Pensione di reversibilità: differenze tra le versioni

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{{F|diritto del lavoro|aprilegiugno 20102019}}
La '''pensione di reversibilità''', in Italia, è la quota parte della [[pensione]] complessiva che spetta ad uno dei due coniugi al sopraggiungere della morte dell'altro.
 
== Cenni storici ==
Venne introdotta col regio decreto legge 14 aprile 1939-XVII, n. 636 - convetrito in legge 6 luglio 1939, n. 1272 - come misura di tutela delle donne che non avessero una pensione propria e che, alla morte del coniuge, restavano prive di un reddito minimo. Nel [[secondo dopoguerra]] varie sentenze della [[Corte costituzionale della Repubblica Italiana]] hanno annullato leggi che negavano la reversibilità in base alla differenza di età tra i coniugi e alla durata del matrimonio (n. 587/1988, 123/1990, 189/1991, 450/1991). Altrove si è stabilito che è lecita una riduzione progressiva e proporzionale del ''quantum'' (n. 211/1997 e n. 416/1999), ma non negare l'''an'' dello stesso trattamento previdenziale, aspetti nettamente distinti dal punto di vista giuridico (non da quello economico), come per le norme annullate in precedenza, che precludevano in determinati casi l'accesso al trattamento pensionistico ''tout court''.
È stata introdotta in [[Italia]] nel 1939 con la Legge n. 1272, nell'ambito del cosiddetto "diritto della vedova", un insieme di diritti e tutele, rivolto in particolare alle donne che non avevano una pensione propria, e, alla morte del coniuge, restavano prive di un reddito minimo.
 
Con sent. 497/1988, la Corte ha stabilito, per tutti i trattamenti di pensione, risultano in contrasto con l'art 38 della Costituzione le norme
L'art. 18, comma 5, del D.L. 98/2011 aveva introdotto limitazioni alla quota percentuale della pensione spettante ai superstiti dell'assicurato o pensionato deceduto, per contrastare la pratica dei matrimoni cosiddetti "di comodo" (la riduzione, che operava nei casi in cui il matrimonio era stato contratto ad età del pensionato superiore a 70 anni e la differenza di età tra i coniugi era superiore a 20 anni, era pari al 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto al numero di 10), ma la Corte costituzionale, con sentenza 15 giugno - 14 luglio 2016, n. 174, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente norma.
 
{{citazione|in quanto la eccessiva esiguità del trattamento erogato dimostra che la norma... ha privato... il ricorrente di mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, e la vigente disciplina comporta sicuramente l'attribuzione di un trattamento insufficiente a garantire la sua libertà del bisogno}}
Numerose sentenze della Consulta hanno annullato leggi che negavano la reversibilità in base alla differenza di età tra i coniugi e alla durata del matrimonio (n. 587/1988, 123/1990, 189/1991, 450/1991). <br />Altrove si è stabilito che è lecita una riduzione progressiva e proporzionale del ''quantum'' (n. 211/1997 e n. 416/1999), ma non negare l'''an'' dello stesso trattamento previdenziale, aspetti nettamente distinti dal punto di vista giuridico (non da quello economico), come per le norme annullate in precedenza, che precludevano in determinati casi l'accesso al trattamento pensionistico ''tout court''.<br />Il D.L. 98/2011 rientra in questa fattispecie laddove non prevede un minimo del trattamento pensionistico da corrispondere comunque, anche ai coniugi con differenza di età pari a 20 e sposati da meno di un anno, perché non si verifichi la negazione dell'<nowiki/>''an'' del trattamento. Con sent. 497/1988, la Corte ha stabilito, per tutti i trattamenti di pensione, risultano in contrasto con l'art 38 della Costituzione le norme <<in quanto la eccessiva esiguità del trattamento erogato dimostra che la norma... ha privato... il ricorrente di mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, e la vigente disciplina comporta sicuramente l'attribuzione di un trattamento insufficiente a garantire la sua libertà del bisogno>> (nel merito la mancata rivalutazione della disoccupazione involontaria); ovvero pongono in essere requisiti eccessivamente gravosi che privano in sostanza di ogni tutela previdenziale il lavoratore (n. 436/1988).<br />Con sent. 822/1988, stabilisce che <<non può dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando già sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa, [..]frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto (v. sentt. nn. 36 del 1985 e 210 del 1971>>). Nel caso specifico, veniva ridotta di 2/3 la pensione precedente spettante.<br />Con sent. 345/1988, viene affermato <<che il principio della proporzionalità ed adeguatezza della pensione, enunciato dai suindicati parametri costituzionali [art. 36 e 38], non comporta che "il livello della pensione... debba poter attingere il traguardo della integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della cessazione del servizio (sentt. n. 26/1980; n. 349/1985; n. 173/1986; ord. n. 44/1985)>>. <br /><<Il principio della valutazione discrezionale del legislatore (Sent. n. 62 del 1980) in ordine ai livelli pensionistici>>, che intende lasciare al legislatore ordinario la libertà di fissare il rapporto tra retribuzione e pensione secondo criteri valutati, momento per momento, come più opportuni, va comunque inteso nel senso che <<è compito della legge ordinaria stabilire se "il livello della pensione debba poter attingere il traguardo della integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della cessazione dal servizio">> (citando n. 44 del 1985). Pertanto, il rapporto fra pensione e retribuzione (ed ora fra pensione e contributi versati) non è predeterminato, ma la discrezione del legislatore nel fissare tale rapporto deve comunque tendere al 100%
 
