Decimo Giunio Giovenale: differenze tra le versioni

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==== Critica dell'omosessualità ====
Altro comune bersaglio di Giovenale fu l'[[omosessualità]], che si traduce per lui e per il mondo cui appartiene in una fatidica bolla d'infamia (si veda a questo proposito la ''[[Lex Scantinia]]''). Giovenale conosce e distingue due diversi tipi di "omosessuale":
* quello che per natura proprio non può dissimulare la sua condizione (quindi perdonato e tollerato, poiché è il suo triste destino e non certo una colpa);
* quello che per [[ipocrisia]] si nasconde di giorno pontificando rabbiosamente sulla corruzione degli antichi costumi romani, per poi sfogarsi di notte lontano da occhi indiscreti.
Entrambi questi ''tipi'' vengono condannati da Giovenale, poiché omosessuali, ma il secondo in modo particolare, per essersi reso ancora più odioso dall'alto del suo piedistallo di falso censore: ecco, quindi, che si ritrova quella carica anti-moralistica che è una cifra fondamentale della sua poetica. Il disprezzo per le convenzioni è bilanciato da una mitizzazione pressoché integrale del passato, secondo il tipico ''topos'' della perduta [[età dell'oro]], quella dei popoli latini pastori e agricoltori non ancora contaminati dai costumi orientali: infatti Giovenale contrappone sempre l'omosessuale molle, urbano e sur-raffinato al ruvido e pio contadino repubblicano, in cui si concentrano per contrasto tutte le qualità di una civiltà guerriera gloriosa e perduta. Tanto lontani dovevano apparire ai suoi occhi quei tempi di rustica virtù, almeno quanto appaiano a noi vicine simili libertà di costume ([[I secolo|I]]-[[II secolo]] d.C.), al punto che nella seconda satira Giovenale dice espressamente, riferendosi alle unioni tra omosessuali: