Storia del fascismo italiano: differenze tra le versioni

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Il 23 giugno 1919 si insediò il governo di [[Francesco Saverio Nitti]], sostituendo il dimissionario Vittorio Emanuele Orlando, dopo le delusioni seguite ai trattati di pace. Le politiche intraprese da Nitti sollevarono un fortissimo malcontento, soprattutto fra militari, reduci congedati e nazionalisti.
 
Il 19 settembre, [[Gabriele d'Annunzio]] ruppe gli indugi e alla testa di reparti ammutinati del Regio Esercito marciò su [[Stato libero di Fiume|Fiume]] dove, ''[[manu militari]]'', instaurò un governo rivoluzionario con l'obiettivo di affermare l'unione all'Italia del comune carnero. Questa azione fu immediatamente esaltata dal movimento fascista, anche se Mussolini non offrì – né avrebbe potuto offrire – alcun reale appoggio alla causa dei legionari. Per il suo contributo politico e alla propaganda, già all'epoca il [[poeta vate|poeta]] D'Annunzio (''[[Rito scozzese antico ed accettato|Massone di 33° grado]]'') fu definito il ''[[vate]] del fascimofascismo italiano''.
 
Le [[elezioni politiche italiane del 1919]] (per la prima volta secondo il sistema proporzionale) videro il trionfo dei due partiti di massa: il [[Partito Socialista Italiano]] che si affermò primo partito con il 32% dei voti e 156 seggi e il neonato [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]] di [[don Sturzo]] che, alla sua prima prova elettorale ottenne il 20% dei voti e 100 seggi. Il movimento fascista, presentatosi nel solo collegio di [[Milano]], con una lista capeggiata da Mussolini e [[Filippo Tommaso Marinetti|Marinetti]], raccolse meno di 5.000 suffragi sui circa 370.000 espressi, non riuscendo a eleggere alcun rappresentante.