Storia mineraria della Sardegna: differenze tra le versioni

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La nuova società, soprattutto per impulso del Mandel, introdusse diverse innovazioni tecnologiche, tra le quali l'impiego dell'esplosivo durante i lavori di estrazione. Furono portate in Sardegna maestranze esperte nell'arte mineraria, soprattutto tedesche. Si deve al Mandel la costruzione, presso [[Villacidro]], di una grande fonderia di piombo. Egli fu però accusato dalla Reale Intendenza di trascurare l'esplorazione di nuove miniere limitandosi allo sfruttamento di quelle già esistenti. Fu anche aperta un'inchiesta per presunte irregolarità fiscali, che portò, nel [[1758]], alla revoca della concessione al Mandel.
 
Nel [[1762]] l'amministrazione delle miniere sarde passò nelle mani del Direttore del distretto delle miniere Pietro de Belly, il quale ostacolò l'attività mineraria privata ritenendo fosse più redditizio per lo Stato sfruttare direttamente le ricchezze del sottosuolo sardo. Il Belly cercò anche di reintrodurre il lavoro coatto nelle miniere e per questo si meritò, nel [[1871]], una critica di [[Quintino Sella]]<ref>Quintino Sella aveva redatto una ''[[Relazione del deputato Sella alla Commissione d' inchiesta sulle condizioni dell' industria mineraria in Sardegna]]''. La Relazione fu discussa in Parlamento il 3 maggio 1871.</ref>..
 
Tra le manchevolezze da ascrivere al Belly vi è anche il mancato sfruttamento del ricco filone d'argento del Sarrabus, di cui già il Mandel aveva intuito le potenzialità. Il Belly infatti riteneva troppo costosa la coltivazione di questo filone, dato il terreno impervio e la difficoltà delle comunicazioni della zona. Solo nel secolo successivo venne riscoperto il valore minerario della regione sud-orientale dell'isola.