Per la critica della filosofia del diritto di Hegel: differenze tra le versioni

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'''''Per la critica della filosofia del diritto di Hegel''''' è un [[manoscritto]] redatto da [[Karl Marx]] nel [[1843]] e pubblicato postumo: fu ritrovato da ricercatori sovietici nel 1927. È una raccolta di commenti ai ''[[Lineamenti di filosofia del diritto]]'' di [[Georg Wilhelm Friedrich Hegel]] del [[1820]], paragrafo per paragrafo. Il testo di Marx è in realtà incompiuto; mancano paragrafi sia all'inizio, sia alla fine del manoscritto: per questo motivo è un'opera particolarmente ostica. Si caratterizza da un lato per la sua forma di parafrasi del testo hegeliano, dall'altro per la critica marxiana molto influenzata dal pensiero di [[Jean-Jacques Rousseau]] e di [[Ludwig Feuerbach]]. Una delle maggiori critiche che Marx rivolge a Hegel consiste nel fatto che molti degli argomenti [[dialettica|dialettici]] si basano su [[astrazione (filosofia)|astrazioni]]: Hegel avrebbe scambiato il soggetto con il predicato: il concetto, l'idea è soggetto, mentre dovrebbe fungere da predicato; l'individuo concreto e materiale è il predicato, mentre dovrebbe fungere da soggetto. Ciò provoca una universalizzazione di contenuti, considerati come necessari, che per loro natura sono invece empirici, cioè particolari e contingenti. L'opera hegeliana tratta dello Spirito oggettivo e di come questo si realizzi dialetticamente, cioè in forme triadiche come Diritto astratto, Moralità ed Eticità. Quest'ultima è per Hegel un'etica sociale, concreta, che si realizza in istituzioni come: la famiglia, la società civile e lo Stato. In particolare Hegel propone una teoria dello Stato come momento più elevato dell'[[eticità]], che gli interpreti hegeliani hanno giustamente definito dello [[Stato etico]]. In questo ogni cittadino si realizza compiutamente; solo nello Stato, che è "sostanza etica", il cittadino ha "realtà, verità e oggettività": "Lo Stato in quanto è la realtà della volontà sostanziale, che esso ha nell'autocoscienza, particolare, elevata alla sua universalità, è razionale in sé e per sé. Questa unità sostanziale è fine a se stessa, assoluto, immoto, nel quale la libertà giunge al suo diritto supremo, così come questo scopo finale ha il più alto diritto, di fronte ai singoli, il cui dovere supremo è di essere componenti dello Stato". <ref>{{Cita libro|titolo=G.W.F.Hegel, Lineamenti della filosofia del diritto, trad.it|editore=Laterza, Bari, 1979|p=pp.239}}</ref> Secondo Marx uno Stato come quello delineato da Hegel non può in realtà definirsi "etico", in quanto si fonda sulla "religione della proprietà privata"<ref>{{Cita libro|titolo=K.Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, trad.it.|editore=Editori Riuniti, Roma, 1983|p=p.129}}</ref>.
 
