Isidoro di Siviglia: differenze tra le versioni

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==== Etymologiarum sive Originum libri XX ====
Le sue opere furono elencate da [[Braulione di Saragozza|San Braulio di Saragozza]] e [[Ildefonso di Toledo]]. Ma la sua opera principale resta l<nowiki>'</nowiki>''[[Etymologiae|Etymologiarum sive Originum libri XX]]'', che egli mandò, non ancora emendata, a S. Braulio, cui si deve la divisione in 20 libri. Le ''Etymologiae'' sono una grande [[enciclopedia]] in cui la materia è ordinata secondo i vocaboli a partire dalla loro [[etimologia]] (che può essere ''secundum naturam'' o ''secundum propositum''); la materia dell'opera (da alcuni intitolata ''Origines'') è così suddivisa:
*lib. I: [[grammatica]];
*II: [[retorica]] e [[dialettica]];
*III: [[aritmetica]], [[geometria]], [[musica]], [[astronomia]]<ref>{{Cita libro|autore=Dal cap. 15 al cap. 23 di questo libro, Isidoro tratta esclusivamente della musica quale definizione di Abilità [peritia] nella modulazione tra tonalità e canto. Cfr. M. Randel-Nils Nadeau, voce Isidore of Seville, in New Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. by Stanley Sadie, XXIX voll., London, Macmillan, 1980, Vol. IX, p. 340}}</ref>;
*IV: medicina;
*V: le leggi e la storia (storia universale, sunto del ''Chronicon Carionis''<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Andrea|cognome=Suggi|titolo=Cronologia e storia universale nella METHODUS di Jean Bodin|rivista=I Castelli di Yale|volume=III vol.|numero=3|pagina=75}}</ref>);
*VI: libri e uffici ecclesiastici;
*VII: [[teologia]];
*VIII: la [[Chiesa cattolica|Chiesa]] e le [[setta|sètte]];
*IX: le [[linguistica|lingue]], i popoli, i regni, le parentele, ecc.;
*X: indice di parole rare;
 
