Industria culturale: differenze tra le versioni
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== L’ideologia ==
Con la nozione di ''Industria culturale''
"Film radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni settore è armonizzato in sé e tutti fra loro [...] Film e radio non hanno più bisogno di spacciarsi per arte. La verità che non sono altro che affari serve loro da ideologia, che dovrebbe legittimare gli scarti che producono volutamente.
== Funzionamento e obiettivi ==
La funzione ideologica dell’industria, da quanto emerge nella ''Dialettica'', si esprime nei processi di feticizzazione della cultura. Il carattere di feticcio dei prodotti culturali indica, richiamando la nozione marxiana di [[feticismo]] delle merci, l’astratto “essere-per-altro” dei prodotti di consumo ovvero il valore di scambio che domina la cultura capitalistica alienata
L’industria culturale, in conclusione, sfornerà prodotti che avranno solo una parvenza d’armonia, un’armonia che altro non è che condiscendenza nei confronti di una totalità data. Ad esempio in un film il rapporto tra parti e tutto verrà risolto a favore dell’effetto calcolato con precisione e l’unità dell’opera si frantumerà in momenti “gustosi”, nel piacere dell’attimo e della facciata.
"Divertirsi significa essere d’accordo. Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare il dolore anche là dove viene mostrato" (ivi, p. 156).
L’industria culturale, secondo Horkheimer e Adorno interviene in modo pervasivo sulle modalità di fruizione dei beni, sapientemente contraddistinta dall’ ''amusement'' e dall’''easy listening''. Allo scopo di ottenere la manipolazione degli individui l’industria culturale vuole che l’occasione di fruizione debba poter essere ottenuta senza alcuno sforzo da parte del fruitore. Per ottenere ciò ricorre allo strumento dello stereotipo, vale a dire alla stabilizzazione di alcuni elementi utili per la loro riconoscibilità in futuro. Inoltre, secondo gli studiosi della [[Scuola di Francoforte]], i rapporti esistenti tra i diversi messaggi trasmessi dai prodotti dell’industria culturale, non sono casuali e "manifestano la tendenza a canalizzare la reazione del pubblico […]. La maggioranza degli spettacoli televisivi oggi punta alla produzione, o almeno alla riproduzione, di molta mediocrità, di inerzia intellettuale, e di credulità, che sembrano andar bene con i credi dei totalitari, anche se l’esplicito messaggio superficiale degli spettatori può essere anti-totalitario" (ivi, p. 385).
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[[File:Edgar Morin IMG 0558-b.jpg|thumb|Edgar Morin]]
Il pessimismo dei due filosofi francofortesi ha dato presto avvio ad un lungo dibattito sulla cultura di massa. Il loro approccio è stato sottoposto a revisione a partire dall’analisi di [[Walter Benjamin]] che, pur condividendo la posizione adorniana sulla “razionalità illuministica” ha individuato proprio nel processo tecnologico e nei nuovi mezzi di comunicazione di massa, come la fotografia e il cinema, la leva per l’emancipazione sociale delle masse e per una possibile democratizzazione culturale.
Un altro studioso, il francese [[Edgar Morin]] con il suo ''L’esprit du temps'', è arrivato a sostenere che l’industria culturale non fosse solo uno strumento ideologico utilizzato per manipolare le coscienze, ma anche un’enorme officina di elaborazioni dei desideri e delle attese collettive. Lo studioso, conducendo analisi
Nel tempo ci sono state molte altre ricostruzioni del concetto d’industria culturale, alcune ideologiche, altre storiche, che hanno messo a punto tutta una serie di temi connessi, assai più vicini alla prospettiva moriniana che a quella francofortese.
==Bibliografia==
* Adorno, T.W.; Horkheimer, M.. 1966. ''Dialettica dell'Illuminismo''. Torino, Einaudi.
* Bentivegna, Sara. 2007. ''Teorie delle comunicazioni di massa''. Roma, Laterza.
* Colombo, Fausto. 2005. ''Introduzione allo studio dei media''. Roma, Carocci.
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