Filippo Palizzi: differenze tra le versioni

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=== Infanzia ===
Filippo Palizzi nacque a Vasto il 16 giungogiugno 1818 da Antonio Palizzi e Doralice Del Greco. Fu il quinto di nove figli, tutti portati per l'arte (tranne Camillo, appassionato di meccanica), per questo in paese la sua era nota come la famglia delle "nove muse". Il padre fu avvocato e poi impiegato, oltre che insegnante di lettere e cercò più volte di indirizzare i figli verso lo studio. Tuttavia, anche graiziegrazie al consenso della madre, il clima in casa Palizzi era simile a quello di una "grande officina", dove si esercitavano scultura, pittura, meccanica e altre attività gradite ai ragazzi. E'È lo stesso Filippo a raccontare dei numerosi scatti d'ira del padre, che tuttavia non riuscivano mai a tenere lontani i fratelli dalle loro operose attività<ref>Carteggio palizziano, Autobiografia, fascio 6.4.9., c. 50 Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref>. Importante nella formazione dei  fratelli Palizzi fu anche uno zio materno, che conduceva spesso i ragazzi a far visita a un artista popolare, scultore di presepi, il quale ebbe senz'altro un grande impatto sula giovane mente del Palizzi.<ref>Francesco Del Greco, La famiglia Palizzi e il genio, in La Rivista moderna di cultura, III (1900).</ref>
 
=== Napoli e l'Accademia di Belle Arti ===
Nel 1836 Filippo potèpoté raggiungere il fratello Giuseppe a Napoli grazie alla domanda del padre al Consiglio Provinciale di Chieti, il quale l'anno seguente dispose un sussidio di 8 ducati al mese e l'ammissione alla Reale Accademia di Belle Arti<ref>Cartella Palizzi, Lettera del ministro Santangelo, del 28 agosto 1837, Archivio dell'Accademia di Belle Arti, Napoli.</ref>. Quando Filippo arrivò all'Accademia la cattedra di paesaggio era tenuta da Gabriele Smargiassi, proveniente da una benestante famiglia reazionaria di Vasto in conflitto con la famiglia Palizzi, di idee carbonare.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref> Probabilmente anche per questo, oltre che per invalicabili divergenze artistiche,  Filippo abbandonò l'accademia qualche mese dopo la sua ammissione; i motivi di tale scelta furono esplicitati parecchi anni dopo, intorno al 1862, in un saggio polemico dal titolo Un artista fatto dall'Istituto di Belle Arti, scritto subito dopo aver abbandonato una commissione incaricata di riformare l'Istituto. Il Palizzi afferma: <blockquote>L'istituto ha uno statuto per insegnare l'arte, questo statuto è fondato sul principio inesorabile di non fare errori, vale a dire che, entrandovi il ragazzo, ne dovrà uscire un artista corretto [...] Questo principio, per quanto sembra saggio, è falsissimo, distruttore di ingengiingegni e creatore di infinite mediocrità.</blockquote>e ancora: <blockquote>Quello che è più rovinoso per l'arte e nocivo per l'artista è che l'istruzione degli istituti allontana l'artista dalla società e dai suoi tempi. [...] L'Istituto serra dentro le pagine del suo organico gli allievi all'età di dodici anni: gli uomini  a cui sono affidate quelle pagine devono malgrado loro unificare il modo d'insegnamento più o meno inesorabilmente alla scrupolosa spiegazione di esse: guai a chi vorrebbe uscirne, vi è il pericolo di essere ribelle e quindi escluso. L'alievo non deve fare altro che eseguire ciecamente ciò che si vuole da quello statuto, perciò non deve conoscere altro che quei precetti e quegli uomini fino a trentaquattro anni.<ref>Filippo Palizzi, Un artista fatto dall'Istituto di Belle Arti, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref></blockquote>
 
