Teatro romano di Catania: differenze tra le versioni

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Gli ambienti scenici erano riccamente decorati da marmi, tra colonnati, statue e bassorilievi con un repertorio iconografico legato al mondo mitologico quanto alla celebrazione di eventi o personalità pubbliche. Tra le figure a carattere mitologico spicca il gruppo scultoreo della ''[[Leda (mitologia)|Leda]] col cigno'' copia romana di un originale del [[360 a.C.]] di [[Timotheos]], mentre tra gli ornamenti funzionali del teatro una lastra di marmo bianco rappresentante un delfino, ritenuto quale bracciolo per un seggio d'onore o più probabilmente (vista la certa presenza di almeno altri due delfini identici immortalati dalle foto degli [[anni 1930|anni trenta]]) divisori per segnalare la zona riservata al pubblico più importante. In marmo bianco erano pure i rivestimenti dei sedili, costruiti in blocchi di arenaria per la ''ima cavea'' e in ''opus coementitium'' per le altre due cavee, i quali dovevano creare un singolare aspetto cromatico con il nero delle otto scalinate in pietra lavica. Molti elementi decorativi vennero trafugati o adoperati per la realizzazione della [[Cattedrale di Sant'Agata|cattedrale]] del [[1094]], dove ancora si possono notare alcuni capitelli, colonne o elementi decorativi in marmo<ref>Uno di questi, un piedritto di altare del [[XVII secolo]], era stato ricavato segando per metà una statua di nudo femminile ed esposto dal lato del taglio. Oggi il manufatto si trova esposto al [[Museo diocesano di Catania]].</ref>. Secondo la ricostruzione di [[Sebastiano Ittar]] le colonne - numerose - dovettero costituire un loggiato sulla sommità della scalea, analogamente al [[teatro antico di Taormina]], esemplare più grande e reso famoso dai viaggiatori del [[Grand Tour]]. All'esterno si aprivano diversi accessi, molti dei quali sono oggi liberi sebbene non praticabili a causa della mancanza delle scale, chiusi da lesene che creavano un notevole gioco di ombre e luci, tendenza chiaroscurale già presente in [[Sicilia]] dai tempi del Teatro di [[Termini Imerese|Thermae Himerae]]<ref>Vedi ad es. Francesca Rivieri, Tiziana Consoli, «Odeon di Catania», in Luigi Marino, Carla Pietramellara (a cura di), ''[http://books.google.it/books?id=Yt4yQQtA5iQC Tecniche edili tradizionali: contributi per la conoscenza e la conservazione del patrimonio archeologico]'', Volume 5 di ''Restauro archeologico'', Alinea Editrice, [[1999]], p. 176.</ref>; quattro grandi avancorpi emergevano dalla facciata curvilinea dell'edificio e vi erano ricavate altrettante nicchie, probabilmente ospitanti statue di divinità<ref>La tradizione vuole che in una di esse, l'unica che era visibile anche prima degli sgomberi, vi fosse ospitata una statua di [[Venere (divinità)|Venere]]; vedi ad es. {{Cita|M. T. di Blasi}}</ref>.
 
La scena è ancora ingombrata da palazzi del XVIII secolo, tra cui una palazzina a un piano che funge da ingresso e che conserva notevoli resti di epoca medioevale, tra cui una scalinata e una colonna, ricollocata a reggere il soffitto ligneo settecentesco. Questa palazzina è anche sede dell'antiquarium, in cui sono esposti i rilievi architettonici dell'edificio, dal [[I secolo|I]] al XVII secolo, e vi si possono osservare i resti di un abitato del [[XVI secolo]] dall'orientamento diverso rispetto al Teatro, segno che il tessuto strutturale del medesimo era ormai illeggibile. Sull'orchestra si possono ancora vedere gli archi della vecchia via Grotte, una interessante struttura che testimonia l'edilizia del XVIII secolo. Sulle ''carceris'' e su una piccola parte della cavea sono ancora presenti diverse abitazioni, una di esse è il [[Palazzo Gravina Cruyllas]] che confina ad est. La ''media cavea'' presenta le maggiori manipolazioni subite nei secoli, con ampie parti di sedili asportate per ricavare dei pavimenti piani. Tra le residenze sorte nella zona della ''summa cavea'' di notevole importanza è la ''Casa del Terremoto'', una vera e propria [[capsula del tempo]], che ha preservato integro il corredo abbandonato l'11 gennaio [[1693]]: le macerie che la ostruirono vennero quindi sfruttate per ricavare le fondamenta di una casa settecentesca, resa oggetto di discordia tra il comune che intendeva espropriarla e due anziane signore che vi risedevanorisiedevano. Altre due case che insistono nella zona orientale sono la ''Casa dell'Androne''<ref>Edificio sorto nel corso del XVIII secolo, deve il nome all'unica parte del progetto originario completato: il grandioso androne appunto. Né la facciata, né il resto dell'edificio vennero completati per ristrettezze economiche. Lo stabile quindi fu venduto e all'interno della grande aula si ricavarono diverse abitazioni su più piani nel corso dei secoli [[XIX secolo|XIX]] e [[XX secolo|XX]].</ref> e la ''Casa Libérti''<ref>Sorta al piano superiore di un palazzetto rinascimentale di cui ancora rimangono due portali originali, originariamente era di proprietà della curia catanese. Dopo diverse vicissitudini passò insieme ad altri stabili alla famiglia Liberti, donde il nome. L'ultimo proprietario cedette la casa al comune con la clausola di poterla usare come spazio espositore delle proprie raccolte. Oltre alle raccolte del sig. Liberti (cartoline, pipe etc.), gli spazi ospitano i ritrovamenti effettuati nel Teatro dal [[1980]] al [[2008]], nonché altri interessanti cimeli legati alla famiglia liberti.</ref>, entrambe sfruttate come spazi espositivi o per conferenze.
 
Ai lati due diversi ingressi confinano uno a est con la trincea di scavo effettuato da Ignazio Paternò Castello situata tra le proprietà dei Principi di Valsavoja e i Gravina<ref>La trincea conserva anche un sistema di canalette che portava l'acqua allo scavo da un pozzo cilindrico decorato dal toro di una fascia in pietra lavica. L'acqua serviva per pulire i materiali, ma anche per portare ristoro agli operai.</ref>, l'altro a ovest con l'odeon. A nord-est, all'interno di uno dei locali della ''Casa dell'Androne'' si sono rinvenuti i resti di un ''[[themenos]]'', il recinto sacro del tempio cui il Teatro era legato. La presenza della [[Stipe votiva di piazza San Francesco|stipe votiva]] della vicina piazza San Francesco d'Assisi<ref>Giuseppe Rizza, ''Stipe votiva di un santuario di Demetra a Catania'', in «Bollettino d'Arte» 1960.</ref> ha fatto pensare che possano essere messi in relazione col culto di [[Persefone]] o [[Demetra]]<ref name= Branciforti/>.