Leveraged buyout: differenze tra le versioni

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== Descrizione e i tre metodi di finanziamento ==
Il ''leveraged buyout'' consiste nell'acquistare la quota di [[maggioranza]] (almeno il 51% del capitale sociale, fino al 90% o 100%) di una società anche laddove l'acquirente non ha in partenza tutto il denaro necessario. Una società si controlla se si possiede almeno il 51% del suo capitale sociale, siccome la propria scelta quando viene messa ai voti vale 51 su 100 in base al principio plutocratico (con quote come il 90% si possiede invece una "supermaggioranza"). In alcuni casi, il ''leveraged buyout'' non riguarda tutta l'azienda, ma un suo ramo o un suo gruppo preciso di attività. I beni della società acquistata, detta "società target" (o "attività target"), vengono messi come garanzia/collaterale del debito, che in contesto di acquisizioni di larghe quote di grandi società può anche essere enorme. Se il debito (che alza parecchio il livello di ''liability'' di una società) non si riesce a ripagare tutto il mutuo con interessi maturati, la società acquista va in bancarotta/insolvenza e la banca prestatrice può liquidare la società per soddisfare il credito. I soldi per ripagare il credito si recuperano tramite i ricavi delle attività di business (ma la società deve avere un flusso di cassa imponente) e/o tramite la vendita di alcuni rami (anche non strategici) o asset della società target appena acquisita. La vendita di rami e unità della società si chiama "''break-up"''. Siccome l'acquisto di una società con un flusso di cassa già imponente e molto profittevole e ottime prospettive di crescita rendono facile il ripagamento del debito e in più sono società attraenti e dal grande valore in generale, esse sono un classico target dei ''leveraged buyout''.
 
In alternativa alle banche, si possono raccogliere finanziamenti a debito (''debt financing'') per l'acquisto tramite l'emissioni di obbligazioni societarie (''corporate bond'') nel mercato ma, siccome il rischio è molto alto perché si lega a un ''leveraged buyout'', il loro tasso di interesse è molto alto e vengono classificati dalle agenzie di rating come ''junk-bond'', cioè come spazzatura: il rischio di perdita di tutto il denaro, che dunque non verrà mai ripagato con gli interessi maturati, è molto alto. I bond, in contesto di ''leveraged buyout'', di solito sono emessi e venduti tramite un canale privato.
 
Come terza alternativa alle banche (''bank financing'') e alle obbligazioni (''bond issuance''), si può ricorrere al debito subordinato (''subordinated debt''), detto anche "''mezzanine debt"'' o ''junior debt''. Quest'ultimo è sempre denaro prestato ma senza richiesta di garanzia/collaterale (debito non garantito/''unsecured debt'', l'opposto di debito garantito/''secured debt''); di contro, viene richiesto un tasso di interesse alto proprio a causa dei rischi e può richiedere l'emissione di ''option'' (un tipo di strumento derivato) e/o ''warrants''. Il "''senior debt"'', di contro, è il comune debito che si accumula con prestiti bancari e emissioni di bond societari. I due tipi di debito possono anche affiancarsi. L'attività di finanziarsi tramite il debito subordinato si chiama "''mezzanine financing"'' e una prima garanzia di ripagamento è l'offerta di questo tipo di debito a una società già ben avviata, non a una startup (infatti queste ultime tipicamente ricorrono al ''senior debt'').
 
L'acquirente può essere il ''management'' della compagnia target stessa (''management buyout''), il ''management'' di un'altra società (''management buyin''), un misto dei due (''buy-in management buyout'') o un'altra società in generale (incluse le società che controllano fondi di ''private equity''). L'<nowiki/>''employee buyout'' riguarda invece l'acquisto di una società da parte dei lavoratori stessi per salvarla dal dissesto finanziario e/o dalla liquidazione; a volte anche il management buyout avviene per questi motivi. Ma anche l'''employee buyout'' può avvenire tramite parziale indebitamento suddiviso tra i lavoratori.
 
