Marxismo: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
sta già il nuovo articolo
Etichetta: Annulla
ci vuole cmq un riassunto Annullata la modifica 106467931 di 89.97.40.14 (discussione)
Etichetta: Annulla
Riga 109:
 
== Critiche al marxismo ==
=== Teoria soggettiva del valore di marginalisti e neoclassici ===
Leggi [[critiche al marxismo]]
Poco dopo l'uscita del primo libro de [[Il Capitale|Il capitale]], a partire dai contributi indipendenti di [[William Stanley Jevons]], [[Carl Menger]] e [[Léon Walras]], la [[teoria del valore-lavoro]] degli [[economisti classici]], che aveva costituito la base della teoria economica di Marx, venne progressivamente sostituita dalla [[teoria del valore|teoria soggettiva del valore]], che riposa sul concetto di [[utilità marginale]]<ref>Vitantonio Gioia, Stefano Perri. ''Corso di istituzioni di economia''. Vol. 1, Manni Editori, San Cesario di Lecce, 2002, p. 73.</ref>.
 
Secondo tale teoria, che è stata il perno del [[marginalismo]] e rimane, sebbene con alcuni aggiustamenti, il nucleo centrale dell'[[economia neoclassica]] tutt'oggi dominante, il fondamento del valore non va ricercato nella quantità di lavoro socialmente necessario alla produzione dei beni, ma nell'incremento all'utilità individuale che l'incremento del consumo di questi può apportare al margine. Il prezzo dei beni deriva dalla valutazione soggettiva dei consumatori circa l'[[utilità (economia)|utilità]] relativa degli stessi rapportata alla loro [[scarsità]] relativa. Infatti, data la generale assunzione di utilità marginale decrescente, cioè di una diminuzione dell'incremento dell'utilità individuale generato da un incremento di un'unità nel consumo al crescere del livello assoluto di consumo, il valore dei beni viene determinato dal rapporto tra bisogni individuali e disponibilità complessive dei beni (e nella versione mengeriana, che apre la strada alla [[scuola austriaca]] dell'economia, il valore è ricondotto in particolare al puro giudizio soggettivo dei singoli, ben al di là di ogni pretesa di definire bisogni e disponibilità complessivi).
 
Così, ad esempio, riprendendo il celebre ''paradosso dell'acqua e del diamante'' contenuto ne [[La ricchezza delle nazioni (Adam Smith)|La ricchezza delle nazioni]] ([[1776]]) di [[Adam Smith]], per i marginalisti il motivo per cui il valore dei diamanti è immensamente maggiore di quello dell'acqua è che, date le disponibilità relative di acqua e diamanti, l'utilità che apporterebbe un diamante in più sarebbe molto maggiore di quella di un bicchiere d'acqua in più. Se un uomo si trovasse in un deserto, per il primo bicchiere d'acqua sarebbe disposto a pagare sicuramente molto più che per un diamante, ma non è questa la situazione normale delle persone. I marginalisti dimostrano che in equilibrio i prezzi dei beni devono essere tali da garantire l'uguaglianza delle loro utilità marginali ponderate, cioè del rapporto tra utilità marginale e prezzo del bene<ref>Adelino Zanini. ''Adam Smith. Economia, morale, diritto''. Bruno Mondadori, Milano, 1997, pp.211-218.</ref>.
 
Data anche l'alta formalizzazione matematica che permettevano, queste teorie divennero presto quelle dominanti, con esiti dirompenti per la teoria marxiana. Cade la teoria del plusvalore: non essendo più il lavoro considerato la fonte del valore, il profitto non può derivare dal plusvalore, per il semplice fatto che non esiste alcun plusvalore, cioè valore che il lavoro attribuisce alla merce, ma che il lavoratore non percepisce. Cade anche la [[Caduta tendenziale del saggio di profitto|legge della caduta tendenziale del saggio di profitto]]: all'aumento della meccanizzazione, con relativo aumento del rapporto tra capitale costante e monte salari, non fa seguito alcuna diminuzione del profitto realizzabile, perché non è la quantità di "lavoro vivo" impiegata nel sistema a determinare il profitto realizzabile.
 
