Luciano Serra pilota: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 72:
 
==Accoglienza==
Al di là della contingente celebrazione dei rinverditi fasti imperiali di [[Roma]], altri temi e motivi accomunano il film alla produzione dell'epoca. Il regime viene identificato come garante della trasmissione dai padri ai figli delle antiche virtù e valori, all'interno della modernità, qui esemplificata nel passaggio dall'aviazione pionieristica, ad una organizzata e potente flotta aerea.<ref> Raffaele De Berti, “Figure e miti ricorrenti”, in, a cura di Orio Caldiron”, cit. “Nei film del periodo 1934-39 sono molti i casi in cui figure di padri e di figli assolvono a funzioni volte a garantire simbolicamente la continuità “spirituale” tra le generazioni...Luciano con il suo eroico sacrificio salva la vita del figlio e muore stringendogli la mano: un gesto simbolico che tradizionalmente segna la trasmissione dell'eredità spirituale da una generazione all'altra e li accomuna nell'amore per la patria. “ Altri film citati, al proposito, sono [[Il grande appello]] e [[Passaporto rosso (film)]]</ref> Che questo argomento fosse ben presente nelle intenzioni del regista è confermato da una prima stesura della [[sceneggiatura]], in cui il ruolo di [[Amedeo Nazzari]] non era previsto, sostituito da una sua fotografia, attraverso la quale il padre, morto in missione durante la [[prima guerra mondiale]], sarebbe stato fonte di ispirazione ed imitazione per il figlio<ref name=Alessandrini></ref>. Altro elemento ricorrente è quello dell' “assenza o irrilevanza del personaggio femminile, presente tutt'al più come pretesto simbolico o come ostacolo”<ref> Maria Coletti, “Il cinema coloniale tra propaganda e melò”, in, a cura di Orio Caldiron, cit.;</ref> in favore della valorizzazione dell'amicizia e solidarietà maschili (qui il rapporto padre-figlio e l'amicizia del protagonista con l'ex compagno d'armi Morelli).
 
Tuttavia, nel film sono presenti importanti elementi di discontinuità rispetto alle altre opere a carattere bellico del periodo. L'immagine “velleitaria ed individualista”, unita al linguaggio diretto ed antiretorico del protagonista, alla sua capacità di “comunicare passioni e stati d'animo con gesti asciutti”<ref name=Mosconi>Elena Mosconi, “Goffredo Alessandrini” , in, a cura di Orio Caldiron cit.;</ref> ne facevano quell'eroe quotidiano del cinema d'avventura hollywoodiano, ben noto agli sceneggiatori [[Roberto Rossellini]], [[Ivo Perilli]], [[Fulvio Palmieri]] e [[Cesare Giulio Viola]], molto distante dall'archetipo disciplinato proposto in altri film. A conferma, va notato che il regista aveva anche girato un happy-end alternativo al cupo finale sacrificale.<ref name=Mosconi></ref>