== Descrizione ==
La critica marxiana verte soprattutto sul rapporto tra società civile e Stato: il merito di Hegel, secondo Marx, è quello di avere concesso spazio alla società civile, differenziandola dalla società politica, lo Stato. Hegel, pur analizzando la società civile, aveva però compreso solo parzialmente l'importanza della borghesia, rimanendo legato ad una certa visione feudale, che in Prussia all'epoca era ancora presente attraverso i grandi proprietari terrieri e con la legge del [[maggiorascato]]. La Rivoluzione francese (1789) aveva cercato di cancellare i privilegi in Francia (ma anche nei paesi conquistati in seguito da Napoleone Bonaparte) del clero e dell'aristocrazia, che costituivano "il primo stato" e "il secondo stato", a favore della borghesia. Questa costituiva "il terzo stato" e sin dall'avvento della Rivoluzione industriale (avvenuta in Gran Bretagna alla fine del '700) aveva assunto, dapprima in quella nazione, poi nelle altre, una posizione egemonica. Hegel, pur avendo avuto in gioventù simpatie napoleoniche, ha ora una visione conservatrice, che legittima il regime prussiano: Marx gli rimprovera che lo Stato, essendo dal punto di vista politico hegeliano il culmine dell'eticità, debba in realtà dipendere dalla proprietà privata fondiaria e dal maggiorascato. Inoltre molto influenzato dal concetto di "volontà generale" di Rousseau (presente nel "Contratto sociale" del 1762) contrappone alla concezione conservatrice di Hegel, una visione democratica, in cui tutti gli individui, indipendentemente dal censo, abbiano diritto di voto: il suffragio universale. In quest'opera Marx non ha però ancora "scoperto" il proletariato come classe, distinguendo i cittadini soltanto in "possidenti" e "non possidenti", e ha una concezione politica democratica ugualitaria. Negli anni seguenti, dopo il soggiorno a Parigi, in cui venne in contatto con il socialismo francese, con la "scoperta" del proletariato ("il quarto stato") come classe rivoluzionaria, la sua concezione politica diventò socialista rivoluzionaria, cioè comunista. Questa nuova visione rivoluzionaria sarà rappresentata eminentemente dal [[Manifesto del Partito comunista]], che Karl Marx pubblicò con [[Friedrich Engels]] a Londra nel 1848. In Italia "Per la critica della filosofia del diritto di Hegel" fu molto valorizzata da [[Galvano della Volpe]], che prese spunto da quest'opera per proporre nel suo classico "Rousseau e Marx" (1957) un Marx anti-hegeliano e legato invece al pensiero politico di Rousseau. Sulle sue orme si colloca la speculazione di [[Lucio Colletti]] e [[Umberto Cerroni]].
 
Una delle maggiori critiche che Marx rivolge a Hegel consiste nel fatto che molti degli argomenti [[dialettica|dialettici]] si basano su [[astrazione (filosofia)|astrazioni]]: Hegel avrebbe scambiato il soggetto con il predicato: il concetto, l'idea è soggetto, mentre dovrebbe fungere da predicato; l'individuo concreto e materiale è il predicato, mentre dovrebbe fungere da soggetto. Ciò provoca una universalizzazione di contenuti, considerati come necessari, che per loro natura sono invece empirici, cioè particolari e contingenti. L'opera hegeliana tratta dello Spirito oggettivo e di come questo si realizzi dialetticamente, cioè in forme triadiche come Diritto astratto, Moralità ed Eticità. Quest'ultima è per Hegel un'etica sociale, concreta, che si realizza in istituzioni come: la famiglia, la società civile e lo Stato. In particolare Hegel propone una teoria dello Stato come momento più elevato dell'[[eticità]], che gli interpreti hegeliani hanno giustamente definito dello [[Stato etico]].
 
In questo ogni cittadino si realizza compiutamente; solo nello Stato, che è "sostanza etica", il cittadino ha "realtà, verità e oggettività": "Lo Stato in quanto è la realtà della volontà sostanziale, che esso ha nell'autocoscienza, particolare, elevata alla sua universalità, è razionale in sé e per sé. Questa unità sostanziale è fine a se stessa, assoluto, immoto, nel quale la libertà giunge al suo diritto supremo, così come questo scopo finale ha il più alto diritto, di fronte ai singoli, il cui dovere supremo è di essere componenti dello Stato". <ref>{{Cita libro|titolo=G.W.F.Hegel, Lineamenti della filosofia del diritto, trad.it|editore=Laterza, Bari, 1979|p=pp.239}}</ref> Secondo Marx uno Stato come quello delineato da Hegel non può in realtà definirsi "etico", in quanto si fonda sulla "religione della proprietà privata"<ref>{{Cita libro|titolo=K.Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, trad.it.|editore=Editori Riuniti, Roma, 1983|p=p.129}}</ref>.
 
