Nino Visconti: differenze tra le versioni
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Qui, non molto lontano dall'odierna [[Olbia]] (all'epoca ''Terranova''), nei pressi dell'isola di Tavolara, la galea su cui viaggiava il della Gherardesca, isolata dalle altre, s'imbatte nella flotta genovese, alla guida della quale vi erano [[Arrigo De Mari]] e Morovello Malaspina (alcune fonti includono anche Lamba Doria, Benedetto Zaccaria e Antonio Usodimare)<ref name=Fragmenta648/><ref name=Tamponi219/>. L'armata ligure era in netta minoranza<ref name=Tamponi219/> (quindici galee e due [[Galeone#Etimologia|galeoni]]), ma quando ingaggiarono lo scontro, spostatisi al largo, prevalsero sugli avversari toscani<ref name=Tamponi219/>. Alcune imbarcazioni furono incendiate ed affondarono, mentre molte altre furono catturate; ingente fu anche il numero dei prigionieri, il cui numero stimato va da alcune centinaia a oltre millecinquecento (incluso il Capitano generale)<ref name=Tamponi219/>.
La sconfitta, con la conseguente cattura del Capitano generale, di migliaia di uomini e di decine di navi, causò in Pisa allarme ed emozione, e le conseguenze non si fecero attendere: il podestà in carica, Gherardo Castelli da Treviso, fu deposto, venendo sostituito dal veneziano [[Albertino Morosini|Alberto Morosini]], nobile e stimato generale nonché esperto politico, il quale aveva ricoperto prestigiosi incarichi in patria<ref name=Tamponi219/><ref name=MorosiniTreccani/>, ed era stato conte di [[Zara]] dal 1273 al 1276<ref name=MorosiniTreccani>{{
Ricostruita la considerevole flotta, Alberto Morosini ne affidò il comando ad Andreotto Sareceno Caldera, suocero di Mariano II d'Arborea, il quale divenne nuovo "capitano generale"<ref name=Tamponi220>{{Cita|Tamponi|pp.220}}.</ref>. Con l'obiettivo di attaccare Genova ed il suo porto, il podestà veneziano si recò in perlustrazione sulla costa avversari, lanciando ancora una volta dardi d'argento sulla banchina della città nemica<ref name=Tamponi220/>. Un resoconto ligure vuole che quando il Morosini s'avvicinò a Genova in nave, gli si accostò al fianco un'imbarcazione con la bandiera bianca, guidata da un araldo "magnificamente abbigliato", il quale lo dissuase dall'attaccare immediatamente<ref name=Tamponi220/>. Tuttavia oggi, la causa del ritardo pisano è individuata in un'improvvisa tempesta che colse nel [[Mar Tirreno]] la flotta toscana, bloccandola per alcuni giorni<ref name=Tamponi220/>. Quando questi giunsero, alla mattina del 31 luglio 1284, a difendere ''la Superba'' vi erano solo un ristretto numero di imbarcazioni, guidate dal capace Oberto Doria, capitano del popolo, ma in forte inferiorità numerica; per evitare la sconfitta lo stesso decise di ritirarsi, attendendo rinforzi<ref name=Tamponi220/>.
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La potenza e l'efficacia dell'armata era quasi totalmente riposta nelle galee, che quel giorno erano la maggioranza delle imbarcazioni pisane<ref name=Tamponi224/>. Queste, lunghe in genere più di 40 metri e larghe sempre meno di 6, erano soprattutto biremi e triremi<ref name=Tamponi224-225>{{Cita|Tamponi|pp. 224-225}}.</ref>.
