Ambitus (diritto romano): differenze tra le versioni

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Le informazioni più antiche riguardanti l’ambitus le ritroviamo in [[Tito Livio]] e un primo elemento da considerare è l’episodio del 432 a.C.<ref>ROTONDI G., ''Leges publicae populi Romani: elenco cronologico con una introduzione sull'attività legislativa dei comizi romani'', Hildesheim, 1962, p. 211.</ref> in cui i tribuni chiesero e fecero approvare un provvedimento che vietava lo sbiancamento della toga:
 
“''{{citazione|I tribuni furono spinti a presentare una legge che reprimesse gli eccessi della campagna elettorale: uno che aspirasse ad una carica non poteva rendere più candida la propria veste|''”<ref>Livio, 44, 25, 13</ref>.'' }}
 
“''I tribuni furono spinti a presentare una legge che reprimesse gli eccessi della campagna elettorale: uno che aspirasse ad una carica non poteva rendere più candida la propria veste''”<ref>Livio, 44, 25, 13</ref>.
 
 
Fascione esclude che tale provvedimento possa essere stato una legge comiziale, poiché i patrizi avrebbero esercitato su di esso il loro peso politico; sembra opportuno, invece, considerarlo un plebiscito, tenendo conto, dato il periodo, della non validità per l’intero popolo romano<ref>FASCIONE L., ''Crimen e quaestio ambitus nell'età repubblicana: contributo allo studio del diritto criminale repubblicano'', Milano, 1984, p. 23.</ref>. In generale non c’è molta chiarezza sulla sua reale natura e, in taluni casi, sulla sua esistenza, alcuni ritengono che possa essere un’anticipazione della Lex Poetelia<ref>GRAHAM S. (a cura di), ''A Dictionary of ancient history'', Oxford, 1994, s.v. “ambitus”.</ref>.
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Una prima importante legge contro il reato dell'ambitus fu la Lex Poetelia de ambitu<ref>ROTONDI, op. cit., p. 221</ref> risalente al 358, quando il tribuno della plebe Caio Petelio presentò, su autorizzazione del senato, una rogatio diretta contro coloro che erano soliti girare le piazze e i mercati per farsi propaganda durante la campagna elettorale.
 
''“Gaio{{citazione|Gaio Petelio, [[tribuno della plebe]], presentò, su incarico del [[Senato romano|senato]], una legge che per la prima volta affrontava la questione della corruzione elettorale. Con questa proposta si intendeva tenere a freno le pressioni demagogiche soprattutto da parte degli uomini nuovi, che avevano preso l’abitudine di fare propaganda elettorale nei mercati e nelle piazze.|''.<ref>Liv., 7, 15, 11</ref>”'' }}
 
''“Gaio Petelio, tribuno della plebe, presentò, su incarico del senato, una legge che per la prima volta affrontava la questione della corruzione elettorale. Con questa proposta si intendeva tenere a freno le pressioni demagogiche soprattutto da parte degli uomini nuovi, che avevano preso l’abitudine di fare propaganda elettorale nei mercati e nelle piazze''.<ref>Liv., 7, 15, 11</ref>”
 
 
È il primo caso noto in cui venga citato il termine ambitus e, soprattutto, comincia ad essere delineata con chiarezza l’idea di un’azione criminosa specifica: il candidato che durante la campagna elettorale va in giro nei mercati e nelle piazze, luoghi affollati, alla ricerca di voti. [[Tito Livio]] dà alla vicenda un'interpretazione personale affermando come fosse esplicito volere del Senato la promulgazione di una legge di tal natura, cioè in grado di porre un argine all’ambitio degli [[Homo novus|homines novi]] che, secondo il [[Senato romano|Senato]], pur di accedere alle magistrature erano disposti a compiere gli atti più criminosi.
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Nella stessa ottica della Lex Poetelia de ambitu<ref>ROTONDI G., op. cit., p. 277.</ref>, la Lex Cornelia Baebia de ambitu del 181 a.C. prevedeva l’ineleggibilità per dieci anni del condannato. Anche su questa legge non ci sono notizie esaustive ed è tuttora studiato il rapporto tra la Lex Baebia de ambitu e la Lex Baebia de praetoribus<ref>MOMMSEN T., ''Le droit public romain'', traduzione di GIRARD, v. 3, Paris, 1893, p. 227.</ref>, sempre del 181 a.C., che stabiliva l’elezione ad anni alterni di quattro pretori invece che sei.
 
