Massimo Quaini: differenze tra le versioni

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In un suo libro del 1991 egli stesso descriveva come casuale l'inizio della sua carriera come geografo: “Devo dire che sono arrivato alla geografia umana assolutamente per caso e non per vocazione, e neppure per formazione universitaria. Quando, all’inizio degli anni Sessanta, mi iscrissi all’Università, i miei ricordi scolastici mi parlavano di una materia troppo arida e noiosa, per poter imperniare sulla geografia un Piano di studi, dato che allora finalmente poteva essere costruito con una certa libertà. Iscritto al primo anno di Lettere a Torino, decisi, senza alcun successivo rimpianto, di tagliar corto con la geografia, sbarazzandomi rapidamente dell’unico esame obbligatorio col prof. Capello (che rimane l’unico mio esame di geografia, senza alcuna risonanza sulla mia formazione, anche perché in realtà si trattava di geografia fisica).[…] in una Torino così gobettiana – non posso dimenticare che la mia prima ricerca riguardò proprio Piero Gobetti – ebbi anche la mia formazione politica […] la mia tesi di laurea, sul dibattito intorno alla liberazione dei popoli coloniali [sic; per “colonizzati”] nell’ambito del movimento operaio internazionale fra Ottocento e Novecento, frutto di una mia libera scelta, risentiva senz’altro più dell’eredità culturale gobettiana e marxista, che dei canoni della ricerca accademica […] e Rosario Romeo, con il quale ebbi infatti un rapporto piuttosto conflittuale. Una volta laureato, non avevo prospettive ben definite: avrei, probabilmente, cercato di fare il ricercatore sul campo, con una certa propensione per l’inchiesta sociale sul campo, se non mi fosse stato offerto nel 1966 un posto di assistente di geografia presso il Magistero di Genova. Fu allora, che dovetti “inventarmi” geografo, per lavorare in un Istituto (diretto da Gaetano Ferro e frequentato tra gli altri da Eraldo Leardi e Adalberto Vallega) nel quale […] mi sentivo come un pesce fuor d’acqua. Ricordo ancora il Direttore, col suo fare sbrigativo, mi disse un giorno di lasciar perdere gli inutili approfondimenti sui testi di Lucien Febvre e di Fernand Braudel, e farmi piuttosto una solida formazione sul trattato di Geografia Generale di Roberto Almagià. Quanto ho odiato quel manuale indigesto, che rispecchiava quella visione piramidale, enciclopedica (ma tutto sommato: nozionistica) della geografia, che Lucio Gambi, già allievo proprio di Almagià, aveva cominciato a demolire a metà degli anni Cinquanta!” Quaini, Tra geografia e storia, 1991, p. 8-9.
 
Il suo lavoro più citato ''Marxismo e geografia'', pubblicato nel 1974, è stato tradotto in olandese (1977), portoghese (1979), inglese (1982)<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|nome=Luisa|cognome=Rossi|data=2018|titolo=Massimo Quaini "in memoriam"|rivista=Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia|volume=30|numero=1|lingua=it|accesso=2019-11-26|doi=10.13133/1125-5218/407|url=http://www.semestrale-geografia.org/index.php/sdg/article/view/407}}</ref> {{Senza fonte|e spagnolo (1985).}}
 
Il suo lavoro seguente, ''La costruzione della Geografia umana'', è stato pubblicato nel 1981 in lingua spagnola e nel 1992 nella traduzione portoghese.
 
La traduzione in inglese ''Geography and Marxism'', del 1982, è stata effettuata dalla casa editrice: Quaini infatti conosceva bene solamente la lingua francese. “Non conoscendo sufficientemente, come molti della sua generazione, l’inglese, attraverso le traduzioni francesi seguiva l’evoluzione del pensiero anglosassone. Di questa mediazione non soffriva.” (Luisa Rossi, ''Massimo Quaini in memoriam'', in “Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia”, Roma, n. XXX, fasc. 1, gennaio-giugno 2018, pp. 143-148, p. 143)<ref name=":0" />.
 
Dal 1978 Quaini è stato fondatore e redattore della rivista "Hérodote-Italia", che si ispirava alla rivista francese "Hérodote" fondata dal geografo Yves Lacoste (nato a Fes in Marocco nel 1929).