Comunità ebraica di Città di Castello: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Stedall (discussione | contributi)
Riga 7:
Le origini della comunità ebraica di Città di Castello risalgono all’ultimo decennio del XIV secolo, quando i magistrati [[tifernati]] decisero di invitare un gruppo di ebrei residenti nel [[Perugia|territorio perugino]] a trasferirsi in città, con l’intento di stabilire con essi un’alleanza di carattere monetario e imprenditoriale. Si trattava di discendenti di famiglie ebree che dalla fine del [[XIII secolo]] si erano mosse da [[Roma]] e avevano dato vita a numerose comunità fra [[Lazio]], [[Marche]] e [[Umbria]]. A un secolo di distanza, molti di loro avevano ripreso il cammino verso nord per spingersi in direzione delle zone limitrofe alla [[Toscana]] e all’[[Emilia-Romagna|Emilia]]. Fra queste spiccava il territorio dell’[[Alta Valle del Tevere]] dove sorgeva Città di Castello, collocata al confine fra [[Stato Pontificio]], Toscana, [[Ducato di Urbino|Ducato di Montefeltro]] e a breve distanza dal [[Ducato Estense]].<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Ariel Toaff|anno=1975|titolo=Gli ebrei a Città di Castello dal XIV al XVI secolo|rivista=Bollettino per la Deputazione di Storia Patria per l’Umbria|città=Perugia|volume=vol. LXXII|numero=2|p=|pp=1-2}}</ref> La città, reduce da decenni di lotte intestine e calamità naturali che avevano prosciugato le sue finanze, vide nella possibilità di intercettare questo flusso migratorio un’opportunità per risollevare la propria economia, in quanto ospitare una comunità ebraica significava poter beneficiare di prestiti attraverso [[Banco dei pegni|banchi dei pegni]], attività preclusa ai cristiani. Allo stesso tempo, le famiglie ebree riconobbero in quel luogo delle notevoli potenzialità, sia da un punto di vista geografico che lavorativo.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Marisa Borchiellini|coautori=|data=2008|titolo=La comunità ebraica nella storia di Città di Castello|rivista=Le pergamene ebraiche di Città di Castello|editore=Artegraf Stampa|città=Città di Castello|p=25}}</ref>
 
I primi segni che attestano una presenza ebraica a Città di Castello sono le autorizzazioni per l’esercizio dell’attività feneratizia, riportate negli ''Annali Comunali''. Al {{Data|G=21|M=gennaio|A=1390}} risale la prima condotta per il prestito concessa dai governanti della città ai fratelli Manuele e Bonaventura di Abramo da Perugia, seguita, negli anni immediatamente successivi, da quelle a Maestro Ventura di Dattilo “De Urbe”, a David di Leone e a Ventura di Salomone da Tivoli. Accanto alle licenze per l’attività di prestito si registrano anche quelle per l’esercizio della medicina, anch’essa occupazione svolta principalmente da ebrei, in quanto i cristiani potevano praticarla solo sottostando a severe limitazioni. Risale al 26 febbraio 1396 la condotta concessa dai Priori a Maestro Elia per l’esercizio della professione di medico chirurgo, e al 19 giungogiugno 1416 l’inizio del contratto triennale stipulato con il medico Salomone di Bonaventura da Perugia.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=M. Borchiellini|titolo=Op. cit.|p=29}}</ref>
 
