Impero romano d'Occidente: differenze tra le versioni

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Teodosio, vero arbitro politico dell'impero, inviò Valentiniano a Treviri affinché da questa città potesse governare la parte occidentale con l'aiuto di [[Arbogaste]], ma intrighi di corte determinarono probabilmente la morte del giovane imperatore qualche anno più tardi ([[392]]). Teodosio, che per tre anni si era mosso fra Roma e Milano, tornò a stabilirsi in oriente, lontano dalle pressioni ed interferenze del vescovo Ambrogio, cui tentava di resistere, mettendo in atto una politica di contenimento nei confronti del potere ecclesiastico. La strage di Tessalonica diede però ad Ambrogio la possibilità di imporre una penitenza all'Imperatore e dal [[390]] Teodosio fu costretto a ridefinire la sua politica religiosa nei confronti di apostati, pagani ed eretici.
 
Un [[Decreti teodosiani|editto]], promulgato il 24 febbraio [[391]], prevedeva la chiusura di tutti i templi e vietava ogni culto pagano, anche se celebrato in forma privata. La persecuzione sistematica delle credenze non cristiane scatenarono una reazione pagana nei confronti di Teodosio, soprattutto in Italia. Rientrato a Costantinopoli, l'imperatore dovette infatti far fronte alle proteste delle correnti fautrici di un paganesimo ormai al tramonto, che avevano trovato nel retore [[Flavio Eugenio]], uno strenuo difensore. Eugenio, con il sostegno di Arbogaste e di molti membri della classe senatoriale romana, fu proclamato Augusto della parte occidentale il 22 agosto 392, ma non fu riconosciuto come collega da Teodosio. Quest'ultimo, al contrario, associò al trono Onorio, suo secondogenito, con l'intenzione di porlo sul trono della parte occidentale, e si mosse con un esercito verso l'Italia. Nella [[battaglia del Frigido]], non lontano da Aquileia, sconfisse, il 6 settembre [[394]], le forze di Eugenio ede Arbogaste.
 
Eliminati i rivali, Teodosio restò unico imperatore ancora per pochi mesi, perché si spense il 17 gennaio [[395]]. «Con Teodosio», scrive [[Edward Gibbon|Gibbon]], «...morì anche lo spirito di Roma. Egli fu l'ultimo dei successori di Augusto che comandasse di persona gli eserciti in guerra e la cui autorità fosse riconosciuta in tutto l'impero».<ref>Edward Gibbon, ''Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano'', Torino, Einaudi, 1967, volume 2, p. 1046</ref> Quest'ultimo fu ereditato dai suoi due figli: ad [[Arcadio]], il maggiore, andò la ''pars orientalis'', mentre al più giovane [[Flavio Onorio]] toccò la ''pars occidentalis''. Da questo momento la divisione non venne più ricomposta ed iniziarono prendere forma due aggregazioni territoriali distinte: un Impero romano d'Occidente ed un [[Impero romano d'Oriente]].
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In Occidente le legioni, costituite per la maggior parte da truppe barbare (in Oriente la proporzione era leggermente inferiore), erano sotto il comando di un generale di alto profilo, Stilicone. Questi, in parte di origine germanica (era figlio di un vandalo e una romana), era legato da vincoli di parentela alla famiglia imperiale (l'imperatore Onorio ne aveva sposato la figlia) e si sentiva fiero della fiducia riposta in lui dal grande Teodosio meritata a pieno titolo sui campi di battaglia. Fu proprio Stilicone a fronteggiare Alarico e i suoi Visigoti dopo che costoro, varcate le Alpi, [[Guerra gotica (402-403)|avevano iniziato ad occupare e saccheggiare]] l'Italia nord-orientale (novembre - dicembre del 401) [[Assedio di Milano (402)|puntando successivamente su Milano]].
 
