Ambitus (diritto romano): differenze tra le versioni
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==Definizione==
“Andare intorno” (cfr. ambire). È un termine latino che indicava l'abitudine dei candidati di passeggiare al [[Campo Marzio]] o presso il Foro al tempo della repubblica. L'obiettivo era di sollecitare i voti degli elettori e farsi così propaganda elettorale per le elezioni alle cariche pubbliche<ref>''Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines,
Dei consigli al candidato, su come raccogliere seguaci, sono offerti nel Commentariolum Petitionis, un libretto ricco di consigli su come allestire una campagna elettorale la cui paternità è dubbia, ma che viene generalmente attribuito a [[Quinto Cicerone|Quintus CICERO]], fratello del più celebre Marco. Da quest'opera si può dedurre facilmente che i contatti personali con gli elettori a Roma erano leciti e rappresentavano una consuetudine<ref>A Dictionary of Ancient History, Edito da Graham Speake, 1994, voce Ambitus</ref>. Uno dei metodi per sollecitare i voti consisteva nella largitio che poteva anche manifestarsi nell'offerta a fini elettorali di banchetti (indiscriminatamente, e non per la sola tribù del candidato), nelle distribuzioni di carne (viscerationes)<ref>TRAVERSA L., Comunicazione e partecipazione politica: il Commentariolum petitionis, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Bari», (2009-2010), p141-142</ref>, nell'organizzazione di combattimenti di gladiatori e di giochi pubblici, nell'allestimento dietro compenso di cortei in occasione del ritorno a Roma di un magistrato che presentava la sua candidatura e addirittura nel riservare posti per gli spettacoli<ref>FEDELI P., (a cura di), Commentariolum petitionis, Salerno editrice, pag 56</ref>.
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Con il tempo, però, la propaganda nel resto dell'Italia e tra i cittadini provinciali, benché legale, fu oggetto di critiche, al punto da essere fissata in reato. L'elemento caratterizzante del reato di crimen ambitus era la lesione della sovranità popolare: attraverso la compravendita di voti, il soggetto incideva sulla volontà comiziale, portando al potere un magistrato che non risultava una libera espressione della volontà popolare. Manifestazione palese di quest'attività di corruzione elettorale era la distribuzione di denaro agli elettori. Queste elargizioni, in alcuni casi, avvenivano attraverso lo strumento dei divisores, funzionari provenienti, singolarmente, dalle diverse tribù, il cui compito era quello di occuparsi delle elargizioni e delle distribuzioni di denaro e derrate. Essi erano parte integrante di un sistema sociale in cui l'evergetismo rivestiva un ruolo fondamentale, perciò la loro funzione non era ritenuta illecita o criminosa. Soltanto nei casi di utilizzo indegno, per la corruzione dei votanti, i divisores venivano considerati strumenti illeciti del potere<ref>TRAVERSA L., Comunicazione e partecipazione politica, p139-140-141</ref>. Tale utilizzo illecito dei divisores è attestato in due orazioni di Cicerone e nel Commentariolum petitionis.
Nell'orazione [[In Verrem]] [[Cicerone]] fa riferimento alla sua candidatura per l'edilità, nel 70 a. C., ostacolata dai traffici di Verre che si servì dell'aiuto dei divisores. Essi erano stati ingaggiati, dietro lauta ricompensa, per far sì che Cicerone non venisse eletto; il loro compito sarebbe stato quello di distribuire somme di denaro agli elettori per influenzarne il voto<ref>CICERO M. T., Il processo di Verre, BUR, Milano, I, 22-24</ref>.
È attestata, inoltre, la pratica di calunniare i propri avversari politici. Nella Pro Murena Cicerone dovette difendere, insieme a [[Gaio Antonio Ibrida]], il console designato nelle votazioni del 63 per il 62, [[Lucio Licinio Murena]], dall'accusa di ambitus. Sulpicio Rufo accusò, insieme a Gaio Postumo e a [[Catone Uticense|Marco Catone]], Murena di broglio elettorale sulla base della recente Lex Tullia de ambitu 64 a.C.. In particolare uno degli accusatori, Gaio Postumo, chiedeva spiegazioni sulle somme trovate in possesso dei distributori di denaro. Tuttavia, proprio il paragrafo contenente la risposta a quest'accusa manca, sostituito dal solo titolo “DE POSTUMI CRIMINIBUS, DE SERVI ADULESCENTI”<ref>Secondo Paolo Fedeli il testo giunto a noi non corrisponde integralmente a quello pronunciato da Cicerone: sarebbe stato
Nel finale del Commentariolum petitionis Quinto ritiene che, incutendo paura ai compratori di voti e fermando i divisores, si potrebbe aspirare ad una politica priva di corruzione<ref>FEDELI P., (a cura di), Commentariolum petitionis, Salerno editrice, pag 119 “''sequestribus metum inicimus, divisores ratione aliqua coercemus, perfici potest ut largitio nulla fiat aut nihil valeat.''”</ref>.
Le vicende narrate in merito alla questione dell'ambitus portano alla luce la necessità di istituire una quaestio perpetua per reprimere le pratiche di questo illecito accaparramento di voti<ref>FASCIONE L., Crimen e quaestio ambitus
A partire dal V secolo a.C. ha inizio un lungo processo legislativo che va dal discusso plebiscito del 432 a.C. sullo sbiancamento delle toghe a tutta la complessa legislazione del I secolo a.C.
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Il tribuno Caio Cornelio emerge come una personalità fortemente critica nei confronti della situazione politica e durante la sua carica più volte ebbe motivo di entrare in contrasto con il senato: con una legge aveva vincolato i pretori ad attenersi scrupolosamente al loro editto, pur di evitare comportamenti eccessivamente autonomi; si era, inoltre, opposto alle angherie perpetrate ai danni dei legati stranieri, manovra altrettanto disapprovata dal senato. Questa linea politica, rigorosa e garantista, spiega il perché egli abbia ritenuto necessario opporsi anche alla corruzione elettorale<ref>Dio Cass., 36, 38</ref>.
La proposta di legge del [[Tribuno della plebe|tribuno]] prevedeva pene molto severe nei confronti dei corruttori e colpiva anche i divisores<ref>I divisores erano incaricati delle distribuzioni e delle elargizioni; scelti
Alla fine prevalse proprio la rogatio dei due consoli, che prese il nome di Lex Calpurnia de ambitu e che prevedeva l'interdizione perpetua dalle magistrature e il pagamento di una pena pecuniaria. Non si fa riferimento ai divisores, ma in Asconio, uno dei tanti commentatori di Cicerone, si parla della cacciata di Calpurnio Pisone dal foro dopo la violenta protesta dei divisores e ciò lascia intendere che questi ultimi siano stati in parte toccati dal provvedimento<ref>Asconio, In Corn., 1, 40</ref>. È significativo che anche l'allestimento di pranzi pubblici, insieme alle ovvie elargizioni di denaro o all'uso indiscriminato della violenza e del ricatto, costituiva aperta violazione della legge<ref>TRAVERSA L., ''Comunicazione e partecipazione politica: il Commentariolum petitionis'', in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Bari» 52-53 (2009-2010), p.141.</ref>.
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