*Suddivisa in venti libri, l’opera contiene un immenso elenco di termini che condensano lo scibile umano del tempo. Le ''Etimologie'' per gran parte del [[Medioevo]], è stato il testo più utilizzato per fornire un'istruzione educativa e fu anche molto letto e conosciuto durante il [[Rinascimento]]. Grazie a questo testo, infatti, è stata resa possibile la conservazione e la trasmissione della cultura dell'[[antica Roma]] nella Spagna visigota. In effetti, l’etimologia, lo studio dell'origine delle parole, era ragguardevole aspetto dell'apprendimento medioevale: secondo il pensiero di Isidoro e di altri studiosi coevi, ogni parola cui si faccia ricorso per descrivere qualcosa spesso conterrebbe l’''essenza'' della ''cosa'' stessa; ad esempio, per Isidoro, il vino (''vinum'') è così chiamato perché "rinfresca" le vene (''venae'') di nuovo sangue. Isidoro si serve insomma dell'arte dell'etimologizzare come strumento di comprensione del mondo intorno a lui, incoraggiando i lettori a fare lo stesso. ''Carattere enciclopedico'' Le ''Etymologiae sive Origines'''[1]''','' in base alle dichiarazioni stesse di Isidoro al discepolo Braulione, vescovo di Saragozza (''Ep.''5), sappiamo che non ebbero la correzione definitiva a causa della sua malattia, per cui egli delegò Braulione stesso a redigerle in una forma corretta. Questo compito di rifinitura fu precisato già in occasione della richiesta che Braulione, nella sua ''epistola'' 4, aveva rivolto ad Isidoro chiedendo di inviargli i libri delle ''Etimologie'' integri, corretti e ben connessi; molti infatti li possedevano già, ma in forma frammentaria e malconcia. Era una testimonianza dell’avidità con cui l’opera gli venne strappata dallo ''scriptorium,'' mentre era ancora in una redazione provvisoria ed approssimativa. Si trattava di un’opera a cui si guardava con un’attesa impaziente, perché andava incontro ad esigenze impellenti: urgeva l’aspirazione a possedere un prontuario preciso che orientasse nell’immensa congerie delle problematiche che la pratica della vita propone ed impone. Si trattava infatti di una vastissima enciclopedia, alla quale si potesse ricorrere nella prospettiva di trovare la nozione desiderata e di trovarla razionalmente fondata.
*XI: l'uomo e i [[mostro|mostri]];
*''Contenuto'' Il contenuto è ampiamente tratto da precedenti opere romane e paleocristiane, alcune delle quali a loro volta raccoglievano materiale più antico ancora.
*XII: gli [[animali]];
*·      Libro I: ''de grammatica''; [[Trivio|Trivium]]: [[grammatica]] ·      Libro II: ''de rhetorica et dialectica''; Trivio: [[retorica]] e [[dialettica]] ·      Libro III: ''de mathematica''; [[Quadrivio]]: [[matematica]], [[geometria]], [[musica]], [[astronomia]] ·      Libro IV: ''de medicina''; [[medicina]] ·      Libro V: ''de legibus et temporibus''; [[legge]] e [[cronologia]] ·      Libro VI: ''de libris et officiis ecclesiasticis''; Libri ecclesiastici ed officii ·      Libro VII: ''de deo, angelis et sanctis''; [[Dio]], [[Angelo|angeli]] e [[Santo|santi]]: gerarchie del [[Paradiso]] e della [[terra]] ·      Libro VIII: ''de ecclesia et sectis''; La [[Chiesa cattolica]] e gli [[Ebreo|ebrei]] e le [[Setta|sette]] [[Eresia|eretiche]], [[Filosofo|filosofi]] ([[Paganesimo|pagani]]), [[Profeta|profeti]] e [[Sibilla|sibille]] ·      Libro IX: ''de linguis, gentibus, regnis, militia, civibus, affinitatibus''; [[Lingua (linguistica)|lingue]], personaggi, [[Monarchia|sovrani]], [[città]] e titoli ·      Libro X: ''de vocabulis''; [[etimologia]] ·      Libro XI: ''de homines et portentis''; [[Natura umana|Umanità]], [[Presagio|presagi]] e trasformazioni ·      Libro XII: ''de animalibus''; [[Animale|animali]] ed [[Uccello|uccelli]] ·      Libro XIII: ''de mundo et partibus''; Il [[Fisica|mondo fisico]], [[Atomo|atomi]], [[Elementi (filosofia)|elementi]], fenomeni naturali ·      