Ripetutamente sconfitti a [[Battaglia di Pollenzo|Pollenzo]] ([[402]]) ede a [[Battaglia di Verona (403)|Verona]] ([[403]]), i Visigoti ripiegarono sull'Illirico, mentre Stilicone garantiva ad Alarico un congruo tributo nel tentativo di tenerlo sotto controllo. La dinamica di tali battaglie resta tuttavia sconosciuta: nessuna si rivelò decisiva, e Alarico poté sempre sfuggire ad un disastro definitivo. Più di uno storico ritiene che in realtà Stilicone, a corto di soldati, cercasse un accomodamento e forse addirittura un'alleanza con il potente esercito visigoto.<ref>{{cita|Halsall|p. 202}}: «[Stilicone] è stato spesso criticato dagli storici innamorati dell'Impero romano per non aver finito Alarico. La sua decisione di permettere ad Alarico di ritirarsi in Pannonia ha più senso se ipotizziamo che l'esercito di Alarico fosse entrato al servizio di Stilicone, e la vittoria di Stilicone fosse meno totale di quanto ci vorrebbe far credere Claudiano... Narrando gli eventi del 405, Zosimo narra di un accordo tra Stilicone e Alarico; Alarico era chiaramente al servizio dell'Impero d'Occidente a questo punto.»</ref> In effetti le fonti narrano che Stilicone strinse un'alleanza con Alarico affinché lo assistesse nel tentativo di sottrarre all'Impero d'Oriente le diocesi contese dell'Illirico orientale.<ref name=ZosV26>Zosimo, V,26.</ref><ref name=SozIX4>Sozomeno, IX,4.</ref>
 
Il pericolo corso durante l'invasione visigota aveva dimostrato la vulnerabilità della frontiera nord-orientale, tanto da spingere Onorio a trasferire nel 402 la sua [[capitale (città)|capitale]] da Milano alla più sicura [[Ravenna]], difesa dallo sbarramento naturale del [[Po]] e difesa dalla potente ''[[Classis Ravennatis|Classis Praetoria Ravennatis]]'', che con il controllo del mare garantiva anche un sicuro collegamento con il resto dell'Impero e con l'Oriente.
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Iniziarono da quel momento delle lunghe ed inconcludenti negoziazioni fra Alarico, nominato nel frattempo da Prisco Attalo ''[[magister militum]]'', e Onorio, sino a che, stanco di attendere le titubanti risposte di Ravenna ed esasperato dal comportamento sempre più autonomo di Attalo, che non era stato in grado di ripristinare [[Fornitura di grano per la città di Roma|le forniture di grano a Roma]], bloccate dal ''[[Comes Africae]]'' [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]], frattanto rimasto fedele a Onorio, Alarico ruppe nella primavera del [[410]] gli indugi: depose Attalo e cinse nuovamente d'assedio Roma.<ref>Zosimo, Libro VI.</ref> Di fronte alla situazione, Costantino III mosse dalla Gallia, accordandosi con il ''[[comes domesticorum]]'' di Onorio, [[Allobico]], per deporre l'imbelle imperatore di Ravenna e soccorrere l'Urbe minacciata.<ref name=SozIX12/> La morte di Allobico, però, prontamente giustiziato da Onorio, costrinse Costantino a rinunciare al piano quando già era giunto in [[Liguria]]: Roma era senza difese.<ref name=SozIX12/>
 
Il 24 agosto del [[410]] i Visigoti penetrarono nella Città Eterna, sottoponendola per tre giorni al saccheggio. La notizia del [[sacco di Roma (410)|sacco di Roma]], il cuore dell'Impero, il sacro suolo rimasto inviolato per 800 anni da eserciti stranieri, ebbe vasta risonanza in tutto il mondo romano ede anche al di fuori di esso. L'imperatore d'Oriente [[Teodosio II]] proclamò a [[Costantinopoli|Costantinopoli - Nuova Roma]] tre giorni di lutto, mentre [[San Girolamo]] si chiese smarrito chi mai poteva sperare di salvarsi se Roma periva:
{{citazione|Ci arriva dall'Occidente una notizia orribile. Roma è invasa.[...] È stata conquistata tutta questa città che ha conquistato l'Universo.[...]|[[San Girolamo]]}}
[[File:Impero d'Occidente 410.PNG|thumb|upright=1.4|L'Impero romano d'Occidente nel 410.
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[[File:Attila in Gaul 451CE-it.svg|upright=1.4|thumb|Carta storica che descrive l'invasione della Gallia da parte degli Unni nel 451 d.C., e la battaglia dei Campi Catalaunici. Sono mostrati i probabili itinerari, e le città conquistate o risparmiate dagli Unni.]]
 
