Emigrazione italiana in Africa Orientale: differenze tra le versioni

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L'ideologia fascista auspicava che nei territori africani si formasse un nuovo tipo di italiano degno erede del "''colono romano''" e "''perfetto fascista''". Il fascismo inoltre prevedeva che le qualità del colonizzatore italiano unite al suo alto [[Tasso di fecondità totale|tasso di fertilità]] avrebbero via via soppiantato la popolazione indigena, considerata "inferiore", che venne sottoposta ad un regime di [[segregazione razziale]] in seguito della promulgazioni delle [[leggi razziali fasciste|leggi razziali]] come è evidente anche dai vari interventi urbanistici dell'epoca che prevedevano quartieri separati per la popolazione di colore e quella di origine italiana, in tal senso si può citare il caso del [[piano regolatore di Addis Abeba del 1938]].
 
Al volgere degli [[anni 1930|anni trenta]] il numero di coloni presenti stabilmente in [[Etiopia]] ammontava a circa 35.000 individui, principalmente di sesso maschile , a cui vanno aggiunti circa altri 200.000 italiani che giunsero in Africa per la costruzione delle infrastrutture. Di questi la maggior parte proveniva dall'[[Italia settentrionale]] (con una prevalenza di [[veneti]] ed [[Emilia-Romagna|emilano-romagnoli]]) seguita da quella [[Italia meridionale|meridionale]] e [[Italia insulare|insulare]] (in maggioranza [[siciliani]], [[campani]] e [[Puglia|pugliesi]]) e in minor misura dall'[[Italia centrale]].
 
==Dopo la seconda guerra mondiale==