''{{citazione|Dopo molti anni, sulla base della legge Bebia secondo la quale ad anni alterni si dovevano eleggere quattro pretori, si elessero appunto quattro pretori|''<ref>Liv., 40, 44,'' 2.</ref>.}}
 
''Dopo molti anni, sulla base della legge Bebia secondo la quale ad anni alterni si dovevano eleggere quattro pretori, si elessero appunto quattro pretori''<ref>Liv., 40, 44, 2.</ref>.
 
 
La regolamentazione delle elezioni dei [[Pretore (storia romana)|pretori]] rispondeva al bisogno da parte della nobilitas di tenere a freno l’eccessivo ricambio nelle magistrature maggiori, nello specifico si cercava di ottenere due risultati: il primo era quello di diminuire il numero degli aspiranti alla pretura e il secondo, conseguenza del primo, far diminuire i possibili candidati al consolato. Inoltre considerando che la rogatio fu proposta su invito del [[Senato romano|senato]], si comprende ancor di più che il fine ultimo della Lex Baebia de praetoribus fosse quello di frenare l’ascesa delle fasce emergenti della popolazione, avvalorando ancor di più l’ipotesi dell’identificazione delle due leggi e l’idea di ambitus come legislazione di salvaguardia della [[nobilitas]].
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[[Livio]] accenna ad una lex de ambitu del 159 a.C.:
 
''{{citazione|Fu presentata una legge sui brogli elettorali|''<ref>Liv., Epit., 47</ref>''}}
 
''Fu presentata una legge sui brogli elettorali''<ref>Liv., Epit., 47</ref>
 
 
Non ne specifica né i proponenti e né il contenuto. Essa viene attribuita ai consoli di quell’anno [[Dolabella (disambigua)|Gneo Cornelio Dolabella]] e Marco Fulvio Nobiliore e prevedeva, presumibilmente, l’estromissione del colpevole dalle cariche pubbliche per dieci anni<ref>LANGE H., ''Römisches Recht im Mittelalter'', II vol., München, 1997, pp. 312, 663.</ref>. Rotondi identifica questa legge con il nome di lex Cornelia Fulvia de ambitu e legittima la sua promulgazione, con un testo normativo che prevede una pena identica alla lex Baebia de ambitu del 181 a.C., con l’inefficacia e l’inadempienza della precedente legge<ref>ROTONDI, op. cit., p. 288</ref>.
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La prima importante attestazione di un processo per ambitus, inteso esclusivamente come broglio elettorale, è la vicenda relativa alla candidatura nel 115 a.C. di [[Caio Mario]] alla pretura. A riguardo la fonte principale è Valerio Massimo, che afferma:
 
“''{{citazione|Con quale forza d’animo e con quale forza fisica Mario affrontò tutti i salti della sua fortuna. Benché considerato inadeguato alle cariche di Arpino osò candidarsi alla questura a Roma. Successivamente, grazie alla sopportazione delle sconfitte elettorali, fece irruzione nel senato più che entrarci. Pur avendo sperimentato anche nel candidarsi alla carica di tribuno e di edile un tale biasimo del Campo Marzio, essendosi candidato alla pretura, risultò eletto per ultimo, quest’ultimo posto lo ottenne non senza pericolo. Infatti accusato di ambitus ottenne a stento l’assoluzione dei giudici|''”<ref>Valerio Massimo, 6, 9, 14''.</ref>. }}
 
“''Con quale forza d’animo e con quale forza fisica Mario affrontò tutti i salti della sua fortuna. Benché considerato inadeguato alle cariche di Arpino osò candidarsi alla questura a Roma. Successivamente, grazie alla sopportazione delle sconfitte elettorali, fece irruzione nel senato più che entrarci. Pur avendo sperimentato anche nel candidarsi alla carica di tribuno e di edile un tale biasimo del Campo Marzio, essendosi candidato alla pretura, risultò eletto per ultimo, quest’ultimo posto lo ottenne non senza pericolo. Infatti accusato di ambitus ottenne a stento l’assoluzione dei giudici''”<ref>Valerio Massimo, 6, 9, 14.</ref>.
 