[[Giusta Grata Onoria|Onoria]], sorella di Valentiniano, nella primavera del 450 aveva inviato al re degli Unni una richiesta d'aiuto, insieme al proprio anello, perché voleva sottrarsi all'obbligo di fidanzamento con un [[senato romano|senatore]]: la sua non era una proposta di matrimonio, ma Attila interpretò il messaggio in questo senso, ede accettò pretendendo in dote metà dell'Impero d'Occidente.<ref>{{cita|Ravegnani|pp. 120-121}}.</ref> Quando Valentiniano scoprì l'intrigo, fu solo l'intervento della madre [[Galla Placidia]] a convincerlo a mandare in esilio, piuttosto che ad uccidere Onoria, e ad inviare un messaggio ad Attila, in cui disconosceva assolutamente la legittimità della presunta proposta matrimoniale. Attila, per nulla persuaso, inviò un'ambasciata a Ravenna per affermare che Onoria non aveva alcuna colpa, che la proposta era valida dal punto di vista legale e che sarebbe venuto per esigere ciò che era un suo diritto.
 
Forte di un esercito che si diceva contasse {{formatnum:500000}} uomini, Attila attraversò la [[Gallia]] settentrionale provocando morte e distruzione.<ref>{{cita|Heather 2006|p. 408}}.</ref> Conquistò molte delle grandi città europee, tra cui [[Reims]], [[Strasburgo]], [[Treviri]], [[Colonia (Germania)|Colonia]], ma fu sconfitto contro le armate dei [[Visigoti]] e dei [[Burgundi]] comandati dal generale [[Flavio Ezio]] nella [[Battaglia dei Campi Catalaunici]].<ref>{{cita|Heather 2006|pp. 408-410}}.</ref>
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[[File:Theodosius I. Roman Coin.jpg|thumb|Moneta di Teodosio I]]
 
Alla crisi non solo politica, ma anche finanziaria ed economica del III secolo, (vedasi: [[Crisi del III secolo]]) fece seguito, fin dall’epoca tetrarchica, una moderata ripresa delle attività produttive che però interessò principalmente la parte orientale dell'Impero. Vari fattori contribuirono a frenare in occidente questa congiuntura economica favorevole, la quale riuscì a presentare una certa consistenza solo in un ristretto numero di aree: [[Cartagine]] con l'Africa Proconsolare e Byzacena, parte della Gallia ede alcune zone dell'Italia Annonaria (Italia Settentrionale). Negli anni in cui si iniziò a conformare l'Impero Romano d'Occidente (395 - 400 circa), la sua economia aveva assunto già da tempo delle particolari connotazioni che potrebbero qui trovare la seguente sintesi:
# preponderanza assoluta delle attività agropecuarie (agricoltura ede allevamento) su quelle industriali e mercantili. Questo fenomeno, tipico di tutte le economie pre-capitaliste era in Oriente molto meno accentuato;
# abnorme sviluppo del latifondo con impiego su larga scala di manodopera servile non sempre di facile reperibilità (nonostante le riforme di [[Diocleziano]] tese a vincolarla alla terra). Nel contempo iniziò a manifestarsi una progressiva scomparsa delle piccole e medie unità produttive ed un graduale spopolamento di numerose province;
# "nazionalizzazione" di talune importanti industrie manifatturiere che provocò la crisi di alcuni settori produttivi. Questa politica economica fu intrapresa un secolo prima dall'imperatore [[Diocleziano]] e mirava ad assicurare una maggiore forma di controllo da parte dello Stato ed una maggiore razionalizzazione degli approvvigionamenti e delle forniture per l'esercito. Il processo interessò soprattutto due fra le più fiorenti attività industriali dell'occidente europeo: quella tessile e quella legata alle armi ede agli equipaggiamenti militari;
# stagnazione quasi generalizzata delle attività commerciali, che contrastava con una ben maggiore vivacità dei traffici nella parte orientale dell'Impero. Quest'ultima poteva vantare tradizioni mercantili più antiche le quali poggiavano su uno sviluppo urbano più accentuato che in occidente.
 