=== Idealismo di Gentile ===
Per l'idealista [[Giovanni Gentile]], il marxismo è un'errata filosofia della storia derivata da Hegel, costruita sostituendo la Materia - la struttura economica - allo Spirito. Per Hegel lo Spirito è l'essenza di tutta la realtà che comprende la materia come ''momento'' del suo sviluppo. Avendo scambiato il relativo con l'assoluto, Marx finisce con l'attribuire a un mero ''momento'' la funzione dell'assoluto - che per Hegel si sviluppa dialetticamente ed è determinato a priori - rendendo così determinato a priori l'empirico, la struttura economica. Se poi Marx a ragione, nelle ''[[Tesi su Feuerbach]]'', critica il materialismo volgare che concepisce metafisicamente l'oggetto come dato e il soggetto come ricettore dell'essenza oggetto, per Gentile egli a torto considera il pensiero una forma derivata dell'attività sensitiva. Il filosofo siciliano, fondatore dell'[[attualismo (filosofia)|attualismo]], teorizza essere l'atto del pensiero a ''porre'' l'oggetto, e quindi a crearlo<ref>vedi ''Libertà e liberalismo ("Conferenza tenuta all'Università fascista di Bologna la sera del 9 marzo 1925")''. In ''Scritti Politici''. Tratti da ''Politica e Cultura'' a cura di H.A. Cavallera, Firenze, Le Lettere, 1990 (Opere complete XLV).</ref>.
 
=== Contraddizione fra teoria anarchica e socialista ===
Il giurista austriaco [[Hans Kelsen]] ha ritenuto di rilevare una contraddizione presente all'interno del pensiero marxista: quest'ultimo infatti, essendo imperniato sull'antitesi tra [[libertà]] e [[Stato]], da un lato presentava se stesso come una dottrina [[anarchismo|anarchica]], capace di emancipare l'umanità da ogni genere di costrizione; dall'altro però esso aveva come obiettivo primario anche la [[socializzazione dell'economia|socializzazione]] dei mezzi di produzione, al fine di arginare l'anarchia del liberismo [[capitalista]], e ricorrendo pertanto a un'organizzazione rigidamente pianificata, centralizzata, e "cosciente". Kelsen vede in questo punto decisivo una fatale confusione che intorbida il sistema marx-engeliano: si tratta della contraddizione tra la "teoria [[economia|economica]]" e la "teoria [[politica]]", la quale rende comprensibile il fatto che «gli uni considerino il marxismo un socialismo di Stato, gli altri un anarchismo», e che «tutta la letteratura marxista, su questo problema decisivo, dimostri un'oscurità e un'ambiguità che colpiscono»<ref>H. Kelsen, ''Socialismo e Stato'', Laterza, Bari 1978, p. 96.</ref>.
 
Secondo Kelsen, cioè, pianificazione dell'economia e soppressione dello Stato sono concetti antitetici. Ad esempio, sulla base di quanto emerge dal ''Manifesto'', nell'ottica della rivoluzione comunista il [[proletariato]] adopererebbe il suo dominio politico per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato. Ma proprio nel momento in cui lo Stato, assumendo sotto il suo controllo tutta l'economia (statalizzazione dei mezzi di produzione) estende all'infinito i suoi poteri, esso secondo Marx deve cessare d'esistere perché allora dello Stato non ci sarà più bisogno. Il conflitto tra la dimensione politica e quella economica per Kelsen non potrebbe essere più evidente; come anche il carattere di [[utopia]] e irrealizzabilità della teoria comunista, dovuto al fatto che Marx non abbia dato disposizioni su come la società comunista dovesse essere organizzata una volta portata a termine la rivoluzione, ritenendo egli che, cessando a quel punto la divisione in [[classe sociale|classi]], sarebbe cessata anche ogni forma di conflitto tra la politica e l'economia, non essendoci più uno Stato che dovesse regolare la vita degli individui, pur vigendo al contempo un sistema di rigida pianificazione economica.
 