=== Lo studio del vero e il primo viaggio ===
Abbandonata l'Accademia, Filippo iniziò a frequetarefrequentare lo studio del pittore abbruzzeseabruzzese [[Giuseppe Bonolis]], che indirizzava i suoi alieviallievi allo studio del vero. Ancora una volta insoddisfatto intraprese uno studio personale sul tema "ritrarre animali dal vero", dal momento che aveva conservato il diritto di partecipare ai concorsi indetti dall'Accademia. Per questo Filippo si spostò nelle campagne verso Posillipo e Cava dei Tirreni, dividendo il poco cibo con qualche pastorello del luogo in cambio di poterne studiare un agnellino, un cane o una mucca. Filippo di classificò primo e considerò l'esperienza determinante per tutta la sua arte successiva.<ref>Carteggio palizziano, Autobiografia, fascio 6.4.9., c. 50 Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref> Nel 1839 espose per la prima volta un quadro nell'esposizione biennale al Reale Museo Borbonico, uno Studio di animali, n. 152 del catalogo, che venne acquistato dalla Duchessa di Berry.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref> Il 25 ottobre 1842 intraprese il suo primo viaggio all'estero, fino a Galați, chiamato dal principe Maronsi per insegnare pittura al fgliofiglio. Il viaggio attraveròattraversò Stromboli, Messina, Mlata, Capo, Matapan, Smirne e Istanbul, dove si trattenne una settimana, per poi raggiungere l'Asia Minore. Filippo scrive così del viaggio al padre: <blockquote>E' impossibile immaginare il contento che ho inteso vedere tante novità, città, campagne, isole, costumi e tante altre cose delle quali ne ho ritratti i disegni.<ref>Carteggio palizziano, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref></blockquote>Dopo due anni Filippo tornò a Napoli, dove trovò il fratello Giuseppe osteggiato e screditato da alcuni professori dell'Accademia, e quindi deciso a trasferirsi a Parigi. Filippo rimase motlo scosso dalla partenza del fratello, come ebbe modo di raccontare,in terza persona, in uno scritto incompleto conservato nella Biblioteca di Vasto.<blockquote>Partito suo fratello, Filippo si ritirò a casa e rimase muto per varii giorni e prendendo coraggio da' suoi propositi e pensieri per l'avvenieavvenire, confortati dalla fede, risoluto riprese i suoi lavori e le sue abitudini artistiche e sociali.<ref>Carteggio palizziano, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref></blockquote>
 
=== Usi e costumi di Napoli ===
Nei primi anni Cinquanta il successo di Filippo era cresciuto al punto di raggiungere l'America e la Russia. Fu allora che Francesco De Boucard, editore svizzero amante di Napoli, ideò una raccolta di acqueforti tirate a torchio e colorate a mano che raffigurassero scene di vita popolare napoletana, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti. De Boucard si interessò alla parte letteraria mentre il Palizzi si occupò di quella artistica. Si trattava di 49 tavole in tiratura limitatissima, solo 100 copie. Tuttavia Filippo dovette chiedere l'aiuto di altri artisti poiché era impensabile che potesse dipingere a mano ben 4900 tavole. La raccoltàraccolta diventò subito introvabile e ancora oggi resta impresa ardua riunire tutte le tavole per una mostra.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref>
 
=== In viaggio per L'Europa e per l'Italia ===
Nel 1855 Filippo intraprese uno dei viaggi più interessanti della sua vita. Deciso di ritrovare il fratello Giuseppe a Parigi, anche in vista dell'Esposizione universale. Qui Filippo conobbe molti artisti francesi, tra cui i celebri paesaggisti della scuola di Barbizon. Al ritorno dalla Francia il Palizzi visitò anche Belgio e Olanda, riportando notevoli schizzi e appunti. Durante il ritorno in Italia visitò numerose città per la prima volta, tra cui Roma e Firenze. Nel capoluogo toscano è significativo l'incontro con [[Giovanni Fattori]] e gli altri pittori che di lì a poco avrebbero dato vita al movimento dei [[macchiaioli]] e ai quali mostrò gli studi dei ''barbizonniers'' che aveva portato dal recente viaggio a Parigi.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref>
 