=== La stagione dei prestatori ===
Riga 22:
=== Gli ultimi anni sotto lo Stato Pontificio ===
Durante il corso del Quattrocento Città di Castello fu teatro di numerosi scontri che videro l’ascesa della [[Vitelli (famiglia)|Famiglia Vitelli]] alla guida della città, e culminarono nell’[[Strage di Senigallia|uccisione di Vitellozzo Vitelli]] per mano di [[Cesare Borgia]] nella notte fra il 31 dicembre 1502 e il 1° gennaio 1503, evento che sancì la riduzione dell’Alta Valle del Tevere sotto il dominio dello Stato Pontificio.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=M. Borchiellini|titolo=Op. cit.|p=32}}</ref> Da questa data la condizione della comunità ebraica tifernate cominciò gradualmente a peggiorare. Le disposizioni discriminatorie che fino a quel momento erano state applicate in maniera blanda iniziarono a inasprirsi e, allo stesso tempo, l’emanazione di una serie di [[Bolla pontificia|bolle papali]] determinarono un rapido declino verso la definitiva cacciata dal territorio. Al 19 gennaio 1560 risale la [[Cum nos nuper|Bolla ''Cum nos nuper'']] emanata da [[papa Pio V]], che obbligava gli ebrei residenti all’interno dello Stato Pontificio a vendere tutte le proprietà che avevano acquisito per concessione di papa [[Papa Pio IV|Pio IV]], pena per l’inadempienza era la confisca. Il 13 marzo dello stesso anno giunse a Città di Castello il commissario pontificio [[Maria Francesco Cortese]] per verificare che l’editto fosse stato applicato senza eccezioni, visto che la città si era guadagnata la fama di favorire gli ebrei. Il 26 febbraio 1569 Pio V emanò la [[Hebraeorum gens|Bolla ''Hebraeorum Gens'']] che decretava l’espulsione degli ebrei dallo Stato della Chiesa entro tre mesi. I personaggi eminenti della comunità ebraica tifernate si rivolsero ai reggenti della città perché li aiutassero a riscuotere i propri crediti prima di doversi trasferire. Non solo i magistrati si mostrarono comprensivi, ma si impegnarono a cercare una soluzione la situazione, consci del fatto che l’espulsione degli ebrei, con conseguente cessazione della loro attività feneratizia, avrebbe rappresentato un duro colpo per l’economia della città. Si risolsero per chiedere ai [[Bourbon del Monte Santa Maria|marchesi Bourbon del Monte]], signori del piccolo marchesato del [[Monte Santa Maria Tiberina|Monte Santa Maria]] confinante con Città di Castello, di offrire ospitalità ai membri della comunità ebraica affinché potessero continuare a operare nel territorio. I marchesi accolsero la richiesta e così alcune famiglie ebree si trasferirono presso Monte Santa Maria e altre nella vicina [[Lippiano]], dove aprirono nuovi banchi di prestito. La maggior parte dei membri della comunità ebraica trovarono rifugio presso lo Stato fiorentino in cui vigeva una politica di maggior accoglienza. Il 6 ottobre 1586 [[papa Sisto V]], con il ''[[motu proprio]]'' ''[[Christiana pietas]]'', annullò il decreto di espulsione di Pio V e una moltitudine di famiglie ebree si trasferirono nuovamente a Città di Castello, ma questo rientro avrebbe avuto breve durata. [[Papa Clemente VIII]] all’inizio del 1592 rinnovò le normative discriminatorie precedenti e il 25 febbraio 1593, con la [[Caeca et obdurata|Bolla ''Caeca et obdurata'']], decretò la definitiva espulsione degli ebrei dai territori della Chiesa. Questo provvedimento sancì la fine della permanenza ebraica a Città di Castello.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=A. Toaff|titolo=Op. cit.|pp=24-27}}</ref>
 
== Le sinagoghe ==
Nel periodo di massima espansione della sua comunità ebraica, a Città di Castello sorsero due [[Sinagoga|sinagoghe]]. La sinagoga principale si trovava nel quartiere di Porta Sant’Egidio, presso l’abitazione di Isacco di Salomone da Castello, personaggio di riguardo all’interno della comunità. A seguito della [[peste]] del 1465 si dovette ricorrere all’istituzione di una seconda sinagoga nel quartiere di Porta Santa Maria, presso l’abitazione di Bonaventura di Leone. Tale trasferimento, approvato dal Vescovo della città, si rese necessario perché la sede precedente era difficilmente raggiungibile a causa delle misure contro la pestilenza. Oggi non rimane traccia delle sinagoghe, fatta eccezione per un ''[[Stella di David|maghen David]]'' scolpito sulla parete esterna di un edificio della vecchia via del Vingone, rinominata Largo Sinagoga nel 1998, riconosciuto come il segno di un’antica sinagoga da [[Elio Toaff]], [[Rabbino capo|Rabbino Capo]] della comunità ebraica di Roma dal 1951 al 2001.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=M. Borchiellini|titolo=Op. cit.|p=35}}</ref>