Achille Campanile: differenze tra le versioni

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Come tutti gli umoristi, Campanile fu sottovalutato per anni da tutta la critica ufficiale; la sua "riscoperta" da parte del pubblico e della critica negli [[anni 1970|anni settanta]] rese giustizia a uno dei più grandi umoristi italiani. In particolare [[Umberto Eco]] ne analizzò lo stile e la modernità del suo umorismo paradossale e surreale. Fra gli altri ammiratori vanno menzionati [[Oreste Del Buono]], [[Norberto Bobbio]]<ref>"Bobbio: sono così campanilista da saperlo ancora a memoria", ''[[La Stampa]]'', 20 settembre 1999: "io sono stato un ferventissimo campaniliano, o meglio, addirittura, un campanilista. Quando uscì ''Ma cos'è quest'amore'' eravamo studenti. Lo sapevamo a memoria. Ci scambiavamo le sue battute. Si andava a gara a chi ne sapeva di più. Ancora adesso [lo so] a memoria".</ref> e [[Giovanni Arpino]]. Un tocco {{chiarire|post-futurista}} caratterizza molte delle sue ''gag'', non diversamente da quelle di Carlo Manzoni e degli ''exploit'' di De Crescenzo.
 
{{Citazione|L'umorista tra l'altro è uno che istintivamente sente il ridicolo dei luoghi comuni e perciò è tratto a fare l'opposto di quello che fanno gli altri. Perciò può essere benissimo ''in hilaritate tristis'' e ''in tristitia hilaris'' [citazione latina da [[Giordano Bruno]], apposta sul frontespizio della sua opera teatrale ''Candelaio''], ma se uno si aspetta che lo sia, egli se è un umorista, può arrivare perfino all'assurdo di essere come tutti gli altri ''in hilaritate hilaris'' e ''in tristitia tristis'' perché, e questo è il punto, l'umorista è uno che fa il comodo proprio: è triste o allegro quando gli va di esserlo e perciò financo triste nelle circostanze tristi e lieto nelle liete.|Achille Campanile}}
 
== Le opere ==