=== Gli incarichi ufficiali ===
[[Immagine:Palizzidiluvio.JPG|thumb|"Dopo il diluvio"|349x349px]]Dopo l'Unità d'Italia Filippo Palizzi diventò sempre più una personalità importante nel panorama culturale italiano. NonstanteNonostante riscuotesse ormai la fama di vero innovatore dell'arte italiana Filippo si rifiutò di esporre alla prima Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, commentandola con una lettera all'amico Eleuterio Pagliano del 28 ottobre 1861:<blockquote>L'Esposizione è un caos di Passato, Presente e Avvenire. Di opere buone poche, di mediocri molte, di pessime moltissime.<ref>Carteggio palizziano, lettera ad Eleuterio Pagliani, pubblicata da Picone Petrusa, 1991.</ref></blockquote>Nello stesso anno entrò a far parte di una commissione incaricata di riformare l'istituto di Bell Arti ma ne uscì poco dopo, esprimendo le motivazioni nel già citato saggio polemico Un artista fatto dallIstitutodall'Istituto di Belle Arti. Per le stesse motivazioni nel 1864 fondò, insieme al'incisore siciliano Saro Cucinotto, il giornale L'arte moderna, dal sottotitolo Foglio da pubblicarsi finché non si sciolga il ReasleReale Istituto di bellbelle arti, riprendendo in parte quanto pochi anni prima aveva sostenuto [[Courbet]] in un celebre articolo, considerato il manifesto del [[Realismo]], nel quale il pittore francese sosteneva che l'arte non si può insegnare in nessuna scuola.<ref>M. Picone Petrusa, Fra Napoli e Parigi: i Palizzi e la poetica della ‘macchia’, in Dal vero. Il paesaggismo napoletano da Gigante a De Nittis (catal.), a cura di M. Picone Petrusa, Torino 2002.</ref>
 
<nowiki> </nowiki>Nel 1867 ottene il passaporto, valido un anno, per la Francia, e, in occasione dell'Esposizione Universale di Parigi  presentò ben sei dipinti, tra cui il celebre Dopo il diluvio, commissionato nel 1861 dal Vittorio Emanuele II e figlio di un lungo periodo di incubazione, durante il quale il pittore dubitò persino di riuscire a realizzarlo. In realtà l'opera riscosse immediatamente un enoreenorme e inatteso successo, che lo stesso Filippo descrisse così ai fratelli:<blockquote>Il quadro era alla fine, il pubblico ha invaso il mio studio, non permettendomi di dare gli ultimi tocchi. Ho posato la tavolozza da un mese quasi,e dalle undici alle quattro non sono occupato ad altro che a ricevere visitatori da tutte le classi della società, e sempre con crescente successo. Tutti i giornali l'hanno annunziato per poi parlarne per esteso  quando sarà esposto al museo; infine se ne parla da pertuttodappertutto e da tutti, se lo descrivono, lo magnificano fino all'entusiasmo, e corrono a vedere e trovano poi un'altra novità.<ref>Filippo Palizzi, lettera ai fratelli Giuseppe e Francesco Paolo, 21 marzo 1864, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref> </blockquote>La morte dei fratelli Nicola e Francesco Paolo, nel 1870 e nel 1971, segnarono molto il pittore vastese, che diventò solitario e scontroso, ma che continuò a dipingere ritirato nel suo studio. Tuttavia si recò a Vienna nel 1873 come giurato per l'EsposizionEsposizione Universale.
 