Libro XIV: ''de terra et partibus''; [[Geografia]]: Terra, Asia, Europa, Libia, isole, promontori, montagne, grotte ·      Libro XV: ''de aedificiis et agris''; [[architettura]], [[Ingegneria civile|lavori pubblici]], strade ·      Libro XVI: ''de lapidibus et metallis''; [[Metallo|metalli]] e [[Roccia|rocce e pietre]] ·      Libro XVII: ''de rebus rusticis''; [[Agricoltura]] ·      Libro XVIII: ''de bello et ludis''; [[Guerra|Termini bellici]], [[Gioco|giochi]], [[giurisprudenza]] ·      Libro XIX: ''de navibus, aedificiis et vestibus''; [[Nave|navi]], [[Casa|case]] e [[Vestito|vestiti]] ·      Libro XX: ''de domo et instrumentis domesticis''; [[cibo]], [[Utensile|utensili]] ed [[arte decorativa]]. I libri da I a III sono dedicati alle Sette arti liberali dell'educazione classica: Grammatica, Retorica e Dialettica (il cosiddetto Trivio); e Matematica, Geometria, Musica, ed Astronomia (il Quadrivio). Queste discipline formavano la spina dorsale d'ogni seria educazione medioevale — donde la loro primaria posizione nelle ''Etymologiae.'' Il libro X ''de vocabulis'' è l'unico nell'enciclopedia le cui voci sono disposte alfabeticamente; e quantunque esse sono discusse quasi nell'interezza dell'opera, il X è dedicato esclusivamente alle etimologie. Nella ricostruzione degli etimi, Isidoro è talvolta accurato e talaltra meno, e occasionalmente indulge in bizzarrie bell'e buone. Ad esempio, in X apprendiamo il termine per padrone (''dominus'') derivare da quello per la casa (''domus'') di cui è possessore — qui Isidoro è senz'altro nel giusto. Altrove, tuttavia, egli ci dice che i termini per orbite oculari e guance (''genae'') e per ginocchia (''genua'') si somiglierebbero perché nel ventre materno il nostro corpo si forma rannicchiato, con le ginocchia facenti pressione sul volto. Quantunque i due termini latini si rassomiglino davvero, questa etimologia è decisamente fantasiosa. ''Il metodo'' In Isidoro l’indagine non mira a stabilire ''come'' si dicesse la parola, ma ''perché'' si dicesse così: tenta di risalire alla causa, per cui, spiegando una parola, evoca i tratti di una civiltà e quindi i vocaboli sono inseriti nei costumi e nelle istituzioni. Così le suddivisioni, se implicano il grammatico che incasella termini, presuppongono l’uomo che ha visto la complessità degli elementi che ci sono nel mondo reale; il suo è un catalogo, ma anche un panorama. Le ''Etymologiae'' sono un mare senza confini di nomi propri e comuni di ogni genere, in un’instancabile ricerca di qualificazioni; vi domina la passione della definizione accanto a quella dell’etimologia, ricercata con ogni mezzo, soprattutto con reali o supposte consonanze foniche. Il fine è quello di scoprire la verità che si percepisce stare dentro a tutte le cose e quindi a tutte le parole. Queste etimologie, spesso nulle (perché sono detratte dalla parola invece di condurre ad essa), testimoniano uno sforzo di collegamento, che giunge ad essere, in qualche caso, rivelatore, suggeriscono alcuni aspetti spesso ignorati delle cose, naturalmente pagati con una selva di stravaganze. Imponente è la quantità di vocaboli che Isidoro elenca, sempre in un incessante sforzo di definirli. Egli tutto interroga e ha l’impressione che tutto gli risponda. ''I modelli'' Sicuramente si richiama spesso a Varrone. In I, 33 dichiara esplicitamente di seguire lo stile di Donato. Inoltre, per l’enorme lavoro di invenzione del materiale, raccolta, selezione, schedatura, distribuzione e formulazione gli si può accostare Plinio il Naturalista. Ma, più di tutti, Isidoro vede in Agostino il suo modello e il suo garante, soprattutto sul piano dello stile: le sue frasi, sempre brevi, sono costruite su un lessico che, al di fuori di tecnicismi, è quello abituale, senza ricercatezza, ma senza trasandatezze. Aristotele (384 – 322 a.C.) è invece menzionato più d'una dozzina di