La critica marxiana verte soprattutto sul rapporto tra società civile e Stato: il merito di Hegel, secondo Marx, è quello di avere concesso spazio alla società civile, differenziandola dalla società politica, lo Stato. Hegel, pur analizzando la società civile, aveva però compreso solo parzialmente l'importanza della borghesia, rimanendo legato ad una certa visione feudale, che in Prussia all'epoca era ancora presente attraverso i grandi proprietari terrieri e con la legge del [[maggiorascato]]. La Rivoluzione francese (1789) aveva cercato di cancellare i privilegi in Francia (ma anche nei paesi conquistati in seguito da Napoleone Bonaparte) del clero e dell'aristocrazia, che costituivano "il primo stato" e "il secondo stato", a favore della borghesia. Questa costituiva "il terzo stato" e sin dall'avvento della Rivoluzione industriale (avvenuta in Gran Bretagna alla fine del '700) aveva assunto, dapprima in quella nazione, poi nelle altre, una posizione egemonica. Hegel, pur avendo avuto in gioventù simpatie napoleoniche, ha ora una visione conservatrice, che legittima il regime prussiano: Marx gli rimprovera che lo Stato, essendo dal punto di vista politico hegeliano il culmine dell'eticità, debba in realtà dipendere dalla proprietà privata fondiaria e dal maggiorascato.
 
La critica marxiana verte soprattutto sul rapporto tra società civile e Stato: il merito di Hegel, secondo Marx, è quello di avere concesso spazio alla società civile, differenziandola dalla società politica, lo Stato. Hegel, pur analizzando la società civile, aveva però compreso solo parzialmente l'importanza della borghesia, rimanendo legato ad una certa visione feudale, che in Prussia all'epoca era ancora presente attraverso i grandi proprietari terrieri e con la legge del [[maggiorascato]]. La Rivoluzione francese (1789) aveva cercato di cancellare i privilegi in Francia (ma anche nei paesi conquistati in seguito da Napoleone Bonaparte) del clero e dell'aristocrazia, che costituivano "il primo stato" e "il secondo stato", a favore della borghesia. Questa costituiva "il terzo stato" e sin dall'avvento della Rivoluzione industriale (avvenuta in Gran Bretagna alla fine del '700) aveva assunto, dapprima in quella nazione, poi nelle altre, una posizione egemonica. Hegel, pur avendo avuto in gioventù simpatie napoleoniche, ha ora una visione conservatrice, che legittima il regime prussiano: Marx gli rimprovera che lo Stato, essendo dal punto di vista politico hegeliano il culmine dell'eticità, debba in realtà dipendere dalla proprietà privata fondiaria e dal maggiorascato. Inoltre molto influenzato dal concetto di "volontà generale" di Rousseau (presente nel "Contratto sociale" del 1762) contrappone alla concezione conservatrice di Hegel, una visione democratica, in cui tutti gli individui, indipendentemente dal censo, abbiano diritto di voto: il suffragio universale. In quest'opera Marx non ha però ancora "scoperto" il proletariato come classe, distinguendo i cittadini soltanto in "possidenti" e "non possidenti", e ha una concezione politica democratica ugualitaria. Negli anni seguenti, dopo il soggiorno a Parigi, in cui venne in contatto con il socialismo francese, con la "scoperta" del proletariato ("il quarto stato") come classe rivoluzionaria, la sua concezione politica diventò socialista rivoluzionaria, cioè comunista. Questa nuova visione rivoluzionaria sarà rappresentata eminentemente dal [[Manifesto del Partito comunista]], che Karl Marx pubblicò con [[Friedrich Engels]] a Londra nel 1848. In Italia "Per la critica della filosofia del diritto di Hegel" fu molto valorizzata da [[Galvano della Volpe]], che prese spunto da quest'opera per proporre nel suo classico "Rousseau e Marx" (1957) un Marx anti-hegeliano e legato invece al pensiero politico di Rousseau. Sulle sue orme si colloca la speculazione di [[Lucio Colletti]] e [[Umberto Cerroni]].
 
== Note ==