Nel pomeriggio il Morosini ordinò alla flotta di uscire dalla foce dell'Arno, fiducioso nella sezione con a capo il Caldera e totalmente all'oscuro della presenza di un consistente gruppo di navi avversarie guidate dallo Zaccaria<ref name=MeloriaTreccani/><ref name=Tamponi225>{{Cita|Tamponi|p.225}}.</ref> Intorno alle nove, ormai nell'oscurità, le due armate si scontrarono<ref name=Tamponi225/>; Andreotto Saraceno-Caldera, credendo che il nemico fosse allo stremo e che dunque le sorti della battaglia fossero già totalmente decise, diede «prematuramente» l'ordine di attaccare, lasciando solo Ugolino della Gherardesca a difendere il porto<ref name=MeloriaTreccani/><ref name=Tamponi225/>. Contemporaneamente lo Zaccaria decise di cogliere l'occasione, dirigendosi di sorpresa verso la foce del fiume<ref name=MeloriaTreccani/><ref name=Tamponi225-226>{{Cita|Tamponi|pp. 225-226}}.</ref>; tale mossa prese alla sprovvista Caldera ed i suoi capitani, che stabilirono disordinatamente di o appoggiare le difficili manovre del podestà Morosini o lottare per il porto o addirittura fermarsi, senza compiere alcuna mossa nell'area di combattimento<ref name=Tamponi226>{{cita|Tamponi|p.226}}.</ref>. Vista la scarsa disponibilità di navi, tutte le azioni fallirono, portando i pisani alla più grande disfatta della loro storia militare<ref name=MeloriaTreccani>{{
Nei cosiddetti "arrembaggi", i liguri utilizzarono delle misture di sapone, che rendeva pressoché impossibile all'equipaggio attaccato di poter stabilmente stare in posizione eretta, agevolandone dunque la sconfitta<ref name=Tamponi226/>. Contemporaneamente il conte Ugolino, resosi conto del gravissimo errore compiuto dagli altri capitani, decise di non far allontanare le navi sotto il suo comando dal porto, al fine di evitare "''inutili massacri''"<ref name=Tamponi226-227>{{cita|Tamponi|pp. 226-227}}.</ref>; tale mossa l'avrebbe portato a subire numerose accuse di tradimento<ref name=DellaGherardescaTreccani>{{
Intanto le azioni militari si spostavano nel cuore della formazione pisana: le galee liguri lanciarono verso le navi toscane dardi infuocati di pece, olio e solfo, distruggendo i ponti avversari con massi scaraventati fuori bordo da costose catapulte<ref name=Tamponi227>{{cita|Tamponi|p.227}}.</ref>. Tuttavia il gesto che segnò definitivamente la vittoria genovese fu l'arrembaggio dell'imbarcazione del podestà Morosini, tratto in trappola da due galee nemiche, legate tra loro da una lunga catena<ref name=Tamponi227/>; Zaccaria diede dunque l'ordine alle proprie navi di avanzare, tranciando l'albero della galera del comandante massimo pisano<ref name=Tamponi227/>, che fu conseguentemente catturato<ref name=MorosiniTreccani/>.
[[File:Rilievo sulla torre di pisa che mostra l'antico porto pisano.JPG|miniatura|destra|300px|[[Bassorilievo]] della [[Torre di Pisa]] raffigurante Porto Pisano.]]
Sul bilancio della sconfitta pisana non tutte le fonti sono accordi: certo è che circa tre quarti della flotta toscana andò perduta, tra imbarcazioni catturate e affondate<ref name=Tamponi228>{{cita|Tamponi|p.228}}.</ref>. La ''Cronaca roncioniana'' riporta che il 6 agosto l'armata della città dell'Arno perse 28 galee<ref name="CronacaRoncioniana94">{{cita|Cristiani, ''C. roncioniana''|p.94}}.</ref>; Guido da Corvaia, nella sua opera ''Libri memoriales'', afferma che i pisani dovettero affrontare la perdita di più di 30 imbarcazioni<ref name=DaCorvaia9>{{cita|Da Corvaia|p.9}}.</ref>; l'anonimo che redasse la ''Fragmenta historiae pisanae'' scrive che Pisa dovette affrontare la cattura di 27 galee, 11.000 prigionieri e 1.285 caduti<ref name=Fragmenta648/>. Nella ''cronaca pisana'' si afferma invece che che i liguri sequestrarono 23 galere<ref name=CronacaPisana50>{{cita|Cronaca pisana|p.50}}.</ref>; dello stesso avviso non è tuttavia [[Jacopo Doria]], figlio di un capitano del popolo ed importante esponente dell'aristocrazia genovese, che nei suoi ''Annali'' (1293<ref name=Doria,Jacopo>{{
È stato ritenuto da taluni probabile che nel frangente nel quale la battaglia si svolse Nino Visconti, non ancora giunto alla maggiore età, si trovasse nei suoi domini sardi, in Gallura, nella Terranova sede storica della sua casata<ref name=Tamponi229>{{cita|Tamponi|p.229}}.</ref>. Tuttavia questa teoria non trova riscontri storici, e appare illogico che abbia tentato una traversata nei mesi dello scontro di Tavolara, durante i quali viaggiare sarebbe stato rischioso<ref name=Tamponi229>{{cita|Tamponi|p.229}}.</ref>. Si è invece ipotizzato che il riconoscimento che gli venne dato l'anno successivo, cioè quello di guida politica del casato Visconteo e dunque di personaggio determinante delle vicende pisane, derivò dal carisma e dalla prodezza dimostrata nella battaglia della Meloria<ref name=Tamponi229/>. Tale teoria è appoggiata anche dalla documentazione che conferma un coinvolgimento notevole della sua consorteria nello scontro<ref name=Tamponi230>{{cita|Tamponi|p.230}}.</ref>. La sconfitta pesò strategicamente più su Nino che su altri aristocratici: la difficoltà nel raggiungere le proprie terre isolane ad ovest danneggiò anche il commercio, fattore determinante nell'economia gallurese<ref name=Tamponi230>{{cita|Tamponi|p.230}}.</ref>.
