizione, tuttora continuano a rifornirsi nelle cantine del paese. Nei primi anni Ottanta del Novecento la distilleria Nonino di Percoto (produttrice della grappa riconosciuta nel 2019 “Spirit brand distillery of the year” nell’ambito del Wine star award, ossia del premio nel campo dei liquori e alcolici gestito dall'ente internazionale Wine Enthusiast di San Francisco (USA) creò a Savorgnano un punto di raccolta autunnale delle vinacce e uva Picolit, Verduzzo e Tocai destinate alla produzione della sua grappa. A detta della suddetta distilleria le uve di questa particolare zona possiedono un grado zuccherino superiore alla media per l’esposizione a sud est delle colline e per il particolare microclima (con elevato sbalzo termico tra il giorno e la notte dato, oltre che dalla protezione della catena prealpina, anche dalle correnti fredde dei due torrenti che la attraversano perpendicolarmente: i torrenti Torre e Malina. In tal modo, il distillato che deriva da queste uve possiede caratteristiche olfattive più persistenti ed eleganti, tanto che la distilleria ha introdotto la produzione della grappa di Verduzzo e di Picolit, contribuendo a rivalutare la grappa, un distillato tradizionale ma fino allora considerato inferiore ad altri. Nel 2020 la prestigiosa ditta Ferrero, industria specializzata in prodotti dolciari conosciuti in tutto il mondo, ha scelto anche l’immagine dei suggestivi vigneti di Savorgnano del Torre per inserirla nel progetto promozionale "ti amo italia" che riporta le migliori 30 immagini delle bellezze storiche e naturalistiche dell’Italia per etichettare i vasetti della famosissima Nutella.

Persone modifica

  • Savorgnan – (o Savorgnano/Savorgnani) nobile famiglia friulana, originariamente feudataria di Savorgnano del Torre[1]
  • Primo Antonio Savorgnano – noto come Primo Antonio, compositore argentino di tango e autore di testi[2]

Note modifica

  1. ^ Il paragrafo Membri illustri della pagina contiene vari nomi di singole persone.
  2. ^ Primo Antonio, su TodoTango. URL consultato il 2 mar 2020.

BIBLIOGRAFIA. Archivio Savorgnan, b.1, fasc.1, b.4, fasc. 2 e b.4 fasc. 4, A.S.U. Archivio di Stato di Udine, Archivio Savorgnan L. Cargnelutti, Il feudo di Savorgnano del Torre, in I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo, Udine 1984 Comune di Povoletto, Savorgnano e il castello della Motta, Appunti, rilievi, immagini, Tavagnacco 1989 J. Dorta, L’azienda Sbuelz a Savorgnano del Torre, in “Bullettino dell'Associazione Agraria Friulana”, 1909, pp.180-186 I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo, Catalogo della mostra Udine 1984 Kriegscarte, carta militare del Ducato di Venezia (Veneto e Friuli) di Anton Von Zach, 1798-1805, Kriesarkiv di Vienna M. Martinis, Terra di Povoletto. La gente, la cultura, la storia di una comunità contadina, Udine 1980 M. Martinis, Storia ed importanza socioeconomica delle rogge di Udine, di Palma e di Savorgnano, in “Ce fastu?”, LIX (1983), n.2, pp.159-176 M. Martinis, La roggia Cividina, in “Memorie Storiche Forogiuliesi”, LXXX (2000), pp. 223-235 M. Martinis, Le acque del Comune di Povoletto, Tavagnacco 2001 M. Martinis, Il Torre, Udine 2004 M. Martinis, Castello della Motta di Savorgnano , Udine 2006 M. Martinis – L. Merluzzi-P. Poiana, Le ville storiche di Attimis, Faedis e Povoletto, Tavagnacco 2002 Processo tra i consorti di Savorgnano e la Comunità di Udine per la giurisdizione sulle acque del Torre da Savorgnano a Udine (1545), Archivio di Toppo, b.115, A.S.U. Provincia di Udine, Le Guide del Friuli-Venezia Giulia, La Provincia di Udine, 6, Colline e Valli del Torre, Udine 1997 E. Sartorelli, La festa del vino a Savorgnano del Torre. Cenni storici e spunti panoramici, in “La Patria del Friuli” 23.4.1939 E. Sartorelli, Fra osterie e frasche di Savorgnano del Torre, in “Il Friuli” 15.01.1963, p.3 E. Sartorelli, Il culto del vino è rinato sul Torre, in “Messaggero del Lunedì” 17,06.1968, p.3 E. Sartorelli, Il Friuli nasconde i vini migliori negli umili spacci di campagna, in “Messaggero del Lunedì” 21.04.1969, p.3 E. Sartorelli, La famiglia dei Savorgnan, in “Avanti cul Brun “, I (1965), II (1966) A. Stefanutti, Leggende di Savorgnano del Torre, in “Ce Fastu?”, nn.1-6, XXXVII (1962), pp.128-132 T. Venuti, Il Rojale, Reana del Rojale 1979