Samādhi: differenze tra le versioni

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'''Samādhi''' ([[devanāgarī]]: समाधि, lett. "mettere insieme", "unire con") è un sostantivo maschile [[sanscrito]] proprio delle culture religiose [[buddhista]] e [[induista]] che descrive l'unione del meditante con l'oggetto della meditazione.
 
== Origine e significato del termine==
Il termine sanscrito ''samādhi'' deriva da ''sam'' ("insieme") rafforzato dalla particella ''ā'' + la radice verbale ''dha'' ("mettere").
 
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* in [[lingua tibetana|tibetano]] ''ting-nge-'dzin'';
 
== Il ''samādhi'' nel [[Buddhismo]]==
È nella letteratura buddhista che si riscontra per la prima volta il termine ''samādhi'':
{{q|Monaci, questi sono i quattro stadi della concentrazione (''samādhi''). Quali quattro? C'è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce al piacere in questa vita. C'è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce al conseguimento della conoscenza e della visione profonda. C'è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce alla consapevolezza e alla presenza mentale. C'è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce alla fine degli influssi impuri|''Samādhisutta'', ''Aṅguttaranikāya'' 4.41 }}
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[[Buddhaghosa]] lo indica come "concentrazione in un solo punto" (''cittasya ekāgratā'', in ''Aṭṭhasālinī'' 118).
 
[[Georg Fuerenstein]] <ref>''Op.cit''</ref> evidenzia come con ciò non si intenda la "concentrazione della mente ordinaria" quanto piuttosto la capacità ''[[Yoga|yogica]]'' di astrarsi dall'esterno focalizzandosi sulla propria realtà interiore.
 
Alle stesso conclusioni definitorie, in ambito buddhista, giunge [[Philippe Cornu]]:
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{{q|Per accedere al ''samādhi'', dunque, ''[[śamatha]]'' o ''[[vipaśyanā]]'' presi singolarmente non sono sufficienti|[[Philippe Cornu]]. ''Op.cit.''}}
 
==Il ''samādhi'' nell' [[Induismo]]==
Il termine ''samādhi'' compare anche nella ''[[Bhagavadgītā]]'', opera successiva al [[Canone buddhista]].
{{q|Coloro che ricercano il godimento (''bhoga'') e il potere (''aiśvarya'') hanno il pensiero catturato da tale [discorso]; in questi la mente (''buddhiḥ''), nonostante la natura propria della decisione, non è adatta alla contemplazione(''samādhi'') |''[[Bhagavadgītā]]'', II, 44|bhogaiśvarya-prasaktānāṁ tayāpahṛta-cetasām vyavasāyātmikā buddhiḥ samādhau na vidhīyate|lingua=sa}}
 
[[Georg Fuerenstein]] <ref>''Op.cit.''</ref> evidenzia tuttavia un passo della ''[[Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad]]'' (''Upaniṣad'' vedica collegata al ''Śukla [[Yajurveda]]'') che sembra anticipare il termine e la dottrina relativa al ''samādhi'' denominato qui con il participio passato ''samāhita'' ("raccolto") indicante la concentrazione mentale.
{{q|"Questo stesso è espresso nei versetti: Questa è la sempiterna grandezza del brahmano: né s'accresce né diminuisce per l'azione che compie. Bisogna cercare le tracce di questo [Ātman]: una volta che lo si sia conosciuto non si è insozzati da azione malvagia. Perciò colui che questo sa diventa calmo, tranquillo, indifferente, paziente, raccolto in sé e in se stesso scorge l'Ātman, in ogni cosa scorge l'Ātman; non lo vince il peccato, anzi egli vince ogni peccato, non lo brucia il peccato, anzi egli brucia ogni peccato; libero da peccato, da passioni, da dubbi, egli è un vero brahmano. Questo è il mondo del Brahman, o gran re; ad
esso ti ho fatto giungere". Questo disse Yājñavalkya e Janaka replicò: "Io mi consegno a te, o venerabile, e anche i Videha ti consegno [come schiavi]<ref>Traduzione a cura di [[Carlo Della Casa]], in ''Upaniṣad''. Torino, UTET, 1983, pag.136.</ref>|''Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad'' IV,4,23|tad etad ṛcābhyuktam eṣa nityo mahimā brāhmaṇasya na karmaṇā vardhate no kanīyān tasyaiva syāt padavittaṃ viditvā na lipyate karmaṇā pāpakeneti tasmād evaṃvic chānto dānta uparatas titikṣuḥ samāhito bhūtvātmany evātmānaṃ paśyati sarvam ātmānaṃ paśyati nainaṃ pāpmā tarati sarvaṃ pāpmānaṃ tarati nainaṃ pāpmā tapati sarvaṃ pāpmānaṃ tapati vipāpo virajo 'vicikitso brāhmaṇo bhavati eṣa brahmalokaḥ samrāṭ enaṃ prāpito 'sīti hovāca yājñavalkyaḥ so 'haṃ bhagavate videhān dadāmi mām cāpi saha dāsyāyeti|lingua=sa}}
 
[[Mircea Eliade]] <ref>''Op.cit.''</ref> evidenzia che se il ''samādhi'' è considerato una esperienza "indescrivibile" esso non è comunque univalente e viene indicato come
{{q|lo stato contemplativo in cui il pensiero afferra immediatamente la forma dell'oggetto senza l'aiuto delle categorie e dell'immaginazione (''kalpaṇā''); stato in cui l'oggetto di rivela "in sé stesso" (''svarūpa''). in ciò che ha di essenziale e come se "fosse vuoto di sé stesso" (''arthamātranirbhāsaṃ svarūpaçūnyamiva'' in ''Yogasūtra'', III,3}}