Fotone: differenze tra le versioni

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| volume = 1888 | pp = 1297–1307}}</ref> facendo sembrare errato il modello particellare.
 
Le [[equazioni di Maxwell]], tuttavia, non tengono conto di ''tutte'' le proprietà della luce: esse mostrano infatti la dipendenza dell'energia luminosa in funzione delldall'intensità della radiazione, e non delladalla [[frequenza]], mentre alcuni esperimenti riguardanti la [[fotochimica]] mostrano che in alcuni casi l'intensità non contribuisce all'energia trasportata dall'onda, che dipende esclusivamente dalla frequenza. Anche le ricerche sul [[corpo nero]], portate avanti da vari scienziati nella seconda metà del XIX secolo,<ref name="Wien1911">
{{Cita web
| cognome=Wien |nome=W. |wkautore=Wilhelm Wien
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}}</ref> evidenziano che l'energia che ogni sistema assorbe o emette è un multiplo intero di una grandezza fondamentale, il quanto dell'energia elettromagnetica.
 
Gli studi sull'[[effetto fotoelettrico]] effettuati all'inizio del Novecento da diversi grandi scienziati, tra cui principalmente [[Albert Einstein]], mostranomostrarono infine che la separazione degli elettroni dal proprio atomo dipende esclusivamente dalla frequenza della radiazione dalla quale sono colpiti,<ref>Frequency-dependence of luminiscence p. 276f., photoelectric effect section 1.4 in {{Cita libro
| cognome=Alonso | nome=M.
| coautori=E.J. Finn
Riga 155:
| anno=1968
| isbn=0-201-00262-0}}</ref>
e pertanto l'ipotesi di un'energia quantizzata diventadiventò necessaria per descrivere gli scambi energetici tra luce e materia.<ref name="Einstein1909" />
 
Il "[[quanto]]" fu introdotto come costituente elementare di queste radiazioni da [[Max Planck]] nel 1900, come entità non ulteriormente divisibile. Nell'ambito dei suoi studi sul [[corpo nero]] il fisico tedesco, ipotizzando che gli [[atomi]] scambianoscambino energia permediante "pacchetti finiti", formulò un modello in accordo con i dati sperimentali. In questo modo risolse così il problema dell'emissione infinita nella radiazione del [[corpo nero]] (problema noto come "[[catastrofe ultravioletta]]"), che emergeva applicando le [[equazioni di Maxwell]]. La vera natura dei quanti di luce restò inizialmente un mistero,: lo stesso Planck li introdusse non direttamente come entità fisiche reali ma piuttosto li considerò uncome espediente matematico utile aper far quadrare i conti.<ref>"La Fisica di Amaldi", vol. 3, elettromagnetismo, fisica atomica e subatomica, ed. Zanichelli, 2012, pagg. 408 e 416.</ref>
La teoria dei [[quanti]] di luce, o fotoni dal 1926, fu proposta anche da Albert Einstein nel 1905, a seguito dei suoi studi sull'[[effetto fotoelettrico]], per spiegare l'emissione di [[elettroni]] dalla superficie di un [[metallo]] colpito da [[radiazione elettromagnetica]], effetto che esibiva anch'esso dati in disaccordo con la classica teoria ondulatoria di [[James Clerk Maxwell|Maxwell]]. Einstein introdusse radicalmente l'idea che non solo gli atomi emettono e assorbono energia in "pacchetti finiti", i quanti proposti da Max Planck, ma che è la stessa [[radiazione elettromagnetica]] ad essere costituita da [[quanti]], ossia da quantità discrete di energia, poi denominati fotoni nel 1926. In altri termini, poiché la [[radiazione elettromagnetica]] è quantizzata, l'energia non è distribuita in modo uniforme sull'intera ampiezza dell'[[onda elettromagnetica]], ma concentrata in vibrazioni fondamentali di energia.
 
Sebbene il fisico tedesco accettiaccettasse la validità delle equazioni di Maxwell, nel 1909<ref name="Einstein1909">
{{Cita pubblicazione
| cognome = Einstein | nome = A. | linkautore = Albert Einstein