Esametro dattilico: differenze tra le versioni

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L'origine dell'esametro rimonta alla [[protostoria]] del mondo [[grecia antica|greco]]: gli studiosi hanno vivacemente dibattuto sulla possibilità che esso fosse già in uso in età [[civiltà micenea|micenea]], senza raggiungere risultati definitivi. La tesi più accreditata, sostenuta da Gregory Nagy, è che l'esametro sia l'espansione, originariamente isosillabica, di un [[ferecrateo]]; Successivamente, durante l'età buia seguita al crollo di Micene, i mutamenti fonetici legati alla contrazione, determinarono la comparsa della caratteristica equivalenza fra due sillabe brevi e una sillaba lunga, e la possibilità di sostituire il dattilo con lo [[spondeo]]. Fosse già stato usato oppure no nel [[II millennio a.C.]], l'esametro aveva senza dubbio alle spalle una storia di secolare elaborazione orale da parte degli [[aedo|aedi]] prima di approdare alla più antica forma a noi nota, quella [[Omero|omerica]], una forma che, nonostante le numerose anomalie rispetto alle epoche posteriori, è frutto di una tecnica raffinata. Dopo Omero, nell'età arcaica fu ancora usato per la poesia eroica ([[poema ciclico|poemi ciclici]]) e per quella didascalica di [[Esiodo]]; gli stessi poeti lirici lo usarono talvolta, non solo nel [[distico elegiaco]], ma anche come metro autonomo, come è il caso degli [[Epitalamio|epitalami]] di [[Saffo]]. Meno nota è invece la sua evoluzione in età classica, a causa delle numerose lacune della nostra conoscenza della letteratura dell'epoca.
 
Il verso conobbe poi un nuovo periodo di grande vitalità in epoca [[ellenismo|ellenistica]], con la ripresa, da parte dei poeti [[Alessandria d'Egitto|alessandrini]], della poesia epica (in particolare con [[Apollonio Rodio]]), dell'[[epillio]] (l'[[Ecale]] di [[Callimaco]]), degli [[Inni omerici|Inni]] in stile omerico (gli ''Inni'', sempre di Callimaco), e della poesia didascalica ([[Arato di Soli]]). Gli alessandrini, ed in particolare Callimaco, il cui esempio fece scuola, affinarono il verso omerico, restringendo il numero degli schemi ammessi rispetto a quello omerico; la tendenza al sempre maggior virtuosismo metrico restò una costante nella poesia di epoca romana e raggiunse il suo culmine, al termine dell'età antica, nelle [[Dionysiaca|Dionisiache]] di [[Nonno di Panopoli|Nonno]]: rispetto ai 32 schemi dell'esametro omerico, Nonno ne ammette solo 9, in un'età in cui il senso della quantità andava perdendosi (sebbene si riscontri la tendenza sempre più pronunciata, soprattutto nella seconda parte di verso, a far coincidere [[Ictus (metrica)|''ictus'' metrico]] e [[accento tonico]] delle parole).
 
Dalla [[Grecia]], l'esametro in età ellenistica fu introdotto nella [[letteratura latina]] ad opera di [[Quinto Ennio|Ennio]], adattandosi alle diverse possibilità espressive della [[lingua latina]] (ad esempio le [[figure di suono]] giocano un ruolo molto più importante nella [[poesia]] latina che in quella greca), affinandosi progressivamente prima con [[Tito Lucrezio Caro|Lucrezio]] e [[Gaio Valerio Catullo|Catullo]], e quindi con i poeti di [[età augustea]], in primo luogo [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]] ma anche [[Quinto Orazio Flacco|Orazio]], per poi restare in uso sino alla tardo antichità e oltre.