L'acquisto non avviene in modo diretto tramite l'acquisto di azioni, ma avviene attraverso l'apertura di una società veicolo (cioè una società avente un unico e preciso scopo) detta "''NewCo"''. In essa, si versano tutti i soldi del ''leveraged buyout'' come capitale sociale. Dopodiché, avviene l'acquisto/''buyout'' della società target e avviene una fusione (merger) tra la ''NewCo'', incorporante, e la società target, incorporata. La fusione non avviene se la ''NewCo'' acquista semplicemente degli ''asset'' o rami dell'azienda target.
 
I ''leveraged buyout'' vengono talvolta considerate delle tattiche predatorie e, siccome sono operazioni complesse, possono necessitare anche di qualche mese per essere completate.
 
Uno dei più grandi ''leveraged buyout'' è stato l'acquisto della Hospital Corporation of America (HCA) da parte della Kohlberg Kravis Roberts & Co. (KKR), Bain & Co. e della Merrill Lynch nel 2006. Le tre compagnie in totale hanno pagato circa 33trentatré miliardi di dollari per acquisire la HCA tramite LBO.
 
In generale, i ''leveraged buyout'' hanno subito un'impennata storica negli [[Anni 1980|anni '80ottanta]] accompagnata da numerosi fallimenti di molte aziende acquistate con questo strategemma. Il motivo dei fallimenti, intuitivamente, è il debito insostenibile per il livello di cassa siccome il denaro per pagare era al 100% a debito (cioè il ''leverage ratio'' era del 100% o quasi); oggi il livello di debito per l'acquisto si tende a modulare intorno al 90%, mentre il rimanente 10% è formato da soldi che non derivano da debiti, cioè da finanziamento tramite equity. In più, gli interessi sul prestito erano molto alti ''in primis'' perché l'investimento era piuttosto rischioso. Le società che gestiscono fondi di ''private equity'' di solito acquistano le società target con il 70-80% della cifra finanziato a debito e il rimanente 20-30% finanziato non a debito (cioè a equity).
 
Infine, il tipico motivo per cui avvengono i ''leveraged buyout'', intuitivamente, è per permettere a una società di acquistare un'altra società con un buon flusso di cassa e buone possibilità di crescita (questa società può anche essere il concorrente/competitore della società acquirente). In realtà, può anche avvenire per ritirare dalla borsa una società quotata (listed on a stock exchange) e renderla privata.
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Esistono cinque scenari di ''leveraged buyout'', se si include anche la possibilità che la società target fallisca. I primi quattro sono collegati a un preciso piano:
 
* Nel '''repackaging plan''', una compagnia quotata in borsa è acquistata tramite ''leveraged buyout'' (si acquistano tutte le sue azioni esistenti e circolanti, le "''outstanding shares"''), viene ristrutturata nel corso di qualche anno e si rivendono le sue azioni tramite un'offerta pubblica iniziale IPO. L'obiettivo finale è di guadagnare tramite l'innalzamento di valore dell'azienda, che si abbatte sul valore innalzato delle azioni.
* Nello '''split-up plan''' (o schema "''slash and burn"'' o schema "''cut and run"''), una compagnia è acquistata tramite ''leveraged buyout'' e alcuni suoi settori (a partire da quelli meno redditizi o meno strategici a quelli più redditizi) vengono rivenduti per liberarsene e guadagnare con il solo fine di lucro siccome si ritiene che la società target valga di più rivenduta a pezzi che intera. Le vendite avvengono al migliore offerente, come avviene in un'asta (si passa sempre attraverso l'asta/auction in contesto di liquidazione). Questo schema è il più ostile, predatorio e aggressivo in assoluto e, nel caso di liquidazioni, porta anche a licenziamenti di massa (massive layoffs). Laddove delle branche reddizie sono vendite tramite partecipazione azionaria, queste branche possono però avere il vantaggio di svilupparsi indipendentemente, senza alcun blocco dalla società controllante/holding a cui appartenevano.
* Nel '''portfolio plan''' (o "''leveraged build-up"''), una compagnia concorrente viene acquistata e, tramite l'unione delle forze, si continuano le attività di business per sostenere il ''cash flow'', crescere e ripagare il debito.
* Nel '''savior plan''', una compagnia in dissesto finanziario e vicina all'insolvenza/bancarotta o addirittura alla liquidazione viene acquistata per essere rigenerata; l'acquisto può essere un ''management buyout'' (MBO) o un ''employee buyout'' (EBO) o un misto dei due, il ''management and employee buyout'' (MEBO). Il ripagamento del debito avviene se l'azienda torna a essere redditizia tramite i nuovi finanziamenti e/o una gestione migliore.
 