volte, quantunque sia probabile Isidoro non lo avesse mai letto — frammenti, con maggiori probabilità, ne sono presi in prestito da opere altrui. È addirittura citato quale fonte Pitagora (571 – 497 a.C. circa), quantunque questi non abbia lasciato nessuno scritto. Autori quali Girolamo, Cicerone, Virgilio e gli altri citati da Isidoro possono essere considerati una vera e proprie "''auctoritates'' in prestito" alla sua enciclopedia. ''Tradizione manoscritta'' Così di sovente vennero le ''Etymologiae'' ricopiate dagli amanuensi e largamente diffuse, che furono di fatto seconde alla sola Bibbia quanto a popolarità tra gli studiosi dell'Europa medioevale. Uno studio sistematico della tradizione manoscritta delle etimologie iniziò con Beeson, sebbene l'edizione critica di Lindsay[1] fu l'inizio di un tentativo di classificare l'abbondante materiale trasmittente di quest'opera. Le ''Etymologiae'' furono opera considerevolmente influente per oltre un migliaio d'anni, diffondendosi dalla Spagna, alla Gallia e all'Irlanda, donde nel resto del continente. Lo studioso Beda il Venerabile (673 – 735 circa) le conosceva molto bene; fiorirono altresì sotto il programma culturale carolingio di VIII e IX secolo; furono innumerevolmente ricopiate da amanuensi in tutta Europa, e ne sopravvivono migliaia di manoscritti. L'enciclopedia fu inoltre una delle prime opere di letteratura medioevale a esser stampata — per la prima volta nel 1472. Essa fu di diretta influenza sui voluminosi dizionari ed enciclopedie del tardo Medioevo, e, durante tutto il periodo, Isidoro venne ritenuto insigne autorità. G. Chaucer (1343 – 1400 circa) aveva familiarità con le ''Etymologiae'', e le cita indirettamente nel ''Racconto del Parroco (Parson's Tale)'' dei suoi ''Canterbury Tales''. Lo stesso Dante (1265 – 1321) nella ''Divina Commedia'' pose il famoso e riverito Isidoro nel Paradiso, nel Cielo del Sole riservato alle anime dei sapienti che avevano illuminato il mondo col loro intelletto. Più recentemente, il critico e saggista tedesco Ernst Robert Curtius ha notato, nel suo studio della Letteratura latina europea, come le ''Etymologiae'' “furono di fatto ''Il Libro'' base per l'intero Medioevo” (23). Papa Giovanni Paolo II (r. 1978 – 2005) ha nominato Isidoro santo patrono di internet per il suo sforzo di raccogliere nella sua enciclopedia tutto ciò che era opinione valesse la pena conoscere. ----[1] P. Chiesa-L. Castaldi, ''La trasmissione dei testi latini nel medioevo,'' volume II p.276 ----[1] P. Chiesa- L.Castaldi, La trasmissione dei testi latini nel Medioevo
*XIII: il mondo e le sue parti;
*XIV: la terra e le sue parti;
*XV: edifici, campi e strade;
*XVI: pietre e metalli;
*XVII: [[agricoltura]];
*XVIII: la [[guerra]] e i giochi;
*XIX: navi, costruzioni, costumi e
*XX: legni, utensili, ecc.
[[Immagine:Isidori Hispalensis Opera Omnia.tif|thumb|''Isidori Hispalensis Opera Omnia'', 1797.]]
[[Immagine:Mapa T en O de un manuscrito del s IX de las Etimologías Vitr14-3 f116v.jpeg|miniatura|Copia in arabo del [[IX secolo]] delle ''Etymologiae'' nello schema T-O che costituisce un'antica diffusa rappresentazione grafica del mondo conosciuto (sopra la linea orizzontale della T l'[[Asia]], a sinistra della linea verticale l'[[Europa]] [[Jafet|Japhetica]], a destra l'[[Africa]] [[Cam (Bibbia)|Camitica]]).]]
[[Immagine:Francisco de Goya - Aparición de San Isidoro al Rey Fernando III El Santo, ante los muros de Sevilla.jpg|miniatura|[[Francisco Goya]], ''Apparizione di Sant'Isidoro al re [[Ferdinando III di Castiglia|Fernando III Il Santo]], dinanzi alle mura di Siviglia'', 1798~1800.]]
Gli storici e i critici non sono ancora riusciti a ricostruire nella sua complessità il ''corpus'' delle fonti cui Isidoro attinse: scrittori classici e della [[Tarda antichità|tarda romanità]], autori ecclesiastici, precedenti florilegi e lessici, ecc.
 
