Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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Con la sua partenza, fu la sorella Rosina, non ancora diciottenne, ad avere il compito di mantenere la famiglia. Rosina, rimasta in casa a lavorare per tante ore al giorno, ricevette continue proposte da un uomo invaghito di lei, un certo don Peppino Carli. La ragazza, completamente disinteressata, gli mostrò sempre indifferenza e lui, non sopportando i suoi continui rifiuti, andò in giro a diffamarla; infine costui avrebbe incaricato una mezzana di approcciarla. Rosina scioccata sfregiò con il rasoio il viso della mezzana, e quindi, fuggì dai parenti per invocare protezione e aiuto.<ref>{{cita|Come divenni brigante|p. 30}}.</ref> Crocco seppe dell'accaduto e, furibondo, volle riparare l'offesa subita dalla sorella.
 
Conoscendo le abitudini di don Peppino, che generalmente frequentava un circolo per giocare d'azzardo nelle ore serali, attese il ritorno del signorotto davanti laalla sua abitazione. Al suo arrivo, gli domandò il perché del suo gesto nei confronti della sorella, dandogli del "mascalzone". Don Peppino non tollerò l'aggettivo attribuitogli e gli diede un colpo di frustino in viso. Colto dall'ira, Crocco estrasse un coltello e lo uccise.<ref>{{cita|Pedio|p. 265}}.</ref> Compiuto l'assassinio, fu costretto alla fuga e ad abbandonare il servizio militare, trovando rifugio nel [[bosco]] di [[Forenza]], posto in cui era facile trovare altre persone con guai giudiziari.
 
Sospettando che il brigante, con il racconto del delitto d'onore, avesse voluto accampare una giustificazione morale della sua vita di fuorilegge, il capitano Eugenio Massa, che collaborò alla realizzazione dell'autobiografia di Crocco, condusse accurate indagini sul posto quarant'anni dopo. Con l'ausilio del medico [[Basilide Del Zio]], Massa riuscì ad accertare che a Rionero, negli anni cinquanta dell'Ottocento, non aveva avuto luogo nessun delitto nelle circostanze descritte da Crocco.<ref>{{cita|Cinnella|p. 200}}.</ref> Nella biografia sul brigante, [[Basilide Del Zio]] confermò la versione di Massa, sostenendo che tale vicenda del delitto d'onore fosse priva di fondamento.<ref>"''Il capitano Massa, in data 24 aprile 1902, mi scriveva: «Il Crocco nella sua autobiografia dice che il 19 marzo 1849 andò soldato, e che prestò servizio per 42 mesi. Egli soggiunge che da Gaeta ove trovavasi di guarnigione, ebbe notizia che certo don Peppino... di Rionero, avesse cercato sedurne la sorella, e che a tale notizia divisò disertare 'Avevo una pendenza di onore, continua il Crocco, la risolsi con una sfida al coltello e poscia fuggii da Gaeta, riuscendo a giungere incolume a Rionero, dove uccisi il seduttore di mia sorella'». Ed il Massa, ben a ragione, diceva essere questo un punto oscuro del Crocco, e dallo studio del processo e dalle notizie assunte dai contemporanei del suo paese, come nel Municipio, mi è risultato essere completamente falso. È un'asserzione gratuita del bandito, che, per non classificarsi ladro, e condannato come tale, inventa una storia d'onore, la crea con tutte le forme della fantasia, la dipinge minutamente e cerca contornarla talmente bene da crederla quasi egli stesso. E si appassiona a questa sua credenza, e la costituisce come base di tutti i suoi delitti''". {{cita|Del Zio|p. 120}}.</ref> Ciononostante, la storia del delitto d'onore è stata presa sul serio, secondo lo storico [[Ettore Cinnella]], poiché per molto tempo si è attinto alle ristampe successive dell'autobiografia di Crocco, senza le note e l'apparato critico a cura di Massa che accompagnavano la prima edizione. In questo periodo Crocco iniziò ad avere i primi contatti con altri fuorilegge, costituendo una banda armata che visse di rapine e furti. Fu arrestato e rinchiuso nel bagno penale di [[Brindisi di Montagna|Brindisi]] il 13 ottobre [[1855]], ricevendo una condanna di 19 anni di carcere. Il 13 dicembre [[1859]] riuscì ad evadere, nascondendosi tra i boschi di [[Monticchio (Rionero in Vulture)|Monticchio]] e [[Lagopesole]].