Giusnaturalismo: differenze tra le versioni

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{{vedi anche|Platone}}
[[File:Plato-raphael.jpg|upright=0.7|left|thumb|Platone.]]
Nell'opera platonica il valore della legge è stato inizialmente misconosciuto, poiché nello Stato descritto nella ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' non v'è alcun bisogno di leggi: i suoi cittadini sono condotti all'agir bene dall'opera educativa dello Stato, mentre i governanti, essendo filosofi, sono buoni in sé e non devono soggiacere ad alcun norma che limiti i loro poteri.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 52.|Fas1}}</ref> Tuttavia, il valore della legge è riconosciuto dal filosofo in opere più tarde, nel ''[[Politico (dialogo)|Politico]]'' e nelle ''[[Leggi (dialogo)|Leggi]]''; anzi, nel ''Politico'', il governo retto dalle leggi è quello che distingue le buone forme di governo dalle cattive.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 54.|Fas1}}</ref> Ma, bisogna dire, nemmeno nel ''Politico'' al diritto è riconosciuto vero valore, perché «una legge, anche se comprendesse perfettamente ciò che è migliore e nello stesso tempo più giusto per tutti, non sarebbe mai in grado di dare gli ordini migliori: infatti le incongruenze degli uomini e delle azioni, e il fatto che non vi è mai nulla, per dire, che non sia in fermento nella condizione umana, non permettono che nessun'arte, quale che essa sia, sveli qualche semplice formula, in nessun ambito, valida per qualsiasi questione e in tutti i tempotempi».<ref>{{Cita|Platone|294a-c.|PlatOpII}}</ref> Dunque, la mancanza di valore etico del diritto comporta che anche le forme di governo buone perché rette dalle leggi siano, invero, degeneri, poiché veramente buono è solo lo Stato assolutamente giusto.<ref name=Fas55>{{Cita|G. Fassò|p. 55.|Fas1}}</ref> Quanto scritto nella ''Repubblica'' non sarà mai rinnegato da Platone, ma dall'indifferenza per il giuridico si passerà a cogliere l'utilità del diritto, poiché esso rende più sopportabile lo svolgimento dell'esistenza entro le strutture delle forme di governo realizzabili storicamente.<ref name=Fas55/>
 
Nell'ultima sua opera, le ''Leggi'', Platone, pur continuando a non considerare la legge sotto il suo aspetto propriamente giuridico, le assegna valore morale e una funzione educativa all'interno dello Stato. La maggiore differenza che intercorre fra la ''Repubblica'' e le ''Leggi'' si rinviene proprio in questo riconoscimento assiologico, poiché, per quanto concerne altri aspetti, lo Stato cui guarda Platone è sempre quello [[Stato etico|etico]].<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 56.|Fas1}}</ref> La funzione dello Stato etico delle ''Leggi'' è svolta non già dai filosofi, come avveniva nella ''Repubblica'', bensì dalla legge, la quale cura i mali morali e commina sanzioni, istruendo i cittadini: proprio in questo riconoscimento etico-[[Pedagogia|pedagogico]] sta la rivalutazione della norma giuridica.<ref name=Fas57>{{Cita|G. Fassò|p. 57.|Fas1}}</ref> Il valore educativo della legge è il suo valore morale; e il valore educativo trova il suo fondamento nella ragione: se nella ''Repubblica'' i filosofi reggevano lo Stato perché depositari della conoscenza razionale, nello Stato delle ''Leggi'' la norma giuridica governa in quanto è ragione.<ref name=Fas57/> Gli uomini, sostiene Platone, sono «come una marionetta costruita dagli dèi o per gioco o per uno scopo serio» ed essendo dominati dalle passioni, vengono tirati «come corde o funicelle [...] antitetiche l'una all'altra», le quali spingono «in senso inverso ad azioni opposte rispetto alla linea che divide la virtù e il vizio».<ref>{{Cita|Platone|I, 644d-644e.|Nomoi}}</ref> «La ragione», prosegue Platone, «raccomanda di cedere sempre a una sola di tali trazioni [...] e di resistere alla trazione delle altre»: la sequela dell'unica trazione, conclude il filosofo, «è l'aurea e sacra guida della ragione che viene chiamata legge pubblica della città».<ref>{{Cita|Platone|I, 644e-645a.|Nomoi}}</ref> E l'educazione, soggiunge poco più oltre il filosofo, consiste nel «condurre» i fanciulli verso il principio della retta ragione (''lógos orthós'') che la legge dichiara giusto.<ref name=Fas57/><ref>{{Cita|Platone|II, 659d.|Nomoi}}</ref>