===== Isidoro e la musica =====
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==== De natura rerum ====
È un trattato che si propone di presentare un abbozzo di cosmologia, illustrandone gli elementi essenziali[1]. Non ha un carattere organico che aspiri ad una completezza sistematica; si direbbe piuttosto che segua un cammino di temi ai quali l’autore ha cercato di dare una qualche connessione nello sviluppo delle trattazioni.
 
''Struttura''
 
Parte dal particolare per arrivare al generale. Inizia con il tempo, che ci condiziona con la sua successione di giorni e notti, i quali si dispongono in settimane, mesi, anni, ritmandosi in stagioni segnate da solstizi ed equinozi. Questi affacciano l’uomo sul mondo e sulle sue componenti, a cominciare dal cielo, nel quale ruotano i pianeti e soprattutto il sole e la luna: ne scaturisce un esame della loro natura, del loro corso, del carattere della loro luce e del meccanismo che ne determina le eclissi. Più lontano stanno gli astri con la loro luce, con lo scenario delle stelle cadenti e con il problema curioso, ma anticamente dibattuto con serietà, se le stelle abbiano un’anima, se siano cioè rette da nature angeliche. Isidoro tratta del tuono, del fulmine, dell’arcobaleno e poi delle nubi, della pioggia, dei venti e dei segni che preannunciano le condizioni meteorologiche.
 
Dall’ambito della vita terrestre, che tra le varie vicissitudini annovera anche la peste, si sposta sul mare, descrivendone le maree e i quesiti: perché esso non cresce, nonostante l’apporto dei fiumi? Perché le sue acque sono salate? Ecc…
 
L’accenno al mare lo porta al Nilo, che il nostro lascia per tornare alla terra, alla sua collocazione nello spazio e all’enigma del suo equilibrio, pur essendo appoggiata sull’aria, stabile nell’universo, essa è però precaria in se stessa, come testimoniano i terremoti, le eruzioni vulcaniche (tra le quali in particolare spiccano quelle dell’Etna).
 
 
''Lo stile e la visione della natura''
 
Isidoro è preciso nelle sue spiegazioni.
 
Più che un trattato, il De natura rerum può essere definito una passeggiata lungo la quale si assiste agli spettacoli più avvincenti. Con una semplicità di concetti e di stile, Isidoro descrive manifestazioni della natura, introducendo nei fenomeni fisici richiami storici ed eventuali trasposizioni allegoriche, che conferiscono loro un sentore di vita e delle cose gli sfondi e i riflessi.
 
L’autore interpreta il mondo come dimora dell’uomo e in cui la vita dell’uomo si mostra nella sua dipendenza e insieme nella sua responsabilità; nella fissità atona del cosmo si inserisce la contingenza degli usi umani che passano col tempo e delle vicissitudini vegetative delle piante che percorrono i loro cicli.
 
La natura, nelle sue leggi e nella sua evoluzione è un dato concreto, di per sé indipendente dall’uomo, ma sempre in connessione con lui, perché-nei suoi traslati allegorici- lo rappresenta. La natura finisce allora per animarsi a commento della vita umana, facendosi anche tacita ma rigorosa ammonitrice.
 
 
----[1] Ibid.353
 
=== Opere esegetiche ===
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==== Chronica ====
Isidoro si propose di narrare la cronologia dall’inizio del mondo fino all’imperatore Eraclio e al re Sisbeuo, collocando a fianco della narrazione la successione delle date.
 
 
''Struttura''
 
Si tratta di una tavola cronologica che, partendo da Adamo, elenca il susseguirsi delle generazioni rifacendosi alle età indicate nella Bibbia.
 
Con la nascita di Abramo apre la sincronia con la storia profana: in quel tempo in Assiria regnò Nino (par.31); accanto ad Isacco pone l’inizio dei re greci con Inaco (par.35) ed in seguito continua i sincronismi con il mondo pagano. Comunica che al tempo di Debbora per primo regnò sui Latini Pico, che si disse figlio di Saturno (par.76). inserisce anche personaggi mitici classici (Cecrope par.49), mitologici (Ippocentauri par.67) e simbolici (Cerbero par. 68).
 
Fissa il tempo in cui Apollo inventò l’arte della divinazione (par.74), segnala quando acquistarono fama Eschilo, Pindaro, Sofocle, Euripide (par.174), Ippocrate (180), Demostene (187), Aristotele (188), Platone (189), quando nacquero Virgilio e Orazio (229), quando divenne celebre Ireneo di Lione (280) e prosegue con gli altri grandi dottori della Chiesa latina.
 
Non si rinchiude nella storia civile e militare, ma inserisce come importanti anche esponenti della cultura e dell’arte.
 
