Norma Cossetto: differenze tra le versioni
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Licia Cossetto (1923-2013), sorella di Norma, testimoniò che dopo l'[[armistizio dell'8 settembre 1943]], la famiglia iniziò a ricevere minacce di vario genere finché il 25 settembre successivo un gruppo di partigiani [[Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia|jugoslavi]] e italiani razziò l'abitazione dei Cossetto<ref name="Sessi38-39">{{Cita|Sessi|pag. 38-9}}.</ref> e, il giorno successivo, Norma fu convocata presso il comando partigiano — composto da combattenti sia italiani sia jugoslavi<ref name="Petacco61">{{Cita|Petacco|pag. 61}}.</ref> — che aveva sede nell'ex-caserma dei [[carabinieri]] di [[Visignano]]; lì la studentessa fu invitata a entrare nel [[resistenza italiana|movimento partigiano]], ma ella oppose un netto rifiuto<ref name=Sessi18>{{Cita|Sessi|pag. 18}}.</ref>. Secondo [[Giacomo Scotti]] (che peraltro non cita alcuna fonte in merito), rifiutò di rinnegare la sua adesione al [[fascismo]]<ref name="Scotti" />, dopodiché uno dei guardiani cui venne consegnata decise di rilasciarla<ref name=Sessi18 />.
L'indomani Norma Cossetto fu arrestata e condotta all'ex-caserma della [[Guardia di Finanza]] di [[Parenzo]] insieme ad altri parenti, conoscenti e amici. Qui fu raggiunta dalla sorella Licia che tentò inutilmente di ottenerne il rilascio. Qualche giorno più tardi [[Visinada]] fu occupata dai [[Germania|tedeschi]], cosa che spinse i partigiani a effettuare un trasporto notturno dei detenuti presso la scuola di [[Antignana]], adattata a carcere. La Cossetto fu tenuta separata dagli altri prigionieri e
{{quote|Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l'abbiamo trovata: mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoci da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all'addome [...] Solo il viso mi sembrava abbastanza sereno. Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente; sono convinta che l'abbiano gettata giù ancora viva. Mentre stavo lì, cercando di ricomporla, una signora si è avvicinata e mi ha detto: "Signorina non le dico il mio nome, ma io quel pomeriggio, dalla mia casa che era vicina alla scuola, dalle imposte socchiuse, ho visto sua sorella legata ad un tavolo e delle belve abusare di lei; alla sera poi ho sentito anche i suoi lamenti: invocava la mamma e chiedeva acqua, ma non ho potuto fare niente, perché avevo paura anch'io"|Dal racconto di Licia Cossetto, sorella di Norma<ref>{{Cita web|url=http://www.anvgd.it/notizie/16103-licia-cossetto-mia-sorella-un-germoglio-che-non-fiori-05ott13.html|titolo=Licia Cossetto: mia sorella, un germoglio che non fiorì|sito=Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Centro Studi Padre Flaminio Rocchi|data=5 ottobre 2013|accesso=6 marzo 2020|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160306170730/http://www.anvgd.it/index.php |dataarchivio=6 marzo 2016|urlmorto=no}}</ref><ref>Gianni oliva, Foibe, Mondadori, Milano, 2003, p 78, Gianni Oliva riferisce la medesima circostanza</ref>}}
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