=== Gli anni della vecchiaia ===
Nello 1878 anno Filippo si lasciò convincere dall'amico Francesco De Sanctis (allora ministro della Pubblica IstruzoneIstruzione) e dal Morelli ad assumere la presidenza del Real Istituto di belle arti di Napoli, con lo scopo di riformarlo e di rendere i suoi metodi di insegnamento al passo coi tempi. Filippo accettò con reticenza, conscio del duro lavoro che lo aspettava e della resistenza che avrebbe incontrato, specie in un corpo docenti tradizionalista e conservatore. Filippo affrontò con impegno l'indisciplina degli alunni, la fiacchezza dell'insegnamento, l'anarchia del personale e il disordine amministrativo. Vennero istituite nuove materie, tra cui anatomia e studio delle piante, e vennero assunti due nuovi insegnanti. Tuttavia durante il secondo anno i professori rimasti disponibili per contiuarecontinuare il rinnovamento erano troppo anziani e abituati a metotdimetodi di insegnamento antiquati; trai questi figurava ancora il vastese Gabriele Smargiassi, ormai ottantacinquenne, col quale si erano riaccesi antichi rancori. Il Consiglio Direttivo, come se non bastasse, non svolgeva le sue funzioni e l'intero andamento dell'Istituto poggiava sulle spalle del Palizzi e del professore di pittura. In questo modo Filippo aveva dovuto abbandonare ogni altro incarico e non aveva più potuttopotuto dedicarsi al suo studio. Per questi motivi nel 1880 chiese le dimissioni, che venero rifiutate.<ref>Carteggio palizziano, lettera a De Sanctis, dicembre 1880, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref> Finalmente nel 1881 Filippo ottenne le dimissioni da Direttore dell'Istituto  e potèpoté tornare alla tranquillità del suo studio. Il 24 ottobre dello stesso anno però, sempre su proposta del Morelli, ottenne la direzione dei Museo Artistico Industriale di Napoli e diede inizio all'officina di ceramica.. Gli incarichi e le onorificenze continuavano ad aggiungersi ma il Palizzi non trascurava mai la pittura, trascorrendo i mesi estivi a Castellammare, luogo di villeggiatura dell'alta società. Qui Filippo fece amicizia con la granduchessa Olga di Russia, che aveva sentito di lui a Pietroburgo e a Mosca e che volle diventare sua alievaallieva, dimostrando abilità ed entusiasmo.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref> Intanto il Palizzi continuava a scrivere al fratello Giuseppe, residente ancora a Parigi, cercando di convincerlo a tornare in patria:<blockquote>...Ho ricevuto la tua lettera del 16 dicembre corrente. Essa mi ha impensierito sulla tua posizione, la quale, veggo, diventa più difficile. La vecchiaia è venuta, non ti hai potuto fare una posizione, hai lavorato molto e speri ancora nel tuo lavoro. Non so cosa speri più da codesto Paese, che colle continue illusioni ti ha consumato la vita. Io da tempo ti ho avvertito di prendere risoluzione, ma tu hai sperato.<ref>Carteggio palizziano, lettera a Giuseppe Palizzi, marzo 1879, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref></blockquote>e ancora più disilluso, nel 1884:<blockquote>Ormai a 70 anni non v'è più nulla da sperare in questo mondo. Il presente ci pesa e ci schiaccia, ci sono due generazioni dopo di noi e sono già vecchi e vivono tormentati e senza l'ideale di un avvenire come il nostro... non hia altro da fare che raccogliere quello che puoi, e venire qui, dimenticando tutto il passato, vivere tranquillo e rassegnato, staremo insieme e ci divideremo il pane, penso che questo sia il solo modo di uscire da uno stato da dove non si può tornare indietro.<ref>Carteggio palizziano, lettera a Giuseppe Palizzi, 1884, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref></blockquote>Giuseppe tuttavia decise di rimanere a Parigi, e morì nel gennaio 1888 a Passy. Nel 1991 Filippo accettò di tornare alla presidenza dell'istituto di Belle Arti per un quinquennio, convinto dall'allora Ministro della Pubblica istruzione Pasquale Villari. Accolse inoltre le cariche di professore di pittura di paese e di animali e fu accolto con grandi festeggiamenti. Nel 1996 il suo ruolo di Presidente venne ulteriormente rinnovato per altri 5 anni.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref>
L'11 settembre 1899 a Napoli Filippo Palizzi morì, all'età di ottantuno anni.
 
