I cavalieri (Aristofane): differenze tra le versioni

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== Trama ==
Due servi del vecchio PopoloDemo<ref name=demo/> detestano un terzo servo, Paflàgone, poiché quest'ultimo si è assicurato i favori del padrone con un comportamento [[ipocrisia|ipocrita]] e falsamente adulatorio, ed è arrivato a spadroneggiare in casa facendo tutto ciò che vuole. Inaspettatamente, un oracolo dà soccorso insperato ai due fedeli servi del vecchio, rivelando che Paflagone sarà estromesso da un salsicciaio. La scelta di utilizzare un salsicciaio è tutt'altro che casuale: costui è un individuo ancora più immorale, cinico ed ignorante di Paflagone stesso, e quindi particolarmente adatto allo scopo.
 
Il salsicciaio (appoggiato dal coro dei cavalieri) affronta il rivale in una ridda di minacce, insulti, vanterie e aggressioni fisiche. Il duello poi continua nell'[[Ecclesia (antica Grecia)|ecclesia]] e infine davanti al padrone, PopoloDemo, in una serie di scontri verbali, ma anche di lettura di responsi oracolari e persino di preparazione di prelibatezze culinarie, in cui i due contendenti si rivelano sempre più beceri ed abietti. Il salsicciaio, con discorsi di bassa [[demagogia]], riesce infine a risultare vincitore.
 
PopoloDemo, tuttavia, a questo punto afferma di non essere così stupido come sembra, e che il suo obiettivo era quello di attendere il momento giusto per punire i disonesti. Ecco quindi che, con un rito magico, il salsicciaio (ormai diventato un uomo civile e stimato di nome Agoracrito) ridona a PopoloDemo la giovinezza e gli presenta una bella fanciulla, la Tregua, con la quale il vecchio ora ringiovanito convolerà a nozze e vivrà ricco di sani propositi. Paflagone viene invece condannato a svolgere il vecchio lavoro del suo rivale: il salsicciaio.
 
== Commento ==
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Già nella [[parabasi]] degli ''[[Gli Acarnesi|Acarnesi]]'', l'anno precedente, Aristofane aveva affermato di voler attaccare [[Cleone]] tramite i [[Hippeis|cavalieri]].<ref>Aristofane, ''[[Gli Acarnesi]]'', vv. 300-302.</ref> Questi erano infatti una delle classi sociali più importanti di Atene, ed erano decisamente ostili a Cleone (sostenuto invece dagli strati più bassi della popolazione). Questo spiega perché il coro che sostiene il salsicciaio sia costituito appunto da cavalieri.
 
L'opera, in effetti, rappresenta un attacco fortemente critico nei confronti di Cleone, l'uomo politico maggiormente in vista di quel periodo. L'intera trama si configura come metafora di quella che, secondo l'autore, era la situazione politica ateniese di quei tempi. Il personaggio di PopoloDemo, infatti, rappresenta il popolo stesso (che è il padrone di casa, essendo [[democrazia ateniese|Atene un sistema democratico]]), mentre i due servi simboleggiano [[Demostene (militare)|Demostene]] e [[Nicia]], generali e uomini politici del tempo, messi in ombra da un ingombrante antagonista. Paflagone, infine, rappresenta Cleone, il bersaglio principale della commedia. Nel momento in cui i due servi si lamentano del modo in cui Paflagone si è ingraziato PopoloDemo con atteggiamenti ipocriti ed adulatori, viene in effetti descritta quella che, nella visione di Aristofane, era la situazione politica di quei tempi.
 
[[File:I cavalieri.djvu|thumb|La prima edizione dell'opera in lingua italiana ([[Venezia]], [[1545]]).]]
=== I meccanismi assembleari ===
L'opera rappresenta in maniera grottesca, ma non per questo meno acuta, il modo in cui si forma il consenso politico nella società (argomento, questo, divenuto di stretta attualità nell'età della [[società di massa]] e dei [[mass-media]]). I personaggi dell'opera tentano di ingraziarsi la stima e la benevolenza di PopoloDemo (ossia del popolo), ma lo fanno cercando di manipolarlo, adulandolo con falsi elogi e promesse, e facendogli credere cose lontane dalla verità. Viene insomma presentata la parte deteriore della politica, quella dei sotterfugi e degli inganni, il cui unico scopo è quello di arrivare, costi quel che costi, a gestire il potere. Aristofane mette alla berlina questo modo di fare politica, e spiega chiaramente il motivo per cui lo fa:
{{Citazione|Insultare la gentaglia non è una colpa, ma un servizio che si rende alla gente onesta.|''I cavalieri'', vv. 1274-1279}}