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In questo contesto lo storico Flaminio Dal Borgo tesse le lodi di Nino, ammirandone il carattere ed esaltandone la superiorità morale rispetto al nonno; infatti, oltre che eguagliarlo «nella chiarezza e nella nobiltà de' natali», lo superava di gran lunga «nel valore, e nella gentilezza del tratto, onde otteneva anche gran seguito e favore dal Popolo e dagli amici»<ref name=Tamponi258>{{cita|Tamponi|p.258}}.</ref>.
===== Capitano del popolo (1286) e Podestà (1287) =====
[[File:Perugia 132.JPG|miniatura|destra|Il [[Palazzo del Capitano del Popolo (Perugia)|palazzo del Capitano del Popolo]] a [[Perugia]]. Il [[capitano del popolo|capitano]] aveva il compito di tutelare gli interessi del «popolo»
Tuttavia i documenti storici si oppongono alla versione che posiziona la data di nascita della diarchia nel 1285. Il primo atto che accerti Nino nell'esercizio della sola carica di "[[capitano del popolo]]" risale infatti al luglio 1286, mentre al termine dell'anno precedente risultava un semplice privato<ref name=Tamponi259>{{cita|Tamponi|p.259}}.</ref><ref name=Ortu195>{{cita|Ortu, 2005|p.195}}.</ref>. A favore della più recente tesi si schiera anche l'autore anonimo del {{cita|Fragmenta}}, che indica nell'opera che il governo comune ebbe la durata di 18 mesi<ref name=Tamponi259/>.
Le prove documentali concordano perciò con la tesi che Nino venne nominato Capitano del Popolo nel luglio 1286<ref name=Tamponi259/><ref name=Ortu195/>. Rapidamente si giunse però ad una totale condivisione dei poteri massimi, particolarmente spinta dalla consorteria di Nino<ref name=Tamponi261>{{cita|Tamponi|p.261}}.</ref>. Nella tarda primavera del 1287<ref name=Tamponi261-262>{{cita|Tamponi|pp. 261-262}}.</ref>, il giudice di Gallura venne infatti eletto Podestà e Capitano del Popolo per una durata di 10 anni<ref name=Tamponi261/>.
====== Governo ======
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====== Assassinio di Gano Scornigiani e termine del primo duumvirato ======
[[File:Priamo dell quercia, purgatorio 03 dante, virgilio e sordello.jpg|miniatura|300px|destra|L'abbraccio tra [[Virgilio]] e [[Sordello da Goito]], nel canto sesto del ''Purgatorio'' dantesco, [[Priamo della Quercia]], 1440 circa. Nel canto Dante incontrò Gano Scornigiani.]]
Nel 1287 la rivalità tra i due diarchi sfociò nel sangue. [[Gano degli Scornigiani|Gano (o Giano) Scornigiani]], figlio del noto diplomatico pisano [[Marzucco degli Scornigiani|Marzucco]], fu infatti assassinato per le strade di Pisa<ref name=Tamponi280>{{cita|Tamponi|p.280}}.</ref><ref name=GianoScornigiani>{{
[[File:Buti Castel Tonini.jpg|miniatura|sinistra|Buti con il "''Castel Tonini''"; il centro fu teatro di uno scontro tra i sostenitori di Nino e quelli di suo nonno.]]
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