George Berkeley: differenze tra le versioni
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== Biografia ==
Berkeley nacque nella residenza della sua famiglia, il castello di Dysart in [[Irlanda]], come primo figlio di William Berkeley, un figlio cadetto della nobile famiglia dei Berkeley. Poco si sa di sua madre. La sua educazione avvenne al Kilkenny College per proseguire poi al [[Trinity College (Dublino)|Trinity College]] di Dublino, dove ottenne l'elezione a “Scholar” nel 1702. Ottenne la laurea nel 1704 e completò una laurea magistrale nel 1707. Rimase al Trinity College dopo la sua laurea come tutor e docente di greco.▼
▲Berkeley nacque nella residenza della sua famiglia, il castello di Dysart in Irlanda, come primo figlio di William Berkeley, un figlio cadetto della nobile famiglia dei Berkeley. Poco si sa di sua madre. La sua educazione avvenne al Kilkenny College per proseguire poi al [[Trinity College (Dublino)|Trinity College]] di Dublino, dove ottenne l'elezione a “Scholar” nel 1702. Ottenne la laurea nel 1704 e completò una laurea magistrale nel 1707. Rimase al Trinity College dopo la sua laurea come tutor e docente di greco.
La sua prima pubblicazione riguardava la matematica, ma la prima che gli portò notorietà fu il suo ''[[Saggio su una nuova teoria della visione]]'', pubblicato per la prima volta nel 1709. Nel saggio, Berkeley esamina la distanza visiva, la grandezza, la posizione e i problemi di vista e tatto. Mentre questa pubblicazione al tempo ebbe reazioni controverse, le sue conclusioni sono adesso accettate come parte della teoria dell’ottica.
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{{Citazione|Le idee che ci facciamo delle cose sono tutto ciò che possiamo dire della materia. Perciò per "materia" si deve intendere una sostanza inerte e priva di alcun senso, della quale però si pensa che abbia estensione, forma e movimento. È quindi chiaro che la nozione stessa di ciò che viene chiamato "materia" o "sostanza corporea" è contraddittoria. Non è quindi il caso di spendere altro tempo per dimostrarne l'assurdità.|Berkeley, ''Trattato sui principi della conoscenza umana'', § 9}}
La celebre formula che riassume la filosofia di Berkeley, «''Esse est percipi''», vuol dire "''l'[[essere]] significa essere percepito''", ossia: tutto l'essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient'altro.<ref>Nel Paragrafo 3 dei ''Principi'', egli usa una combinazione di latino e inglese, "esse is percipi", (essere è essere percepito), più spesso resa con la frase latina "esse est percipi". Questa frase è associata a fonti filosofiche autorevoli, per esempio, "Berkeley holds that there are no such mind-independent things, that, in the famous phrase, esse est percipi (aut percipere) – to be is to be perceived (or to perceive)" (Downing, Lisa, "[https://plato.stanford.edu/archives/spr2013/entries/berkeley/ George Berkeley]", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2013 Edition), [[:en:Edward_N._Zalta|Edward N. Zalta]] (ed.). Retrieved 21 August 2013).</ref> La teoria immaterialistica così enunciata sentenzia che la [[realtà]] si risolve in una serie di idee che esistono solo quando vengono percepite da uno spirito umano. È Dio, spirito infinito, che ci fa percepire sotto forma di cose e fatti le sue idee calate nel mondo. Idee, in un certo senso, "umanizzate", e in quanto tali "percepibili".
La dottrina di Berkeley esclude in virtù di questo principio l'esistenza assoluta dei [[Corpo (esoterismo)|corpi]]. Secondo il teologo irlandese tutto ciò che esiste è idea o spirito,<ref>''Principi'', § 86. Gli spiriti sono degli esseri semplici e attivi, che producono e percepiscono idee; le idee sono esseri passivi che vengono prodotti e percepiti. Il suo concetto di "spirito" è vicino al significato di "soggetto cosciente" o di "mente", e il concetto di "idea" è vicino al significato di "sensazione" o "stato mentale" o "esperienza cosciente" ({{Cita pubblicazione|autore=T. M. Bettcher|titolo=Berkeley: A Guide for the Perplexed||editore=Continuum International Publishing Group|anno=2008|lingua=en}}) Al contrario delle idee, gli spiriti non possono essere percepiti. Lo spirito-mente di una persona, il quale percepisce le idee, va compreso intuitivamente attraverso sensazioni o riflessioni interiori (Principi § 89). Secondo Berkeley non abbiamo una diretta "idea" dello spirito, sebbene abbiamo buone ragioni per credere nell'esistenza di altri spiriti perché questo spiega le regolarità significative che troviamo nell'esperienza.
Berkeley porta quindi alle estreme conseguenze l'empirismo di Locke, giungendo a negare l'esistenza di una [[sostanza (filosofia)|sostanza]] [[materia (filosofia)|materiale]] perché non ricavabile dall'esperienza, e recidendo così ogni possibile legame tra le nostre idee e una realtà esterna. Egli anticipa lo [[scetticismo filosofico|scetticismo]] di [[David Hume]],<ref>Hume negherà infatti che si possa mai dimostrare l'esistenza di una sostanza spirituale (''Trattato sulla natura umana'', l. I, par. IV, sez. VI).</ref> ma se ne mette al riparo ammettendo una presenza spirituale che spieghi l'insorgere di simili idee dentro di noi, rendendocele vive e attuali, sebbene prive ormai di un fondamento oggettivo.
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=== Teologia ===
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