Alhazen: differenze tra le versioni

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Della scuola araba dell'ottica, ibn al-Haytham è in genere considerato il primo e massimo, [[Genio (filosofia)|geniale]], esponente. Fu grazie ai suoi studi che si poterono formulare nuove ipotesi, fresche anche per mancanza di inerzie [[cultura]]li, e che lo studio di queste materie ebbe la possibilità di costituirsi in "[[scuola]]", destinata a formare un numero (per i tempi assai rilevante) di studiosi specialistici.
 
Un elemento che attrasse la sua attenzione fu la persistenza delle immagini [[retina|retineeretiniche]], insieme alla sensazione [[dolore|dolorosa]] procurata dall'osservazione di fonti di intensa [[Intensità luminosa|luminosità]], come il Sole. Se infatti, fu il suo ragionamento, davvero fosse stato l'occhio a "cercare" con raggi o bastoncini l'oggetto, non vi sarebbe potuta essere persistenza delle immagini durante la pur rapida chiusura delle [[palpebra|palpebre]] (mentre questo rapido movimento è comunemente impercettibile proprio per la persistenza dell'immagine - oggi sappiamo - sul fondo della [[retina]]). Inoltre, se l'occhio, [[Organi di senso|organo di senso]], davvero gestisse autonomamente le informazioni visive, non "toccherebbe" lo "scottante" Sole e nessun'altra fonte fastidiosa, non procurandosi dolore né [[abbacinamento]].
 
Demolita così la teoria dei raggi visuali, Alhazen si rifece a quella delle scorze, supponendo stavolta che l'acquisizione delle informazioni luminose fosse sì dovuta ad un agente esterno, ma che questo non rilasciasse "ombre", viaggianti in forma di "scorze" appositamente in direzione dell'occhio dell'osservatore, bensì delle "scorzettine", emesse dall'oggetto in tutte le direzioni. Per questo, dovette affrontare una ipotesi di scomposizione rudimentalmente particellare di ciascuno degli oggetti osservati, ed attribuire a ciascuna infinitesima componente di ciascun oggetto la capacità di emissione di scorzettine in ogni direzione.