 
L’accusa che gli viene mossa è chiara: aver ottenuto la pretura facendo largo uso della corruzione. La vicenda viene narrata da [[Plutarco]] in maniera più approfondita e dettagliata rispetto a [[Valerio Massimo]]. Egli ci informa di come durante la fase istruttoria del processo furono ascoltati Gaio Erennio e Cassio Sabacone: il primo si rifiutò di deporre adducendo come scusa il fatto che la sua famiglia avesse sempre esercitato il patronato nei confronti di quella di [[Caio Mario|Mario]], nonostante lo stesso Mario lo inducesse invano a parlare. Sabacone era, invece, chiamato a difendersi dal fatto che due dei suoi schiavi fossero stati visti nei recinti tra quelli prossimi a votare, accusa a cui egli rispose dicendo che gli schiavi erano lì per porgergli da bere. Alla fine Mario, nonostante la giuria gli fosse contraria ottenne l’assoluzione, in quanto i voti, negativi e positivi, si equivalsero<ref>Plutarco, G. Marius, 5</ref>.
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Il 67 a.C. fu l’anno della Lex Calpurnia de ambitu, normativa mediata di una contrastata polemica sui brogli elettorali che aveva visto come protagonisti il tribuno della plebe Caio Cornelio, il senato e i consoli Acilio Glabrione e Calpurnio Pisone. [[Cassio Dione]] riporta l’intera vicenda:
 
''“I{{citazione|I consoli avevano presentato la legge non perché fossero sdegnati per gli intrighi (infatti si era scoperto che anche loro avevano compiuto brogli, e Pisone, che era stato accusato per questo, era riuscito a evitare il processo, corrompendo varie persone), ma perché costretti dal Senato. La legge era stata provocata dal fatto che il tribuno Gaio Cornelio pretendeva pene severissime contro i colpevoli di brogli, e il popolo era d’accordo”''<ref>d’accordo|MOMMSEN T., ''Le droit pénal romain'', traduzione di DUQUESNE, v. 3, Paris, 1907, p. 196.</ref>. }}
 
''“I consoli avevano presentato la legge non perché fossero sdegnati per gli intrighi (infatti si era scoperto che anche loro avevano compiuto brogli, e Pisone, che era stato accusato per questo, era riuscito a evitare il processo, corrompendo varie persone), ma perché costretti dal Senato. La legge era stata provocata dal fatto che il tribuno Gaio Cornelio pretendeva pene severissime contro i colpevoli di brogli, e il popolo era d’accordo”''<ref>MOMMSEN T., ''Le droit pénal romain'', traduzione di DUQUESNE, v. 3, Paris, 1907, p. 196.</ref>.
 
 
Il tribuno Caio Cornelio emerge come una personalità fortemente critica nei confronti della situazione politica e durante la sua carica più volte ebbe motivo di entrare in contrasto con il senato: con una legge aveva vincolato i pretori ad attenersi scrupolosamente al loro editto, pur di evitare comportamenti eccessivamente autonomi; si era, inoltre, opposto alle angherie perpetrate ai danni dei legati stranieri, manovra altrettanto disapprovata dal senato. Questa linea politica, rigorosa e garantista, spiega il perché egli abbia ritenuto necessario opporsi anche alla corruzione elettorale<ref>Dio Cass., 36, 38</ref>.
La proposta di legge del [[Tribuno della plebe|tribuno]] prevedeva pene molto severe nei confronti dei corruttori e colpiva anche i divisores<ref>I divisores erano incaricati delle distribuzioni e delle elargizioni; scelti all’interno di una tribù, vi conoscevano la gran parte dei membri e si occupavano di distribuire lasciti testamentari, donazioni o qualsiasi altro bene donato al popolo romano. Non avevano una connotazione negativa.</ref>, intesi come veri e propri strumenti della corruzione. Il senato ritenne la proposta eccessiva e attraverso un [[senatus consultum]] rese possibile la rogatio di un altro disegno di legge, più moderato, sostenuto dai due consoli Acilio Glabrione e Calpurnio Pisone. L’azione dei due [[Console (storia romana)|consoli]] e del [[Senato romano|senato]] non è sostenuta dalla volontà e dalla fermezza di frenare la corruzione, bensì dalla necessità di opporsi ad un disegno di legge eccessivamente severo.
 
