Io e il duce: differenze tra le versioni

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Edda cercò furiosamente di far graziare Ciano dal padre; arrivò a minacciarlo, di divulgare pubblicamente certe sue notizie, lo disprezzò e lo insultò oltre ogni limite e poi lo abbandonò portandosi via i figli; non lo rivide mai più.<ref>Metello Casati, "1944: il processo di Verona" da I documenti terribili, Mondadori, 1973, Milano</ref>
 
E arrivò il giorno del processo. Nel tetro, enormeimmenso salone dove si svolgeva, la luce faceva fatica ad illuminare la scena, un enorme fascio repubblicano troneggiava sulla sala; ora la scure si trovava nella sommità delle verghe, quasi a voler accentuare un testardo rinnovamento sugli errori del passato come lo sciagurato connubio con la Monarchia. Galeazzo era seduto su una sedia con il cappello appoggiato sul pomello dello schienale, in una posa che sembrava più adatta ad un convivio bucolico che ad un processo. Era la sua forma di disprezzare quanto gli avveniva intorno. Guardava il soffitto a cassettoni come era solito fare di fronte a quelle cose antiche che tanto accendevano la sua curiosità. Giudicava il tutto una buffonata con la sentenza già scontatissima. Il processo lo facevano più per loro che per gli imputati. Nei pochi appunti che riuscì a far uscire dal carcere, così lo descrive:".... sembrava che le tombe del cimitero del Fascismo, nella turpe notte, avessero vomitato fuori i cadaveri redivivi di questi esseri che ora sbraitavano, urlavano volgarissime minacce con un odio senza limiti.... minacce che avrebbero messo in pratica se la mia persona non fosse stata prontamente protetta... una mischia di criminali miserabili quanto sanguinari... se dopo vent'anni e più il Fascismo ha portato anche a questo, certamente è stato la sciagura d'Italia... No, non posso pentirmi in cuor mio di quello che ho fatto..."
 
== Note ==