Giainismo: differenze tra le versioni

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S. Vernon McCasland, Grace E. Cairns e David C. Yu descrivono la cosmologia giainista nel seguente modo:
{{citazione|Nella tradizione giainista, il primo insegnante della religione, Rishabha, visse nel terzo periodo di Avasarpini, durante il quale metà delle cose del ciclo del mondo stanno peggiorando. Dal momento in cui si iniziò a trovare il male, si sentì la necessità di un insegnante chiamato un Tirthankara perché le persone potessero far fronte ai problemi della vita. Nel quarto periodo, i mali proliferarono così tanto che altri ventitré Tirthankara arrivarono al mondo per insegnare alle persone come combattere il male e raggiungere il mokṣa. L'età contemporanea, parte del quinto periodo, è "interamente malvagia". Ora, gli uomini non vivono più di 125 anni, ma la sesta epoca sarà persino peggiore. 'La durata della vita dell'uomo sarà solo tra i sedici e i venti anni e la sua altezza sarà ridotta a quella di un nano... Ma poi il lento movimento verso l'alto della seconda metà del ciclo del mondo, Utsarpini, comincerà. Ci sarà un pronto miglioramento finché, nella sesta era, i bisogni dell'uomo saranno soddisfatti da alberi desiderosi, e l'altezza dell'uomo sarà di sei miglia, e il male sarà per sempre sconosciuto.' Comunque, alla fine le cose degenereranno nuovamente, con una ripetizione di Avasarpini; Usarpini ritornerà ancora una volta, in un ciclo eterno, secondo la cosmologia giainista. | McCasland, Cairns, and Yu, ''Religions of the World'', New York: Random House, 1969: pp. 485-486}}
 
== Le [[Scritture]] ==
In ambito giainista è il termine Āgama a indicare le scritture: letteralmente è qualcosa che è “giunto” a noi grazie alla trasmissione di maestro in maestri fino a risalire a Jina.
 
Cosa ci sia negli Āgama di ciò che Jina ha detto e predicato è difficile dirlo ed è questione complessa, ma è comunque da assumere come fondante l’idea che negli Āgama per i giainisti c’è ciò che Mahāvīra ha pronunciato.
 
Va peraltro segnalato che per i giainisti il valore delle scritture non è univoco: se per alcuni (il maestro Digambara Kundakunda) le scritture forniscono impulso fondamentale al percorso di liberazione dalle passioni e dalle pastoie del mondo, per altri, per esempio il testo Śvetāmbara Āvasyakaniryukti afferma che la conoscenza delle scritture non ha valore senza l’ascesi.
 
Lo stesso termine Āgama denota una serie di scritture che possiamo intendere come Canone ma che non è del tutto chiaro e definito. Interessante il fatto che poco dopo l’indipendenza indiana i giainisti accettarono di includere nel Canone alcuni testi molto recenti e poco tradizionali che però potessero giustificare il divieto di utilizzo dei beni mobili e immobili di un gruppo religioso anche a appartenenti ad altri gruppi.
 
Un Canone definitivamente fissato non è dunque quello che bisogna attendersi da questo concetto di scritture, aspetto che è peraltro condiviso anche da altre tradizioni religiosi e filosofiche indiane.
 
Il più antico testo Digambara è il Ṣaṭkhaṇḍāgama, basato, secondo tradizione, sull’insegnamento orale del monaco [[Dharasena]], vissuto nel II sec. d.C. Secondo la tradizione questo monaco, aiutato da altri due, si insediò alla caverna della Luna presso il monte [[Girnār]] in [[Gujarat]] e lì comunico ai suoi aiutanti quello che ricordava delle opere sacre fino a lui giunte.
 
Una copia di questo testo venne conservata nel luogo santo di [[Mūḍbidrī]], città del [[Karnataka]] ([[Tamil Nadu]]). Questi manoscritti furono oggetto di grande attenzione nel XIX secolo e vennero copiati tra il 1896 e il 1922. Si tratta di un resoconto in pracrito sulla natura dell’anima e sulla sua connessione con il [[karman]].
 
Altro testo fondamentale è il [[Kalpasūtra]], recitato in occasione della festa di [[Paryuṣan]].
 
L’autore del testo è secondo la tradizione [[Bhadrabāhu]] e il testo contiene informazioni biografiche su Jina e su Pārśva, il ventitreesimo Tīrthaṃkara.
 
Tutti i gruppi concordano sul fatto che esistessero dei testi antichi, i [[Pūrva]], ormai scomparsi.
 
Per la trasmissione del testo vennero infatti convocati i cosiddetti concili, in sanscrito vācanā letteralmente recitazioni, durante i quali venivano semplicemente recitati i testi così come i monaci li ricordavano e fissati nella forma trasmessa e recitata. Il Canone come ci è giunto è frutto del lavoro svolto durante il concilio di [[Valabhī]] nel V sec. d.C.
 
La letteratura canonica è nota come Nigaṇṭha-Pāvayāṇa (sermoni di Nigaṇṭha) e consiste di sessanta testi circa, quindici dei quali ritenuti ormai perduti.
 
È uso distinguere questi testi in tre gruppi: i Pūrva, i primi, gli Aṅga, le membra, e gli Aṅgabāhya (esterno alle membra).
 
Il canone stabilito a Valabhī da soli maestri Śvetāmbara non è accolto totalmente dagli altri gruppi: i Digambara hanno determinato un canone secondario costituito dagli Āgama mentre gli Sthānakavāsin accolgono solo trentuno testi dei quarantacinque ancora leggibili secondo la tradizione Śvetāmbara.
 
Jina predicava in un dialetto pracrito noto come ardhamāgadhī, lingua decisamente artificiale e arcaica che è stata conservata attraverso i secoli come segno distintivo dell’insegnamento del Jina. I testi sono scritti in diverse lingue, prevale certamente ardhamāgadhī ma vi sono testi in sanscrito (il celeberrimo Tattvārthasūtra) e in vari pracriti nonché in lingua Tamil.
 
Interessante il testo cosiddetto Saman Suttam,<ref>{{Cita libro|autore=Jinendra Varṇī, Sāgaramala Jaina|titolo=Sama Suttam: il canone del jainismo|anno=2001|editore=Mondadori|città=|p=|pp=184|ISBN=9788804491958|Traduttore=Claudia Pastorino e Claudio Lamparelli}}</ref> preparato nel 1974 da un gruppo di maestri riunitisi per definire un testo che potesse essere accettato da tutti i gruppi giainisti: si tratta di una sorta di collectanea antologica che raccoglie da vari testi canonici ed è di fatto accettato da tutti i gruppi giainisti.
 
== Comunità ==