Non va dimenticato che la pressione fiscale, dall'epoca [[Diocleziano|dioclezianea]] in poi, si andò incessantemente incrementando per poter sostenere i costi di mantenimento, sempre più elevati, di un esercito ormai quasi interamente formato da mercenari<ref>{{Cita|Ruffolo|p. 85}}.</ref> e di un apparato burocratico sviluppatosi a dismisura (in quanto al governo servivano sempre più controllori che combattessero l'evasione fiscale ede applicassero le leggi nella vastità dell'Impero). L'aumento della pressione fiscale divenne ben presto intollerabile<ref>{{cita|Ruffolo|p. 109}}.</ref> per le popolazioni meno agiate, mentre i ricchi contavano su appoggi e sulla corruzione; chi ne pagò il costo furono il ceto medio (piccoli proprietari terrieri, artigiani, trasportatori, mercanti) e gli amministratori locali ([[decurione|decurioni]]), tenuti a rispondere in proprio della quota di tasse fissata dallo Stato (''indizione'') a carico della comunità per evitare l'evasione fiscale. Le cariche pubbliche, che in precedenza erano ambite, significavano nel Tardo Impero gravami e rovina. Per arrestare la fuga dal decurionato, dalle professioni e dalle campagne, che divenne generale proprio con l'inasprimento della pressione fiscale tra il III ed il IV secolo d.C., lo Stato vincolò ciascun lavoratore e i suoi discendenti al lavoro svolto fino ad allora,<ref>Stazionaria era l'economia, stazionaria divenne anche la società.</ref> vietando l'abbandono del posto occupato (fenomeno delle "professioni coatte", che nelle campagne finirà per dare avvio, attraverso il ''[[colonato]]'', a quella che nel [[Medioevo]] verrà chiamata "[[servitù della gleba]]").
 
Quando le popolazioni germaniche occuparono i territori dell'Impero d'Occidente, si trovarono di fronte una società profondamente divisa tra una minoranza di privilegiati e una massa di povera gente. È comprensibile, a questo punto, che molti considerassero l'arrivo dei barbari non tanto una minaccia, quanto una liberazione da uno Stato sempre più invadente e prepotente (soprusi dell'esercito e della burocrazia), che aveva perso ogni consenso presso la popolazione più povera,<ref>{{cita|Ruffolo|p. 113}}.</ref> una parte della quale, esasperata dalle guerre e dagli eccessi della tassazione, si diede persino al brigantaggio (in Gallia i contadini ribelli furono detti [[bagaudi]], in Africa nacque il movimento dei [[circoncellioni]]).
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La situazione subì un ulteriore peggioramento con la conquista vandalica del Nordafrica: la perdita di province così prospere (e del loro gettito fiscale) fu un duro colpo per l'Impero romano d'Occidente, che trovatosi per questo motivo in serie difficoltà economiche fu costretto a revocare tutti i benefici fiscali di cui godevano le classi possidenti e a revocare tutti i decreti di esenzione o di riduzione fiscale emanati in precedenza.<ref>{{cita|Heather 2006|pp. 361-362}}.</ref> Questo tentativo di taglio delle spese e di massimizzazione delle entrate non si rivelò però sufficiente a colmare le perdite subite, cosicché, come si ammette in un decreto del 444, lo stato non era più in grado di mantenere un grosso esercito.<ref>Heather stima, in base a un calcolo matematico, che a causa della perdita del Nord Africa, lo stato dovette licenziare almeno {{formatnum:40000}} fanti o {{formatnum:20000}} cavalieri. Cfr. {{cita|Heather 2006|p. 363}}.</ref> Nonostante il tentativo di imporre nuove tasse in modo da migliorare il bilancio, intorno al 450 l'Impero aveva perso circa il 50% della sua base tassabile, e, a causa della costante diminuzione del gettito fiscale, l'esercito romano era diventato pressoché impotente di fronte ai gruppi immigrati.<ref name="cita-Heather-2010-p447"/>
 
