Qui vincit non est victor nisi victus fatetur: differenze tra le versioni

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Quest'atteggiamento rompeva gli schemi etici di quel periodo, fortemente influenzati dal mondo ellenico, secondo i quali i conflitti erano risolti con battaglie in campo aperto il cui risultato era accettato come sorte definitiva della guerra<ref>{{Cita|Giovanni Brizzi|Cap.: Cartagine Roma: dall'intesa al confronto|Equilibrio int.}}</ref>, la storica Barton, citando questa frase, ricorda il commento di [[Servio Mario Onorato|Servio ]] che osserva che i Troiani non furono sconfitti (''invictos'') nella guerra, poiché caddero in una imboscata, mentre gli sconfitti sono coloro che si arrendono al nemico<ref>{{Cita|Roman Honor|136}}</ref>.
 
Questa frase è la più famosa fra quelle scritte nei frammenti conservatisi fino all'epoca attuale dell'opera di Ennio, che costituiva la narrativa epica della storia di Roma, partendo dalla [[guerra di Troia]], e la più densa di significato, probabilmente per il fatto che il poeta visse contemporaneamente alla guerra<ref>{{Cita|David M. Gwynn||The Roman Rep.}}</ref>, e fu variamente ripresa e citata da successivi autori, a partire da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] <ref>{{Cita|A. Tedeschi|p. 87|A. Tedeschi}}</ref>.
 
==Note==