Varietà (spettacolo): differenze tra le versioni

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Durante il [[fascismo]], poi, l'ostracismo derivante dalla volontà di sopprimere gli [[Teatro dialettale|spettacoli in dialetto]] e di annullare i richiami all'estero in nome di una [[cultura di massa]] nazionale, sfavorirono di molto il varietà, che si trovò sempre meno ricercato e rappresentato.
 
Ma fu proprio la derivazione popolare a rappresentare uno dei punti di forza e di innovazione del teatro di varietà, nei generi appunto che dal popolo traevano ispirazione; e che per il popolo acquisivano linguaggi, tematiche, tempi e svolgimenti propri, tanto da rappresentare quasi una rivoluzione nel campo teatrale. Nel varietà non esisteva l'autoralitàautorità del singolo, sebbene spesso l'attore fosse solo in scena: l'evento teatrale, infatti, si appoggiava sulla collettività e sfociava in qualità espressive che ad essa si riferivano. La rivoluzione del varietà fu muta, sotterranea, ma al contempo così semplice da cogliere da non essere compresa che da pochi individui.
 
Proprio l'immediatezza e la velocità del genere spettacolare attirarono l'attenzione di [[Filippo Tommaso Marinetti]], che il [[1 ottobre]] [[1913]] pubblicò sul giornale ''[[Lacerba]]'' il ''Manifesto del teatro di varietà'', nel quale esaltava la novità di un tipo di teatro che rinnegava la verosimiglianza prediligendo al contrario la spettacolarità, il paradosso, l'azione e la praticità.