Va infine segnalata l'irrazionalità con cui molto spesso si gestiva all'epoca il denaro pubblico: alla fine del IV secolo e agli inizi del V lo Stato doveva farsi ancora carico, con ripartizioni gratuite di frumento e di altri generi di prima necessità, di un consistente numero di indigenti, sfaccendati e altri soggetti che conducevano un'esistenza parassitaria. Questo fenomeno, nato in tarda età repubblicana, supponeva un onere non indifferente per le esauste casse pubbliche del tempo. Indicativo a questo proposito è il caso della città di Roma che annoverava fra la sua popolazione residente, nel 367, ben {{formatnum:317000}} aventi diritto a questa forma di mantenimento. È questa una cifra enorme soprattutto se si considera che la popolazione totale di [[Roma]] si aggirava sulle {{formatnum:800000}}-{{formatnum:1000000}} di unità e che quella dell'Italia (con Sicilia e Sardegna) ruotava attorno ai 6,5 milioni di abitanti. Questa costante emorragia di denaro pubblico, oltre a costituire un pesante gravame per il Tesoro, sottraeva risorse umane e finanziarie allo sviluppo della città di Roma e d'Italia ede alla difesa dell'[[Europa]] e dell'Africa romane.
 
== Cultura, arte e pensiero ==
=== Rinascimento d'Occidente ===
A partire dagli ultimi decenni del IV secolo e fino alla deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre, ede oltre, l'occidente è percorso da fermenti culturali, artistici, religiosi e filosofici che dettero vita a un vero e proprio rinascimento del pensiero romano di espressione latina, che nel secolo e mezzo precedente era stato messo un po' in ombra da quello di lingua greca. Alcuni storici lo definiscono rinascimento teodosiano (o costantiniano-teodosiano), ma c'è chi preferisce definirlo tardo-antico perché non circoscritto al regno di questo imperatore, dilatandosi con il suo ultimo protagonista, il filosofo [[Severino Boezio]], oltre le soglie del VI secolo.
 
=== Pensatori e letterati ===
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Anche l'ultimo grande poeta pagano, il greco-egizio [[Claudio Claudiano]] (nato nel 375 circa), adottò il latino nella maggior parte dei suoi componimenti (la sua produzione in greco fu senz'altro meno significativa) decidendo di passare gli ultimi anni della sua breve esistenza a Roma, dove si spense nel 404. Spirito eclettico ed inquieto, trasse ispirazione, nella sua vasta produzione tesa a esaltare Roma e il suo Impero, dai grandi classici latini ([[Publio Virgilio Marone|Virgilio]], [[Marco Anneo Lucano|Lucano]], [[Ovidio]] ecc.) e greci ([[Omero]] e [[Callimaco]]). Fra i letterati provenienti dalle province occidentali dell'Impero non possiamo dimenticare il gallo-romano [[Claudio Rutilio Namaziano]], che nel suo breve ''[[De reditu suo]]'' (417 circa) rese un vibrante e commosso omaggio alla città di Roma che egli era stato costretto a lasciare per tornare nella sua terra di origine, la [[Gallia]].
 
