Requisizione: differenze tra le versioni

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La prima riguarda solo i beni mobili ed ha effetti definitivi; la seconda può interessare anche i beni immobili ed ha effetti limitati al tempo necessario per l'utilizzo del bene. La requisizione in uso interessa l'[[usufrutto]] dell'immobile, mentre lascia intatta la nuda proprietà.
 
Per l’ordinamento italiano, è consentita solo “''quando ricorrano gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili”, contro una “giusta indennità''” e sulla base di norme determinate da leggi speciali ([[s:Codice_Civile_-_Libro_Terzo/Titolo_II#Art. 835 Requisizioni|articolo 835]] del [[Codice civile italiano|codice civile]]).
 
Gli immobili vengono requisiti generalmente in occasione di [[guerra|guerre]] o di occupazioni militari, per consentire l'insediamento degli uffici e delle strutture di occupazione o l'alloggio dei soldati; talvolta vi si ricorre a seguito di disastri e [[calamità]] naturali, per il ricovero degli sfollati.
 
Si differenzia dalla [[espropriazione per pubblica utilità]] per il carattere di urgenza del provvedimento, che attiene soprattutto alla privazione immediata del possesso (ciò che è concretamente necessario nell’impellenza), mentre l’esproprio sottrae al cittadino la proprietà del bene in quanto l’interesse della collettività è quello di poter disporre del bene, ed ha quindi un carattere temporalmente meno pressante, oltre a seguire una specifica procedura.
 
Al provvedimento si affianca spesso (senza esserne però necessariamente collegata) l’apposizione di vincoli ed obblighi temporanei per le aziende commerciali ed agricole.
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Con la requisizione, l'autorità pubblica si impegna a restituire dopo un certo periodo di tempo l'immobile nello stato iniziale, in cui si presentava al momento della requisizione, e a corrispondere un affitto al proprietario per il periodo della requisizione, salvo che la casa sia [[Abusivismo edilizio|abusiva]] o oggetto di requisizione per provenienza [[mafia|mafiosa]]. Negli ultimi due casi, gli amministratori locali possono anche espropriare l'immobile.
 
Numerose sono le [[fonte del diritto|fonti]] richiamate in diverse [[ordinanza|ordinanze]]: tra l’art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248; l’art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 542; l’art. 153 del TU 4 febbraio 1915; gli art. 19 e 21 L. 6 dicembre 1971 n. 1034; e per il richiamo all’obbligo di soccorso commesso alle funzioni di Ufficiale Sanitario attribuite al sindaco la Legge Sanitaria n. 833 del 1978.
 
La requisizione di case può avvenire per far fronte a un'emergenza dovuta a un terremoto o a una calamità naturale, come prevede espressamente il codice civile.
 
Non mancano esempi di requisizioni avvenute per far fronte a situazioni di emergenza abitativa, quando l'edilizia popolare non ha abbastanza risorse e alloggi disponibili per soddisfare la domanda di abitazioni dei ceti meno abbienti.
 
Secondo un orientamento giurisprudenziale, la requisizioni di immobili è legittima solamente nei casi di calamità naturale, mentre l'emergenza abitativa non è una situazione che presenta i caratteri di temporalità ed eccezionalità previsti dalla legge. Una requisizione senza un termine prefissato equivale ''de facto'' a un esproprio dell'immobile, che priva il proprietario dell'indennizzo economico cui ha diritto.
 
Secondo un altro orientamento, il provvedimento è legittimo in caso di carenza abitativa, in base all'art. 3 della [[Costituzione italiana|Costituzione]], al diritto alla casa da questa enunciato, all'obbligo dei sindaci di intervenire nelle situazioni di emergenza. La presenza di alloggi sfitti può derivare da [[speculazione]] edilizia, da un [[cartello]] fra proprietari che introduce una [[distorsione del mercato|distorsione]] del [[mercato]] immobiliare. Le case vengono tenute sfitte per non aumentare l'offerta abitativa e indurre un calo dei prezzi.
 
==Voci correlate==