Artemisia Gentileschi: differenze tra le versioni

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Il 29 novembre 1612, giusto il giorno successivo allo sconfortante epilogo del processo, Artemisia Gentileschi convolò a nozze con Pierantonio Stiattesi, un pittore di modesta levatura che «[…] ha la fama d’uno che vive d’espedienti più che del suo lavoro d’artista»:<ref>{{cita|Menichetti|p. 11|EM}}.</ref> le nozze, celebrate nella [[chiesa di Santo Spirito in Sassia]], furono completamente predisposte da Orazio, il quale volle organizzare un matrimonio riparatore, in pieno ossequio con la morale dell'epoca, in modo da restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente onorabilità. Dopo aver firmato il 10 dicembre dello stesso anno una procura al fratello notaio Giambattista, cui delegò la gestione dei propri affari economici romani, Artemisia seguì immediatamente lo sposo a Firenze, così da lasciarsi definitivamente alle spalle un padre troppo opprimente e un passato da dimenticare.
 
[[File:Gentileschi judith1.jpg|thumb|left|Artemisia Gentileschi, <br>''[[Giuditta con la sua ancella]]'' (1618-1619); olio su tela, 114×93,5 cm, <br>[[Palazzo Pitti]], Firenze]]
Lasciare Roma fu una scelta inizialmente angosciosa, ma immensamente liberatoria per la Gentileschi, che nella città medicea conobbe un lusinghiero successo. Firenze in quel periodo stava attraversando un periodo di vivace fermento artistico, soprattutto grazie alla politica illuminata di [[Cosimo II]], abile governatore che si interessava con grande sensibilità anche di musica, poesia, scienza e pittura, rivelando un gusto contagioso in particolare per il naturalismo caravaggesco. La Gentileschi venne introdotta nella corte di Cosimo II dallo zio Aurelio Lomi, fratello di Orazio<ref>Orazio aveva assunto a Roma il cognome «Gentileschi» anziché Lomi proprio per distinguersi dal fratellastro Aurelio, pure attivo pittore.</ref> e, una volta approdata nell'ambiente mediceo, impegnò le sue migliori energie per raccogliere attorno a sé gli ingegni culturalmente più vivi, le intelligenze più aperte, intessendo una fitta rete di relazioni e di scambi. Fra i suoi amici fiorentini vi erano le più eminenti personalità del tempo, fra cui [[Galileo Galilei]], con il quale intraprese una fitta corrispondenza epistolare, e [[Michelangelo Buonarroti il giovane]], nipote del celebre artista. Proprio quest'ultimo fu una figura di primaria importanza per la maturazione pittorica di Artemisia: gentiluomo di corte profondamente immerso nelle vicende artistiche del suo tempo, il Buonarroti introdusse la Gentileschi nella ''crème'' del bel mondo fiorentino, le procurò numerosissime commissioni e la mise in contatto con altri potenziali clienti. Di questo fecondo sodalizio artistico e umano - basti pensare Artemisia definiva Michelangelo «compare» e se ne riteneva una legittima «figliola» - ci rimane la luminosa ''Allegoria dell'Inclinazione'', opera commissionata dal Buonarroti alla giovane pittrice cui destinò la bella cifra di trentaquattro fiorini. Il trionfale riconoscimento dei meriti pittorici della Gentileschi culminò il 19 luglio 1616, quando venne ammessa alla prestigiosa Accademia del Disegno di Firenze, istituzione presso la quale sarebbe rimasta iscritta fino al 1620: fu la prima donna a godere di tale privilegio. Notevole era anche il legame della pittrice con l'attività mecenatistica di Cosimo II de' Medici, il quale in una missiva del marzo 1615 indirizzata al Segretario di Stato [[Andrea Cioli]] riconobbe apertamente che si trattava di «un'artista ormai molto conosciuta a Firenze».<ref>{{cita|Agnati|p. 21|TA}}.</ref>