Alexander Dubček: differenze tra le versioni
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Il consenso popolare ottenuto dall'azione riformatrice di Dubček suscitò ben presto la reazione di [[Unione Sovietica|Mosca]] e degli altri regimi comunisti est-europei, che, infine, si risolsero a porre fine all'eterodossa esperienza praghese ordinando, nell'agosto del [[1968]], l'intervento delle truppe del [[Patto di Varsavia]]. In conseguenza dell'intervento, egli fu arrestato dalle forze speciali al seguito delle truppe d'occupazione sovietica e trasportato assieme ai suoi principali collaboratori e ai più eminenti rappresentanti del nuovo corso a Mosca, dove fu costretto a siglare un protocollo d'intesa con il Cremlino che vincolava il suo ritorno alla guida del Partito con la [[Normalizzazione (Cecoslovacchia)|normalizzazione]] della situazione politica nel paese. Nonostante questo, l'opposizione popolare al regime d'occupazione consentì a Dubček di mantenere una certa autonomia dal Cremlino, tanto che, in seguito ai suoi tentennamenti di fronte alle proteste anti-sovietiche della primavera successiva, egli venne rimosso dal suo incarico e inviato come ambasciatore in [[Turchia]] (1969-1970) e, infine, venne espulso dal [[Partito Comunista di Cecoslovacchia|PCC]] nel 1970. Quell'anno tornò in Slovacchia, dove trovò impiego come manovale in un'azienda forestale.
Tornò alla vita pubblica nel 1988, quando il regime gli concesse di viaggiare in [[Italia]] per ricevere una [[laurea honoris causa]] a [[Bologna]]<ref>György Dalos, ''Giù la cortina. Il 1989 e la fine delle dittature nell'Europa dell'Est'', Roma, Donzelli editore, 2009, p. 163</ref>; nella stessa occasione rilasciò anche un'intervista a [[L'Unità]], dopo anni di silenzio, in cui ribadì le sue idee relative al rinnovamento e alla liberalizzazione della politica<ref>
È sepolto al cimitero di [[Slávičie údolie]] a [[Bratislava]], capitale della [[Slovacchia]].
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