''Metodo e tematiche''
 
Isidoro iniziò con tavole sinottiche ben attrezzate di sincronismi, ma non vi si soffermò, quelle erano infatti ossature su cui bisognava costruire.
 
Proseguì dunque verso il genere storico con la ''Historia Gothorum Wandalorum Sueborum'' che arriva fino all’anno 624.
 
L’opera incomincia con il ''De laude Spaniae'', esaltazione della Spagna, nella quale si accentrano pregi di ogni tipo, dalla fertilità delle terre alla pescosità delle spiagge, dalla dolcezza del clima alla ricchezza mineraria, dai torrenti che trasportano pepite d’oro alla lana tinta di porpora. Il tutto culmina col felice dominio dei Goti.
 
Segue la ''Storia dei Goti'' per tappe essenziali ma con i fatti sempre esposti in una luce favorevole ai Goti. Arriva fino al magnanimo Alarico nel sacco di Roma (parr.15-17, pp.273-247), ma non manca di rilevare l’immediata punizione divina per le empietà commesse (parr.42-46, pp.284-286).
 
Loda le vittorie di Leovigildo, ma ne denuncia le persecuzioni contro i cristiani.
 
Rivolge un’alta celebrazione alla sapienza civile e religiosa di Recaredo, che si convertì con tutto il popolo al cattolicesimo (parr.52-56) e dell’amico Sisebuto critica le persecuzioni contro i Giudei (par. 60).
 
Quanto ai Vandali (pp.295-300), li osserva nella loro invasione della Spagna insieme ad Alani e Svevi, li incolpa di violenze e distruzioni (par.72, p.295) e ci informa sulla loro successiva sistemazione: i Vandali e gli Svevi in Galizia, gli Alani in Lusitania e nella Cartaginense, i Vandali nella Betica (par.73, p.296).
 
Non tralascia di ricordare i castighi che Dio irrogò ai nemici della fede: Gunderico, re dei Vandali, per aver proteso le sue mani sacrileghe sulla Chiesa di Spali, nella Betica, per giudizio di Dio morì ''demonio correptus'' (par.73); Unerico, figlio di Genserico, ariano accanito, perseguitò i cattolici per tutta l’Africa con crudele violenza, ma nell’ottavo anno del suo regno morì, spandendo miseramente le viscere (parr.78-79).
 
Nella ''Storia degli Svevi'' (pp.300-303) rammenta la conversione al cattolicesimo di Recciario (par. 87, p.301) e quella definitiva del popolo con il re Teodemiro, per azione di Martino, vescovo del monastero di Dumio.
 
È un elenco asciutto di operazioni militari, successioni regali e tappe nello sviluppo della situazione religiosa per quanto concerne i rapporti tra ariani e cattolici.
 
==== De viris illustribus ====
(PL 83, 1081-1106)
 
Va da papa Sisto a Massimo di Saragozza.
 
Non è interessato a fornire indicazioni cronologiche né bibliografiche sugli autori, accenna ai loro scritti in maniera vaga, con una maggior precisione per gli spagnoli.
 
Non caratterizza né i personaggi, né le idee, si limita ad un ragguaglio essenziale sull’opera principale dell’autore e anche i giudizi stilistici vertono su un apprezzamento generico.
 
Non scende a caratterizzazioni specifiche, solo del Crisostomo (par.19) ha una certa informazione, grazie alle sue traduzioni in latino.
 
Tuttavia, man mano che procede col resoconto, Isidoro si mostra più informato: di Fulgenzio di Ruspe (par.27) compie un’analisi precisa sul fondamento di una buona conoscenza delle opere, delle tesi dottrinali e dello stile.
 
Anche di autori seguenti esprime attenti giudizi sullo stile, come Martino di Dumio, di cui dichiara di aver letto De differentiis quattuor virtutum.
 
Di Gregorio Magno tesse un encomio, ricordandone i rapporti con suo fratello Leandro (par.40).
 
Di Giovanni di Bìclaro e di Massimo di Saragozza (parr. 44 e 46) afferma di sapere che scrissero molto ma di non averli letti.
 
=== Opere varie ===