* Nello '''scenario fallimentare''', una compagnia è acquistata ma il flusso di cassa e la crescita sono insufficienti per ripagare il denaro con interessi, pertanto la società va in insolvenza e, se ogni possibilità di rinegoziazione dei crediti fallisce, viene liquidata per soddisfare i crediti (essa stessa è stata messa a garanzia del credito).
 
== Riacquisto ==
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== Il ''leveraged buyout'' in Italia ==
Fino al 2003 in Italia vi era un espresso divieto di porre in essere operazioni di LBO, poiché strumento di aggiramento per interposta persona (''NewCo'') del divieto di sottoscrizione di azioni proprie (art.2357 c.c.) e del divieto di assistenza finanziaria per la sottoscrizione o l'acquisto di [[azione (finanza)|azioni]] proprie.
 
Di fatto la ''NewCo'' è una scatola vuota priva di capacità di produrre [[reddito]] ma tale strumento applicato nella giusta maniera (qui entra in gioco il ruolo importante del consulente) può garantire dei vantaggi legati al miglioramento della [[Governo d'impresa|governance d'impresa]], e, nel caso per esempio del [[Management buyout|MBO]] e [[Workers buyout|WBO]], di poter condividere il rischio di impresa con soggetti dipendenti della società stessa.
 
Il ''leveraged buyout'' è stato espressamente reso lecito nell'ordinamento giuridico italiano a seguito della riforma del diritto societario del 2003, la quale ha permesso di superare i dubbi di legittimità che venivano sollevati sulla base del divieto, contenuto nel primo comma dell'art. 2358 c.c. che inibisce alle società di accordare prestiti o concedere finanziamenti per l'acquisto di proprie azioni.
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La riforma ha però subordinato la liceità della operazione all'adempimento di alcuni oneri. In particolare, gli amministratori delle società interessate all'operazione dovranno predisporre un piano economico e finanziario, confortato da una relazione di esperti che ne attesti la ragionevolezza, nel quale devono essere indicate le fonti delle risorse finanziarie e devono essere descritti gli obiettivi che si intendono raggiungere.
 
Importante infine è la distinzione tra "debito senior" (ossia con garanzie e ''covenant'' positive e negative) e "debito junior". Quest'ultimo viene remunerato dopo il "debito senior".
 
In un'operazione corretta di ''leveraged buyout'' la concessione del debito senior è subordinata a una serie di condizioni, quali:
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=== Primo tentativo ===
Le premesse per l'esecuzione di questa operazione di ''leveraged buyout'' furono poste nel 1997, quando si procedette alla privatizzazione del colosso statale Telecom avente un fatturato di 43.100 miliardi di lire e 124.000 dipendenti. A fine novembre 1998 [[Roberto Colaninno]], amministratore delegato di Olivetti, dopo un incontro con alcuni importanti finanziatori ([[Chase Manhattan]] ed [[Emilio Gnutti]]) si convinse della possibilità di scalare Telecom, guidata dal 1999 da [[Franco Bernabè]], attraverso un'operazione di ''leveraged buyout''. Il 13 gennaio 1999 il [[Financial Times]] pubblicò notizie circa una scalata ostile organizzata ai danni di Telecom da parte di un gruppo di investitori, scatenando il raddoppio del volume degli scambi sul titolo in borsa. Colaninno convocò il consiglio di amministrazione di Olivetti per sabato 20 febbraio 1999 per deliberare i termini OPA ostile su Telecom per poi comunicati contemporaneamente a [[Borsa Italiana]] e [[Consob]]. Si trattava di un LBO avente come ''Newco'' la [[Olivetti Tecnost]], che avrebbe dovuto caricarsi del debito per poi fondersi con Telecom. I termini dell'offerta erano di €10 per azione, con un premio del 26% rispetto alla chiusura del venerdì 19 febbraio:
 
* € 6 in contanti;
* € 2,6 in obbligazioni Tecnost a 5cinque anni, emesse e rimborsate alla pari, con godimento annuale e ''[[spread]]'' sull'[[Euribor]] pari a 200-225 ''basis point'' (considerato un segnale di rischiosità dell'operazione, dato che un rating BBB di [[S&P]] prevedeva uno ''spread'' tra 75 e 100 ''basis points'');
* € 1,4 in azioni Tecnost ordinarie, provenienti da un apposito aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione.
 