Alla fine prevalse proprio la rogatio dei due consoli, che prese il nome di Lex Calpurnia de ambitu e che prevedeva l’interdizione perpetua dalle magistrature e il pagamento di una pena pecuniaria. Non si fa riferimento ai divisores, ma in Asconio, uno dei tanti commentatori di Cicerone, si parla della cacciata di Calpurnio Pisone dal foro dopo la violenta protesta dei divisores e ciò lascia intendere che questi ultimi siano stati in parte toccati dal provvedimento<ref>Asconio, In Corn., 1, 40</ref>. È significativo che anche l’allestimento di pranzi pubblici, insieme alle ovvie elargizioni di denaro o all’uso indiscriminato della violenza e del ricatto, costituiva aperta violazione della legge<ref>TRAVERSA L., ''Comunicazione e partecipazione politica: il Commentariolum petitionis'', in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Bari» 52-53 (2009-2010), p.141.</ref>.
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La legge fu proposta da [[Quinto Tullio Cicerone]], durante il suo consolato, per inasprire le disposizioni sull’ambitus. Cicerone stesso racconta di aver partecipato all’attività di legiferazione in alcune delle sue opere:
 
''“Fui{{citazione|Fui io stesso, è vero, l'autore della legge sui brogli elettorali: ed evidentemente non ne fui autore per abrogarla di fronte al precetto, che mi ero già da tempo imposto, di soccorrer con la mia difesa i cittadini in pericolo. Se io dunque riconoscessi che broglio vi fu, e sostenessi che fu giusta cosa, malamente agirei, se anche altri fosse stato l'autore della legge; ma poiché io affermo che nulla fu compiuto contro di essa, perchè mai dovrebbe essermi ostacolata la funzione di patrono?"''<ref>|CICERO M. T., ''Due scandali politici (Pro Murena, Pro Sestio)'', introduzione di Giovanni Ferrara; traduzione di Camillo Giussani; premessa al testo e note di Salvatore Rizzo, Milano, 1988.</ref>” }}
 
''“Fui io stesso, è vero, l'autore della legge sui brogli elettorali: ed evidentemente non ne fui autore per abrogarla di fronte al precetto, che mi ero già da tempo imposto, di soccorrer con la mia difesa i cittadini in pericolo. Se io dunque riconoscessi che broglio vi fu, e sostenessi che fu giusta cosa, malamente agirei, se anche altri fosse stato l'autore della legge; ma poiché io affermo che nulla fu compiuto contro di essa, perchè mai dovrebbe essermi ostacolata la funzione di patrono?"''<ref>CICERO M. T., ''Due scandali politici (Pro Murena, Pro Sestio)'', introduzione di Giovanni Ferrara; traduzione di Camillo Giussani; premessa al testo e note di Salvatore Rizzo, Milano, 1988.</ref>”
 
 
La Lex Tullia vietava ai candidati, nel biennio anteriore alla candidatura, di dare giochi gladiatorii, salvo che per obbligo testamentario. Confermò le decisioni prese con la legge Acilia Calpurnia aggiungendo un esilio di dieci anni per i colpevoli del crimine di ambitus “''con la mia legge ho punito con l'esilio il broglio elettorale''”<ref>Cic., Pro Pl. 34, 83.</ref> ; minacciò, inoltre, pene contro gli iudices quaestiones che cercassero di sottrarsi al loro ufficio, forse vietò anche che si proponessero le candidature di assenti. Questa legge, tuttavia, fu impunemente violata da Pompeo in favore di Afranio. Le informazioni in merito a questa legge sono tramandate dallo stesso Cicerone nella sua orazione contro Vatinio del 56.
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Questa legge di [[Augusto]] fu portata nei [[concilia plebis]] in virtù della [[Tribunicia potestas|potestà tribunicia]] assegnata al Principe, il quale diveniva così inviolabile<ref> Svet, Aug, 34</ref>. La lex Iulia puniva le parti che visitavano il loro giudice, e forse anche il giudice che visitava esse. Stabilì multe per la corruzione e l’aqua et igni interdictio per le violenze; inoltre escluse il colpevole dalle cariche per cinque anni<ref>Liv, 16.</ref>. Dopo un giurisconsulto, di cui un brano del Digesto prodotto da Modestino non fa che riprodurre un frammento, la pena sarebbe consistita in un’ammenda. Cessata l’elezione comiziale dei magistrati in città questa legge sarà applicata solo alle magistrature municipali<ref>ROTONDI G., ''op.cit.'', p 443.</ref>.
 
 
==Note==
<references/>
 
==Bibliografia==
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* TRAVERSA L., ''Comunicazione e partecipazione politica: il Commentariolum petitionis'', in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Bari» 52-53 (2009-2010)
 
 
==Note==
<references/>
 
==Voci correlate==