La banalità del male: differenze tra le versioni

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Il titolo originale dell'opera è "''Eichmann in Jerusalem - A Report on the Banality of Evil''". Non senza ragione, l'editore italiano ritenne opportuno invertire l'ordine del titolo. Dal dibattimento in aula, infatti, la Arendt ricaverà l'idea che il male perpetrato da Eichmann - come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili della [[Shoah]] - fosse dovuto non ad un'indole maligna, ben radicata nell'anima (come sostenne nel suo ''[[Le origini del totalitarismo]]'') quanto piuttosto ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.
 
==La corte, le condizioni del processo e l'imputatimputato==
 
La banalità del male inizia con una disamina delle condizioni sociali all’epoca del processo ad Adolf Eichmann: secondo la Arendt è evidente come il [[pubblico ministero]] [[Gideon Hausner]] (fortemente condizionato dal primo ministro israeliano [[Ben Gurion]]) cercò in ogni modo di spostare l’attenzione della corte – presieduta da Moshe Landau – dal giudizio della persona di Eichmann a quella dell’[[antisemitismo]] nazista, per privare di credibilità i paesi arabi del [[medio oriente]] con cui [[Israele]] era in conflitto – ricordando le loro simpatie per il nazismo – e convincere gli [[ebrei]] sparsi per il mondo che Israele fosse il solo luogo dove i loro diritti fossero effettivamente protetti. La Arendt critica duramente il discorso di apertura tenuto dal pubblico ministero [[Gideon Hausner]]. La critica in questione riguarda in modo particolare la frase pronunciata dal p.m. "''noi non facciamo distinzioni etniche''". Infatti, nell'opinione di Hannah Arendt, il processo ad Eichmann stava a rappresentare uno spettacolo, voluto da Ben Gurion, chiaramente strumentalizzato alla politica del neonato Stato d'Israele. Infatti, l'imputato era accusato di crimini contro il popolo ebraico e di crimini contro l'umanità commessi sul corpo del popolo ebraico.