INtendendo nel merito la mancata rivalutazione della disoccupazione involontaria; ovvero pongono in essere requisiti eccessivamente gravosi che privano in sostanza di ogni tutela previdenziale il lavoratore (n. 436/1988). Con sent. 822/1988, stabilisce che
 
{{citazione|non può dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando già sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa, [..]frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto<ref>Vedasi le sentenze nn. 36 del 1985 e 210 del 1971</ref>}}
 
Nel caso specifico, veniva ridotta di 2/3 la pensione precedente spettante. Con sent. 345/1988, viene affermato <<che il principio della proporzionalità ed adeguatezza della pensione, enunciato dai suindicati parametri costituzionali (art. 36 e 38), non comporta che "il livello della pensione... debba poter attingere il traguardo della integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della cessazione del servizio (sentt. n. 26/1980; n. 349/1985; n. 173/1986; ord. n. 44/1985)>>. <<Il principio della valutazione discrezionale del legislatore (Sent. n. 62 del 1980) in ordine ai livelli pensionistici", che intende lasciare al legislatore ordinario la libertà di fissare il rapporto tra retribuzione e pensione secondo criteri valutati, momento per momento, come più opportuni, va comunque inteso nel senso che "è compito della legge ordinaria stabilire se "il livello della pensione debba poter attingere il traguardo della integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della cessazione dal servizio"<ref>Sentenza Corte Costituzionale n. 44 del 1985</ref>. Pertanto, il rapporto fra pensione e retribuzione (ed ora fra pensione e contributi versati) non è predeterminato, ma la discrezione del legislatore nel fissare tale rapporto deve comunque tendere al 100%.
 
L'art. 18, comma 5, del D.Ldecreto legge 6 luglio 2011, n. 98/, converitto in legge 15 luglio 2011, n. 111 aveva introdotto limitazioni alla quota percentuale della pensione spettante ai superstiti dell'assicurato o pensionato deceduto, per contrastare la pratica dei matrimoni cosiddetti "di comodo" (la riduzione, che operava nei casi in cui il matrimonio era stato contratto ad età del pensionato superiore a 70 anni e la differenza di età tra i coniugi era superiore a 20 anni, era pari al 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto al numero di 10), ma la Corte costituzionale, con sentenza 15 giugno - 14 luglio 2016, n. 174, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente norma. Il decreto del 2011 non prevede un minimo del trattamento pensionistico da corrispondere comunque, anche ai coniugi con differenza di età pari a 20 e sposati da meno di un anno, perché non si verifichi la negazione dell'<nowiki/>''an'' del trattamento.
 
== Descrizione ==
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* ai fratelli celibi inabili e sorelle nubili inabili, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.
Riguardo i criteri di valutazione per ripartizione quote di reversibilita' fra vedova ed ex moglie (in caso di divorzio), come ribadito nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 dicembre 2013 – 14 marzo 2014, n. 6019
''''''CRITERI DI VALUTAZIONE PER RIPARTIZIONE QUOTE DI REVERSIBILITA' FRA VEDOVA ED EX MOGLIE (DIVORZIATA)''''''
".. {{citazione|la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi matrimoni, pure considerando ulteriori elementi, quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche delle parti private e la durata delle eventuali convivenze prematrimoniali....Il giudice a quo esamina
Come ribadito nella recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 dicembre 2013 – 14 marzo 2014, n. 6019 (Presidente Carnevale – Relatore Dogliotti)
".. la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi matrimoni, pure considerando ulteriori elementi, quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche delle parti private e la durata delle eventuali convivenze prematrimoniali....Il giudice a quo esamina
la durata dei rispettivi matrimoni,
ma pure considera la data di separazione della B. e la convivenza prematrimoniale della moglie superstite con il defunto;
considera che la moglie divorziata ha dato due figli al defunto stesso, mentre la seconda moglie lo ha assistito fino alla morte. Si aggiunge che le parti in causa godono ciascuna di redditi da lavoro e da rendita, mentre non rilevano le donazioni fatte dal padre al figlio superstite."}}
 
===Requisiti===
 
Il lavoratore deceduto, non pensionato, deve aver maturato, in alternativa:
 
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{{cita web|url=https://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=5739|titolo=Pensione ai superstiti|accesso=18 Febbraio 2016}}
 
{{Portale|diritto|italia}}
 
[[Categoria:Diritto della previdenza sociale]]