Battaglia di Cartagine (146 a.C.): differenze tra le versioni

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L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno. Con il blocco del porto, Cartagine soffrì la fame e la conseguente debilitazione generale favorì una pestilenza. Scipione non forzò i tempi e solo nella primavera del [[146 a.C.]] l'esercito romano venne lanciato contro le mura. Lelio e le sue truppe scelte conquistarono il porto militare e il foro.
[[File:Karthago.JPG|thumb|Rovine di Cartagine]]
I cartaginesi si batterono disperatamente di casa in casa, di strada in strada, per circa quindici giorni. Ma l'esito era scontato. Gli ultimi difensori punici assieme a un migliaio di [[Disertore|disertori]] romani{{Chiarimento|2=Chiarimento}} si arroccarono sull'[[acropoli]] nel tempio di [[Eshmun]] e riuscirono a resistere per altri otto giorni. I romani riuscirono a stanarli solo dando alle fiamme il tempio (e rinunciando, quindi, a predare le sue ricchezze).
 
Le legioni romane erano molto ben addestrate alle battaglie campali. La guerriglia urbana le stava sottoponendo ad una prova dura e inutile. Scipione, per risparmiare le sue truppe, emanò un bando che prometteva salva la vita a chi si arrendeva e usciva disarmato dall'acropoli. Uscirono 50.000 persone, fra cui Asdrubale. Dalle mura della cittadella, la moglie di Asdrubale pregò Scipione di punire il marito codardo, poi salì al tempio incendiato, sgozzò i figli e, come l'antica regina [[Didone]], si lanciò fra le fiamme.