Gran consiglio del fascismo: differenze tra le versioni

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La sera del 15 dicembre [[1922]] [[Benito Mussolini]] convocò all'improvviso una riunione dei più alti dirigenti fascisti nella stanza dove alloggiava al Grand Hotel di Roma (furono prese, tra le altre, decisioni come la trasformazione delle forze squadristiche nella [[MVSN]] e il principio del listone maggioritario per la legge elettorale, una proposta di [[Michele Bianchi|Michele Bianchi]]).<ref>G.Candeloro, ''Storia dell'Italia Moderna Vol. IX - Il fascismo e le sue guerre'', p. 22, Feltrinelli 2002, ISBN 88-07-81378-5</ref>
 
Il Gran consiglio del fascismo fu poi istituito in maniera informale l'11 gennaio 1923 con un annuncio di Mussolini su ''[[Il Popolo d'Italia]]'', quale organo supremo del Partito Nazionale Fascista, e tenne la sua prima seduta il 12 gennaio [[1923]].
 
Esistette come istituzione di fatto fino a che divenne organo costituzionale del Regno con la legge 9 dicembre [[1928]], n. 2693<ref>Il testo integrale è riportato in A.Aquarone, ''L'organizzazione dello Stato totalitario'', pp. 493-495, Einaudi 2003, ISBN 88-06-16522-4</ref>, che lo qualificava come «organo supremo, che coordina e integra tutte le attività del [[regime fascista|regime]] sorto dalla rivoluzione dell'ottobre 1922».
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La sua attività si inaridì col tempo a causa della progressiva concentrazione dei poteri in mano a Mussolini, della burocratizzazione del PNF e soprattutto delle trasformazioni della forma e delle leggi dello Stato che automatizzavano o abrogavano le procedure su cui doveva esprimersi. Cessò di avere funzioni effettivamente deliberative quando il 19 gennaio [[1939]] fu istituita la [[Camera dei Fasci e delle Corporazioni]] (non elettiva)<ref>Anche questo giudizio è contenuto in A.Aquarone, ''op.cit.''</ref>.
 
Tenne la sua ultima seduta il 24 luglio [[1943]], dopo quattro anni di inattività. Durante tale seduta fu approvato lo storico ''[[ordine del giorno Grandi]]'', al quale seguì la caduta del governo di Mussolini e il suo arresto.<ref>Questo ordine del giorno e quello approvato nella seduta del 23 febbraio [[1923]], relativo all'incompatibilità tra iscrizione al P.N.F. e appartenenza alla [[massoneria]], furono le uniche deliberazioni che il Gran Consiglio non assunse all'unanimità (Cfr. G. Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna: Il Fascismo e le sue guerre'', Vol. 9, Feltrinelli Editore, 1993)</ref>
 
Fu soppresso con [[regio decreto legge]] 2 agosto [[1943]], n. 760, entrato in vigore il giorno 5 dello stesso mese.