L'ultimo grande retore pagano che visse ede operò in questa parte dell'Impero fu il patrizio romano [[Quinto Aurelio Simmaco|Simmaco]] spentosi nel [[402]]. Le sue ''Epistulae'', ''Orationes'' e ''Relationes'' ci forniscono una preziosa testimonianza dei profondi legami, ancora esistenti all'epoca, fra l'aristocrazia romana ed una ancor viva tradizione pagana. Quest'ultima, così ben rappresentata dalla vigorosa e vibrante prosa di Simmaco, suscitò la violenta reazione del cristiano [[Prudenzio]] che nel suo ''Contra Symmachum'' stigmatizzò i culti pagani del tempo. Prudenzio è uno dei massimi poeti cristiani dell'antichità. Nato a [[Calahorra|Calagurris]] in Spagna, nel [[348]], si spense attorno al 405, dopo un lungo e travagliato pellegrinaggio fino a Roma. Oltre al già citato ''Contra Symmachum'', è autore di una serie di componimenti poetici di natura apologetica o di carattere teologico fra cui una ''Psychomachia'' (Combattimento dell'anima), una ''Hamartigenia'' (Genesi del Peccato) ed un ''Liber Cathemerinon'' (Inni da recitarsi giornalmente).
 
[[File:Vittore Carpaccio 026.jpg|thumb|upright=1.4|left|[[Vittore Carpaccio]], ''[[Sant'Agostino nello studio (Carpaccio)|Sant'Agostino nello studio]]'']]
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{{Vedi anche|Arte tardoantica|arte teodosiana|arte paleocristiana}}
 
Con il progressivo affermarsi del [[Cristianesimo]] ha inizio, a partire dalla prima metà del IV secolo, la nascita e lo sviluppo di un'[[arte paleocristiana]] che conoscerà il suo massimo rigoglio in Italia e particolarmente nelle città di [[Roma]], [[Ravenna]] e [[Milano]]. Questa nuova forma d'arte troverà la sua espressione più alta nella [[Basilica (architettura cristiana)|basilica]], tipico edificio romano di incontro ede aggregazione della cittadinanza, adibito dai cristiani al culto. Il primo edificio di questo tipo fu, con ogni probabilità, la [[Basilica di San Pietro in Vaticano|basilica di San Pietro]] a [[Roma]], fatta innalzare da [[Costantino I]] nel terzo decennio del IV secolo ed interamente ricostruita in età rinascimentale. Sempre del IV secolo a Roma sono le [[Basilica di San Paolo fuori le mura|basiliche di San Paolo fuori le mura]], [[Basilica di Santa Maria Maggiore|Santa Maria Maggiore]], [[Basilica di San Giovanni in Laterano|San Giovanni in Laterano]] e [[Basilica di Santa Sabina|Santa Sabina]]. A [[Ravenna]], capitale imperiale dal 402, l'attività edilizia fu particolarmente intensa durante tutto il V secolo. Le basiliche di San Giovanni Evangelista (430 circa), di Sant'Agata Maggiore e di Santa Croce sono di questo periodo, come pure il celebre [[Mausoleo di Galla Placidia]] ed il [[Battistero degli Ortodossi]] (451-460).[[File:Porta Nigra um 1900.jpg|thumb|upright=1.4|left| La Porta Nigra di Treviri in una foto del primo Novecento]]
 
Le decorazioni interne di questi capolavori architettonici ravennati sono ancora permeate dal severo realismo romano e non risentono delle influenze dell'arte bizantina (ancora in gestazione) che inizieranno ad essere percepibili solo in epoca teodoriciana (493-526). A [[Milano]], anch'essa capitale imperiale durante il IV secolo, fu edificata la [[basilica di San Lorenzo (Milano)|basilica di San Lorenzo]] (IV secolo, ma con alcune parti, come la cappella di San Sisto, del V secolo) nota per i suoi straordinari mosaici (prima metà del V secolo). Nelle altre province romano-occidentali l'attività artistica sembra abbia subito una battuta di arresto nel corso del IV secolo. Di questo periodo sono due celebrati monumenti della tarda romanità: la basilica di [[Leptis Magna]], fatta innalzare da [[Costantino I|Costantino]] I su un'anteriore struttura del I secolo e, sempre di età costantiniana, la [[Porta Nigra]] di [[Treviri]]. Sempre a [[Treviri]] che, non dimentichiamolo, fu anch'essa residenza imperiale fin da epoca tetrarchica, si può ancor oggi ammirare la Basilica, conosciuta come "Aula Palatina", poderosa struttura in [[laterizio]] del IV secolo.