Giovanna d'Arco: differenze tra le versioni

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Questione non trascurabile posta quel giorno, sebbene in un primo momento passata quasi inosservata, fu il motivo per cui la ragazza indossasse abiti maschili; alla risposta suggeritale da quegli stessi che la stavano interrogando (ossia se fosse stato un consiglio di Robert de Baudricourt, capitano di Vaucouleurs), Giovanna, intuendo la gravità di un'asserzione simile, rispose: «Non farò ricadere su altri una responsabilità così pesante!»<ref>{{Cita|Cremisi, 2000|p. 22 (Seconda udienza pubblica, giovedì 22 febbraio, in fondo alla sala grande del castello di Rouen)}}.</ref> In quest'occasione Cauchon, forse toccato dalla richiesta di essere udita in confessione fatta dalla prigioniera il giorno precedente, non la interrogò personalmente, limitandosi a chiederle, ancora una volta, di prestare giuramento<ref>{{Cita|Michelet, 2000|p. 100}}.</ref>. Durante la terza udienza pubblica Giovanna rispose con una vivacità inattesa in una prigioniera, arrivando ad ammonire il suo giudice, Cauchon, per la salvezza della sua anima.
 
La trascrizione dei verbali rivela anche una vena umoristica inaspettata che la ragazza possedeva nonostante il processo; alla domanda se avesse avuto rivelazione che sarebbe riuscita a evadere dalla prigione, rispose: «E io dovrei venire a dirvelo?». L'interrogatorio successivo, sull'infanzia di Giovanna, i suoi giochi di bambina, l'''Albero delle Fate'', intorno al quale i bambini giocavano, danzavano e intrecciavano ghirlande, non portò nulla di rilevante per gli esiti processuali, né fece cadere Giovanna in affermazioni che potessero renderla sospetta di stregoneria, come forse era negli intenti dei suoi accusatori<ref>{{Cita|Cremisi, 2000|pp. 25–34 (Terza udienza pubblica, sabato 24 febbraio 1431, nella stessa sala del castello di Rouen)}}.</ref>. Di notevole rilevanza, invece, la presenza, tra gli assessori della giuria di Nicolas Loiseleur, di un prete che si era finto prigioniero e aveva ascoltato Giovanna in confessione mentre, come riferito sotto giuramento da Guillame Manchon, diversi testimoni ascoltavano nascostamente la conversazione, in aperta violazione delle norme ecclesiastiche<ref>{{Cita|Pernoud-Clin, 1987|p. 146}}.</ref>.
 
Nelle tre udienze pubbliche successive si accentuò il divario di prospettiva tra i giudici e Giovanna; mentre i primi si accanivano con sempre maggiore tenacia sul motivo per cui Giovanna portasse abiti maschili, la ragazza sembrava a suo agio parlando delle sue "voci", che indicò provenire dall'[[arcangelo Michele]], [[Caterina d'Alessandria|santa Caterina]] e [[Margherita di Antiochia|santa Margherita]], differenza evidente nella risposta data circa la luminosità della sala in cui aveva incontrato per la prima volta il Delfino: «cinquanta torce, senza contare la luce spirituale!»<ref>{{Cita|Cremisi, 2000|pp. 37, 38, 41, 42 (Quarta udienza pubblica, martedì 27 febbraio, nella sala grande del castello di Rouen)}}.</ref> E ancora, nonostante la prigionia e la pressione del processo, la ragazza non rinunciò a risposte ironiche; a un giudice che le aveva domandato se l'arcangelo Michele avesse i capelli, Giovanna rispose: «Per quale ragione avrebbero dovuto tagliarglieli?»<ref>{{Cita|Cremisi, 2000|p. 56 (Quinta udienza pubblica, giovedì 1 marzo, nella sala grande del castello di Rouen)}}.</ref>