Fu per via di un tale paradosso, a cui Marx si illudeva di aver trovato risoluzione, che nel momento effettivo della rivoluzione bolscevica [[Lenin]] si vide costretto ad applicare la teoria marxiana nell'unico modo possibile, cioè ripristinando la supremazia della politica sull'economia, al fine di accentrare tutta la produzione in un unico potere statale rappresentato dal partito, con la conseguenza di una totale distruzione delle libertà civili.<ref>Tratto da: H. Kelsen, ''Socialismo e Stato''.</ref>
 
Riguardo poi la teoria politica marxiana della democrazia diretta esercitata da tutti i produttori, Kelsen – basandosi sull'esperienza della società sovietica – sostiene che la complessità delle funzioni e l'estensione dei compiti riservati a un'amministrazione pubblica rendono utopistico l'esercizio della democrazia diretta in una società moderna. Qualora poi essa fosse instaurata nei luoghi stessi della produzione, come avvenne nei primi anni della Rivoluzione russa con la creazione dei ''Soviet'', essa porterebbe all'ipertrofia del parlamentarismo e a un grave intralcio della stessa attività produttiva, sino alla creazione di una estesa burocrazia che finirebbe per assumere per sé il potere politico, esercitandolo in modo autoritario<ref>Cfr. anche G. Bedeschi, Introduzione a Marx, cit., pp. 274-277.</ref>.
 
=== Critica di Keynes ===
Controverso e particolare è stato il rapporto tra [[John Maynard Keynes]] e Marx. Keynes giudicò sempre [[Karl Marx|Marx]] e la sua dottrina in modo molto critico. Ne ''La fine del laissez-faire'' (1926), nel criticare il [[liberismo economico]], Keynes osserva incidentalmente: {{citazione|Ma i principi del ''[[laissez-faire]]'' hanno avuto altri alleati oltre i manuali di economia. Va riconosciuto che tali principi hanno potuto far breccia nelle menti dei filosofi e delle masse anche grazie alla qualità scadente delle correnti alternative: da un lato il [[protezionismo]], dall'altro il socialismo di Marx. Queste dottrine risultano in fin dei conti caratterizzate non solo e non tanto dal fatto di contraddire la presunzione generale in favore del laissez-faire, quanto dalla loro semplice debolezza logica. Sono entrambe esempio di un pensiero povero, e dell'incapacità di analizzare un processo portandolo alle sue logiche conseguenze.[...] Il socialismo marxista deve sempre rimanere un mistero per gli storici del pensiero; come una dottrina così illogica e vuota possa aver esercitato un'influenza così potente e durevole sulle menti degli uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia.|Keynes, 1926}}
 
Del disprezzo (o comunque della poca stima) nutrito da Keynes nei confronti della dottrina [[marxista]] vi è traccia anche nella sua corrispondenza. Così, come recentemente notato da Marcuzzo nel 2005, in una lettera inviata a [[Piero Sraffa|Sraffa]], che gli aveva consigliato la lettura de [[Il Capitale|Il capitale]], Keynes ha scritto: {{citazione|Ho provato sinceramente a leggere i volumi di Marx, ma ti giuro che non sono proprio riuscito a capire cosa tu ci abbia trovato e cosa ti aspetti che ci trovi io! Non ho trovato neanche una sola frase che abbia un qualche interesse per un essere umano dotato di ragione. Per le prossime vacanze dovresti prestarmi una copia del libro sottolineata.|John Maynard Keynes a [[Piero Sraffa]], 5 aprile 1932; SP : 03/11:65 53}}
 
Nonostante il palese disprezzo di Keynes, molti autori rintracciano in Marx alcune anticipazioni del pensiero keynesiano. Così, ad esempio, la possibilità di [[sottoconsumo|crisi da sottoconsumo]] e la critica radicale della [[legge di Say]].
 
