Artemisia Gentileschi: differenze tra le versioni

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Ben presto, tuttavia, la Gentileschi maturò il proposito di lasciare la Toscana e raggiungere nuovamente la natia Roma. Questo desiderio di fuga non fu dettato solo dal progressivo deterioramento dei rapporti con Cosimo II, ma anche dalle quattro gravidanze e dall'impressionante situazione debitoria derivata dallo stile di vita lussuoso del marito, che aveva contratto passività finanziarie con carpentieri, bottegai, farmacisti. A coronare degnamente questa serie di avvenimenti vi fu lo scandalo che scoppiò quando si seppe che Artemisia aveva intrecciato una relazione clandestina con Francesco Maria Maringhi.<ref>{{cita news|url=http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-09-17/sono-artemisia-ardo-amore-143920.shtml?uuid=AaJBYF5D&refresh_ce=1|editore=Il Sole 24 Ore|titolo=Sono Artemisia e ardo d'amore|autore=Francesco Solinas|data=18 settembre 2011|accesso=2 aprile 2017}}</ref>
 
[[File:Artemisia Gentileschi Condottiero Bologna.jpg|thumb|Artemisia Gentileschi, <br>''[[Ritratto di gonfaloniere]]'' (1622); olio su tela, 208,4×128,1 cm, <br>[[Palazzo d'Accursio]], Bologna]]
Furono tutti questi sintomi di un disagio che Artemisia percepiva come risolvibile solo mediante il rimpatrio a Roma: sarebbe comunque rimasta intimamente legata alla città toscana, come emerge dalle varie missive inviate ad Andrea Cioli cui chiese invano di ottenere un invito a Firenze sotto la protezione dei Medici. Ciò, tuttavia, non bastò a dissuaderla dal ritornare stabilmente a Roma. Dopo aver chiesto nel 1620 l'autorizzazione del granduca per recarsi nell'Urbe così da rimettersi da «molte mie indisposizioni passate alle quali sono giunti anche non pochi travagli dalla mia casa e famiglia», l'artista ritornò nella Città Eterna nello stesso anno, e nel 1621 seguì il padre Orazio a Genova ( si conservano committenze private di Artemisia nella collezione Cattaneo Adorno). A Genova conobbe Van Dick e Rubens, poi nel 1622 si insediò in un comodo appartamento a via del Corso con la figlia Palmira, il marito e alcune domestiche: l'avvenuto rimpatrio ci è confermato da una tela del 1622 denominata ''Ritratto di un gonfaloniere'', dipinto noto tra l'altro per essere una delle sue poche opere datate.<ref>{{cita|Agnati|p. 9|TA}}.</ref> Ormai la Gentileschi non era più considerata una giovane pittrice inesperta e impaurita, così come apparve agli occhi dei Romani dopo la ratifica del processo contro il Tassi: anzi, al suo ritorno nella Città Eterna molti protettori, appassionati d'arte e pittori, sia italiani sia stranieri, ammiravano con sincero entusiasmo il suo talento artistico. Non più condizionata dall'opprimente figura del padre, inoltre, Artemisia in questi anni poté finalmente frequentare assiduamente l'''élite'' artistica dell'epoca, nel segno di un'interazione più libera con il pubblico e i colleghi, ed ebbe agio anche di scoprire per la prima volta l'immenso patrimonio artistico romano, sia quello classico e protocristiano sia quello dell'arte a lei contemporanea (ricordiamo che Orazio la recludeva in casa per via del suo essere donna). A Roma, infatti, la Gentileschi ebbe modo di stringere relazioni amicali con eminenti personalità dell'arte, e sfruttò al massimo le possibilità offerte dal ''milieu'' pittorico romano per ampliare i propri orizzonti figurativi: ebbe intensi contatti soprattutto con [[Simon Vouet]] e, probabilmente, anche con [[Massimo Stanzione]], [[Ribera]], Manfredi, Spadarino, Grammatica, Cavarozzi e Tournier. Siamo ben lungi, tuttavia, dal poter ricostruire agevolmente i vari sodalizi artistici intrecciati durante questo secondo soggiorno romano dalla Gentileschi:
{{citazione|A tutt'oggi abbiamo un quadro ancora incompleto della sua cerchia artistica e la speranza è che in futuro affiorino altri documenti in grado di illuminare ulteriormente questo lato del suo periodo romano. Dalla recente scoperta delle lettere di Artemisia fatta da Francesco Solinas emerge che era un'attiva corrispondente e l'augurio è che possono venire alla luce altri tesori d'archivio analoghi}}