== L'interessinteresse patriottico ==
Filippo Palizzi non mancò di interessarsi agli avvenimenti risorgimentali intorno al 1848, come manifestato dai dipinti "La sera del 18 febbraio 1848 a Napoli" e "Le Barricate del 15 maggio 1848". Possiamo conoscere il pensiero di Filippo riguardo i moti che coinvolsero il sud Italia negli anni del risorgimento grazie ad una lunga e appassionata lettera al fratello Giuseppe, scritta per raccontargli la conquista della costituzione.<blockquote>Napoli. Carissimo Peppino, Viva l'Italia! Via Pio IX! Via il Regno delle due Sicilie! Viva la costituzione! Viva il re Ferdinado II, grida con noi fratellino: Viva, Viva! Sabato 11 febbraio abbiamo avuto la sospirata costituzione che ci era stata promessa dal 25 gennaio. Eccoci lberi! Gli italiani sono tutti uniti, formano una famiglia, si chiamano fratelli, caldi di amor patrio si preparano a sostenere i loro diritti e la gloria della quale sono stati sempre i figli prediletti. [...] L'iItalia è un leone che il peso delle catene aveva reso servo e muto. Ma nessuno gli ha potuto togliere il coraggio e gli artigli. Ora sorge con impeto. Ha rotto le catene e il suo ruggito risuona vittorioso su tutta l'Europa. Gli italiani sono animati da una sola fiamma, una fiamma che per estinguerla, bisognano fiumi di sangue. Se tu sapessi i particolari di ciò che è avvenuto nel nostro regno, rimarresti attonito! [...] Nelle menti di tutti bollivano sentimenti liberali. Il rigore della polizia ci mise con le spalle al muro, ma l'opinione generale a passi di gigante camminava e finalmente cominciò a manifesrarsimanifestarsi, ora con manoscritti, ora con proteste in stampa, ora con scritti, affissi nelle strade, ecc...</blockquote>riguardo ai moti palermitani Filippo scrive:<blockquote>Caro Peppino, è impossibile descrivere i fatti d'armi dei palermitani in questa rivoluzione, la nostra storia sarà arricchita da una pagina che forse supera tutte e altre [...] Basta dirti l'unità, l'ordine,  il coraggio, la generosità che hanno mostrato i siciliani, dall'ultimo cittadino fino ai signori. [...]<br>a questo punto tratta le vicende di Napoli e dintorni:<br>
Le prime notizie di Palermo misero in agitazione tutto il regno, rinvigorirono gli animi. [...] Il popolo crebbe in numero spaventevole, e al Largo delle Pigne si avviarono verso Toledo e Palazzo Reale. E che vedevi! Tutti i balconi pieni di signore e signorine che sventolavano i fazzoletti e bandierine tricolori; il popolo che gridava viva Pio IX! Viva l'Italia! Palermo, i martiri e viva la Costituzione! I visi di tutti erano accesi dall'ardente fiamma della libertà; tutti avevano le lacrime agli occhi, leggevi nei loro visi: O liberi o morire! [...] Le truppe in un momento si erano schierate intorno al palazzo e in tutti i quartieri. Cannoni dirimpetto a Toledo nel largo del Castello, ecc...  con le mine accese pronti al comando. </blockquote>infine, riguardo la concessione:<blockquote>Come descriverti il subitaneo cangamento di cinquecentomila napoletani? Si passa dalla morte alla vita, dallo stato più disperato alla gioia! [...] Si piangeva di gioia, ci abbracciavamo l'un l'altro, si gridava da ogni parte: Evviva! [...] Il re verso mezzogiorno percorse Toledo a cavallo. La scena fu commovente. La riconoscenza del popolo  commosse il sovrano fino alle lacrime; con le coccarde e le bandiere tricolori lo festeggiarono. In poch giorni si propagò per le provincie la Costituzione, a cui fece eco la Capitale e rasserenò tutti dall'agitazione; come pure per tutta l'Italia che aspettava con impazienza l'esito della nostra rivoluzione, dalla quale dipendeva la sorte dell'intera Italia.<ref>C. Lorenzetti, Il naturalismo di Filippo Palizzi, in "Il Fluidoro", a. II, n. 7-10, Napoli</ref></blockquote>Inoltre nel 1861 Filippo Palizzi realizzò un ritratto di Garibaldi a cavallo, il quale fu riprodotto in eligrafia e diffuso in migliaia di copie, contribuendo a rendere popolare tra il popolo l'"Eroe dei due mondi". Dallo stesso sentimento patriottico sono ispirati ''Gruppi di Garibaldini prima della battaglia del Volturno'', ''Il Principe Amedeo all'Assalto della Cavalchina'', ''Il Principe Amedeo  ferito condotto alall'ambulanza''amblulanza e ''La carica dei Cavalleggeri d'Alessandria''.<ref>Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto, Palazzo D'Avalos, 1988.</ref>
 