=== Popper e la falsificabilità delle teorie scientifiche ===
{{vedi anche|Materialismo dialettico}}
Per l'epistemologo [[Karl Popper]], autore nel [[1934]] della ''Logica della scoperta scientifica'', le teorie scientifiche, che non siano riproducibili in laboratorio, devono contenere in sé la possibilità di renderle falsificabili: ''il criterio dello stato scientifico di una teoria è la sua falsificabilità, confutabilità o controllabilità''. Così, la teoria della relatività di [[Albert Einstein]] (elaborata dal [[1905]] al [[1915]]) faceva predizioni che, se non confermate, avrebbero dimostrato l'erroneità della teoria; ma nell'[[eclisse]] avvenuta nel [[1919]] si poté misurare la curvatura della [[luce]] di una [[stella]] per effetto della [[gravitazione]] del [[Sole]], curvatura prevista da Einstein; se l'osservazione avesse dato risultati diversi o persino se una qualsiasi futura osservazione darà risultati diversi, la teoria di Einstein si sarebbe dimostrata o si dimostrerà falsa.
 
Nella sua ''Miseria dello storicismo'', del [[1944]], Popper sostiene che il marxismo, non tanto quello di Marx, il cui pensiero era influenzato dalla dialettica hegeliana e dallo scientismo del positivismo imperante, quanto quello dei suoi epigoni, non abbia validità scientifica perché ipotizza, per [[induzione]] derivante dall'osservazione storica del tramonto delle società succedutesi nel tempo (le società tribali, schiavistiche e feudali) che anche il capitalismo subirà la stessa sorte ma la verifica di quest'accadimento, che viene rimandato a un tempo indefinito, non è verificabile e controllabile<ref>Karl R. Popper. ''Miseria dello storicismo''. Feltrinelli, Milano, 1999.</ref><ref>[http://www.filosofico.net/poppercriticamarx.htm Le critiche al marxismo di Karl Popper. A cura di Roberta Musolesi.]</ref>.
 
Senza trascurare che ogni teoria scientifica contiene anche elementi confutabili, in realtà Marx conduceva soprattutto un'analisi socio-politica del «modo capitalistico di produzione» dei suoi tempi che gli rivelava come quel sistema economico fosse destinato a tramontare.
 
=== Critiche della Chiesa cattolica ===
La [[Chiesa cattolica]] ha condannato le teorie socialiste, insieme con quelle liberali e illuministiche, con il ''[[Sillabo]]'' di [[papa Pio IX]] e con l'[[enciclica]] ''[[Rerum Novarum]]'' di [[papa Leone XIII]] che, pur accettando implicitamente alcuni tratti dell'analisi economica marxista quali l'attenzione alla questione operaia, ha elaborato una [[Dottrina sociale della Chiesa cattolica|dottrina sociale]] in radicale contrapposizione col socialismo ateo marxista. La dottrina marxista ha tuttavia influenzato alcuni settori del cattolicesimo sudamericano.<ref>[http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaC/CHIESA%20E%20IL%20MARXISMO_%20DALLA%20R.htm LA CHIESA E IL MARXISMO, DALLA RERUM NOVARUM ALLA CENTESIMUS ANNUS]</ref>.
 
Nel XXI secolo [[papa Benedetto XVI]], nell'enciclica ''[[Spe Salvi]]'', ha dichiarato: «Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo: di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua [[libertà]]. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il [[male]]. Credeva che, una volta messa a posto l'[[economia]], tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il [[materialismo]]: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli», aggiungendo che «Marx ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo»<ref>[http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html Lettera Enciclica "Spe Salvi"]</ref>.
 
Critiche di questa natura erano già state formulate al tempo della pubblicazione de ''Il capitale'': nella prefazione alla seconda edizione del saggio infatti, il 24 gennaio [[1873]], Marx citava ironicamente la ''Revue positiviste'' di Parigi che lo rimproverava di «essermi limitato a una scomposizione puramente critica del dato, invece di prescrivere ricette ([[Auguste Comte|comtiane]]?) per la trattoria dell'avvenire».
 
== Note ==