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* Conversione delle azioni di risparmio Telecom in ordinarie;
* Riacquisto di azioni proprie fino al massimo consentito dalla legge (10%);
* Piano 1999-2002, imperniato sulla convergenza fisso/mobile (ristrutturazione dell'attivo).
 
La ''passivity rule'' innescata dall'OPA imponeva, che, per essere attuata, questa strategia necessitava dell'approvazione di almeno il 30% degli azionisti ordinari, che furono convocati il 10 aprile 1999. Non era facile coalizzare questa maggioranza: oltre agli investitori italiani, bisognava convincere gli investitori istituzionali internazionali, che possedevano oltre il 50% di Telecom. Nel frattempo si scatenò l'asta relativa all'OPA ostile:
 
* 1° rilancio - di Olivetti, 17 marzo 1999: nuovo piano industriale, nessuna fusione Telecom-Tim, ''payout'' al 90% per gli azionisti Tim e ''buyback'' per Telecom risparmio;
* 2° rilancio - di Telecom, 27 marzo 1999: non più OPS ma OPA sull'intero flottante Tim (40%), con un esborso di €6,84 per le ordinarie (+17,4% rispetto all'ultima quotazione) e €3,85 per le risparmio (+8,6%), con l'effetto collaterale dell'aumento dell'indebitamento;
* 3° rilancio - di Olivetti, 29 marzo 1999: rialzo del prezzo offerto per le azioni Telecom da €10 a €11,5 (complessivi €60,4 miliardi) di cui €6,92 ''cash'', €2,9 in obbligazioni Tecnost ed € 1,68 in azioni Tecnost, con clausola di offerta subordinata alla mancata acquisizione di Tim da parte di Telecom.
 
Nei giorni precedenti l'assemblea del 10 aprile ci fu una grande campagna pubblicitaria per convincere gli azionisti Telecom a partecipare in assemblea. Tuttavia il Tesoro e la Banca d'Italia decisero di non partecipare per mantenere un profilo neutrale<ref>{{cita web|autore=Giorgio Meletti|autore2=Stefania Tamburello|url=http://archiviostorico.corriere.it/1999/febbraio/23/Alema_governo_resta_neutrale_co_0_9902232241.shtml|titolo=D'Alema: il governo resta neutrale del 23 febbraio 1999|pubblicazione=[[Corriere della Sera]]|data=23 febbraio 1999|pagina=4|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140221145925/http://archiviostorico.corriere.it/1999/febbraio/23/Alema_governo_resta_neutrale_co_0_9902232241.shtml|dataarchivio=21 febbraio 2014|accesso=23 marzo 2021}}</ref>. Molti hanno in seguito valutato questo comportamento come precisa volontà di ostacolare il piano difensivo di Bernabè e favorire la scalata di Colaninno<ref>{{cita web|autore=Sergio Rizzo|wkautore=Sergio Rizzo|url=http://archiviostorico.corriere.it/2000/agosto/12/amico_Alema_scalata_dei_capitani_co_0_0008128621.shtml|titolo=L'amico D'Alema e la scalata dei capitani coraggiosi|pagina=5|pubblicazione=Corriere della Sera|data=12 agosto 2000|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110921233714/http://archiviostorico.corriere.it/2000/agosto/12/amico_Alema_scalata_dei_capitani_co_0_0008128621.shtml|dataarchivio=21 settembre 2011}}</ref>. Anche gli investitori istituzionali stranieri erano allettati dall'offerta Olivetti in quanto permetteva loro di realizzare forti plusvalenze. Il 10 aprile 1999, dopo 40 minuti dall'apertura dei lavori risultava iscritto il 33,5% dei soci ma presente solo il 22,3%. In assenza del ''quorum'' del 30% (ex art. 104 [[Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria|TUF]], Passivity Rule) l'assemblea fu sciolta e nessun provvedimento difensivo poté essere approvato.
 