== Stile e opere ==
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Fu tra i primissimi pittori a interessarsi di fotografia e a praticarla sulla base di conoscenze tecniche molto approfondite. Sappiamo infatti che fin dall'inizio degli [[Anni 1850|anni cinquanta]] era in grado di preparare da solo le lastre fotografiche e utilizzava normalmente le immagini fotografiche, proprie o di altri, come modello per i suoi dipinti. Si vede dalle sue lettere che condivise questa pratica con tutti i suoi fratelli.
 
Il suo [[stile]], affine a quello del fratello che si formò d'altronde indipendentemente da lui, si orientò verso una tecnica più minuta e statica con dipinti di piccole vedute e angoli rustici dei dintorni di [[Napoli]].
 
Fu definito anche "il pittore degli animali" con riferimento a una delle sue tematiche preferite.
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Dal racconto di Domenico Morelli apprendiamo che da giovane Filippo era desideroso di studiare l'anatomia ma, non avendo i mezzi per comprarne un trattato, ne prese in prestito uno per pochi giorni e decise di copiarlo, ma non si limitò alle sole immagini, copiò esattamente anche il testo, imitando alla perfezione perfino i caratteri di stampa.<ref>D. Morelli - E. Dalbono, La scuola napoletana di pittura nel secolo XIX ed altri scritti d’arte, a cura di B. Croce.</ref>
 
Ancora il Morelli ci racconta di come Filippo fosse amato da una giovane sarta, la quale un giorno decise di regalargli un magnifico scialle ricamato. In quei giorni di ristrettezza, però, il Palizzi si struggeva di dipingere non potedosipotendosi permettere gli strumenti necessari, quindi, il giorno stesso del regalo, vendette lo scialle, comperò i colori e si rimise a dipingere.<ref>D. Morelli - E. Dalbono, La scuola napoletana di pittura nel secolo XIX ed altri scritti d’arte, a cura di B. Croce</ref>
 
Il 6 novembre 1891 il Palizzi ricevette una missiva dal Ministero della Pubblica Istruzione, il quale chiedeva un'opera da destinare alla Galleria d'Arte Moderna di Roma, al prezzo di L. 10.000, la somma maggiore che consentisse il regolamento. Filippo, che non aveva pronta nessuna opera,  decise di inviare tutti i suoi  300 studi e di spendere il compenso interamente in cornici. Nella lettera che inviò al Ministro lì definì:<blockquote>[...]in complesso un'opera sola, l'opera della vita di un artista vissuta solo per l'Arte.<ref>Carteggio palizziano, lettera al Ministro della Pubblica Istruzione, gennaio 1891, Biblioteca Comunale Gabriele Rossetti, Vasto.</ref></blockquote>
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* [[Museo artistico industriale Filippo Palizzi]]
* [[Istituto Statale d'Arte "Filippo Palizzi"]]
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== Altri progetti ==
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