=== Secondo tentativo ===
Bernabè non si arrese e ottenne dal consiglio di amministrazione il mandato per cercare un acquirente gradito alalla managementdirezione aziendale, detto in gergo ''White Knightknight'' (Cavaliere bianco). Questa operazione era resa difficile dal fatto che il tessuto imprenditoriale italiano non disponeva di capitali sufficienti da investire in questa acquisizione così onerosa. Al contempo, per uno straniero, risultava difficile superare la condizione dell'approvazione politica. Tuttavia il 16 aprile 1999 Bernabè raggiunse un accordo con [[Deutsche Telekom]] che prevedeva una fusione in una ''NewCo''<ref>{{cita web|autore=Marco Esposito|wkautore=Marco Esposito (giornalista)|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/04/17/telecom-bernabe-gioca-asso.html|titolo=Telecom, Bernabè gioca l'asso|pubblicazione=[[la Repubblica (quotidiano)|la Repubblica]]|data=17 aprile 1999|accesso=23 marzo 2021}}</ref>. Tale operazione avrebbe creato un colosso della telefonia, con grandi sinergie e poche sovrapposizioni di mercato poiché Telecom Italia operava in Sud America mentre Deutsche Telekom in Asia e nell'est europeo. Si sarebbero raggiunti €70 miliardi di fatturato e €200 miliardi di capitalizzazione. La ''NewCo'', di diritto tedesco, sarebbe stata quotata a [[Borsa di Francoforte|Francoforte]], [[Borsa di Milano|Milano]] e [[Borsa di New York|New York]].
 
Ma il 22 aprile 1999 la Consob diede il via libera all'OPA proposta da Olivetti. Il giorno della chiusura si arrivò al 51,02% di partecipazione, così Olivetti assunse il controllo di Telecom Italia. Per ripagare i debiti contratti con l'operazione di ''leveraged buyout'' il ''management'' di Telecom Italia fu costretto negli anni a seguire a cedere ''asset'' di valenza strategica e a dimezzare i propri dipendenti<ref name="soldionline">{{cita web|autore=Paolo Sassetti|url=https://www.soldionline.it/archivio/judo-finanziario/telecom-italia-e-la-maledizione-dei-ri-leveraged-buy-out|titolo=Telecom Italia e la maledizione dei ri-leveraged buy out|data=23 aprile 2007|accesso=23 marzo 2021}}</ref>.
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Fu però solo nel 2003, durante la gestione Pirelli con presidente [[Marco Tronchetti Provera]], che i 16 miliardi di debiti dell'OPA di Olivetti furono scaricati sul Gruppo Telecom Italia mediante l'operazione di fusione Olivetti-Telecom. Dai dati di bilancio del Gruppo Telecom i debiti incrementano dai 21,9 miliardi del 2001 (anno di ingresso della Pirelli) ai 33,3 miliardi del 2003.
 
Il ''leverage buyout'' si concluse dunque nel 2003, dopo che la Pirelli, arrivata al controllo di Telecom nel 2001 rilevando i debiti della Olivetti per evitare grossi esborsi monetari, decise di scaricare i debiti della sua scalata sul Gruppo Telecom. E' possibile infatti definire la scalata della Pirelli come un ''rileverage buyout''<ref name="soldionline" /> con definitiva fusione dei debiti della società veicolo (Olivetti) sulla società target (Gruppo Telecom).
 
Effettivamente, prima della fusione Olivetti-Telecom avvenuta nel 2003, i debiti dell'OPA gravavano sulla Olivetti che era la controllante al 51% del Gruppo Telecom. Tali debiti invece di esser scaricati avrebbero potuto anche essere risanati o isolati dal Gruppo Telecom<ref>{{cita news|autore=Massimo Mucchetti|wkautore=Massimo Mucchetti|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/09/24/tronchetti-copre-le-sue-colpe-prepara-la.html|titolo=Tronchetti copre le sue colpe e prepara la vendita di Pirelli|pubblicazione=la Repubblica|data=24 settembre 2013|accesso=23 marzo 2021}}</ref>, specie quando le quotazioni di borsa negli anni successivi erano in netta discesa potendo favorire l'ascesa di altri gruppi di controllo riducendo la quota della Olivetti.